Da
Via Dogana n. 44/45 - settembre 1999
Molto
senso e pochi soldi
di Francesca De Vecchi
Ho 29 anni,
lavoro alla Libreria delle donne di Milano da circa un anno e ho appena
iniziato un dottorato di ricerca in filosofia all'Università di
Ginevra. Vorrei provare a abbozzare la situazione in cui mi trovo rispetto
alla difficoltà di fare teoria e lavoro politico sul simbolico.
Si tratta di un'apparente assenza di necessità e di contesto, di
una parziale saturazione della ricerca di senso e dei desideri nell'esperienza
vissuta (delle relazioni, dello studio, del lavoro) illuminata dal guadagno
simbolico ereditato dalle donne delle generazioni precedenti - c'è
agio, libertà; il patriarcato è morto, che altro dobbiamo
dire? Si tratta, però, anche di una saturazione di fatiche e energie
nel comporre e articolare la propria vita - ciò che faccio, ciò
che sono - secondo questa stessa misura di senso ereditata con il cambiamento
di simbolico avvenuto.
Partire dalla questione del lavoro forse può aiutare a esemplificare
e far capire meglio la situazione un po' aggrovigliata che ho tentato
di abbozzare, perché è nel lavoro, nella necessità
di ciò che assicura sopravvivenza e indipendenza, ma anche relazioni
di scambio generative di senso e di desideri, che c'è la possibilità
della ricerca sul simbolico.
Partecipando al gruppo di discussione sulla femminilizzazione del lavoro,
una volta Lia Cigarini chiese a me e a altre giovani che cosa fosse per
noi il lavoro. Io allora parlai di estremismo del senso come cifra di
ciò che cercavo e volevo dal lavoro: il lavoro come esistenziale
(sono quindi d'accordo con Dino Leon, "il manifesto", 21 novembre
1998), dimensione dell'esistere dove ci deve essere tutto o quasi, ecco
perché "estremismo" - un "estremismo", che
so e vedo, sentito e praticato da molte donne di questa generazione considerata
spesso accomodante. Che cosa intendo con questa espressione?
Estremismo del senso significa fare e voler fare uno sforzo enorme per
comporre la propria vita in modo da coniugare bisogno di senso e sussistenza
economica, tenendo assieme professioni e contesti di lavoro diversi (per
me la libreria, la ricerca e l'università, le traduzioni), inventandone
e nominandone altri, senza accontentarsi, se insoddisfacenti, dei percorsi
già battuti e consolidati che il mercato offre - e qui l'esclusione
dal mercato ad opera del capitale di certi ruoli professionali ha paradossalmente
agevolato la nascita di nuovi spazi di libertà dentro i suoi interstizi.
Quest'estremismo del senso ovviamente è anche un agio, una libertà
che deriva e poggia - senza di esso non sarebbe stato possibile - sul
lavoro politico e simbolico fatto dal movimento delle donne; è
un'eredità, e viverla è un modo di accettare e rispondere
a questa eredità. C'è il rischio, però, di rimanere
totalmente impigliata dentro questa prassi - ciò che faccio - senza
riuscire a ridisegnare un orizzonte teorico proprio, a partire dalla propria
esperienza. Estremismo del senso significa inoltre - e qui forse si capisce
meglio perché parlo di estremismo - paralisi della teoria, trovarmi
in una sorta di metafisica del senso dove questo pathos del senso ha l'effetto
contrario di una censura della significazione, perché l'esperienza
che vivo non sembra mai essere sufficiente e adeguata alla nominazione
teorica.
Ora, di lavoro sul simbolico ce n'è da fare, e Lia Cigarini ha
indicato chiaramente di quali problemi si tratti: la relazione duale di
scambio-contrattazione funziona, ma non è riconosciuta come forma
della politica; per molte donne le relazioni nel lavoro sono già
un significante alternativo al danaro, ma oltre al fatto che questa realtà
fatica a essere riconosciuta, c'è anche il rischio che passi un'idea
di relazione strumentale (VD, 43). Queste sono questioni cruciali, ma
non le posso pensare in astratto, le devo pensare a partire da ciò
che faccio e da un rinnovato contesto di discussione, le cui modalità
e interlocutori possono anche non essere gli stessi del passato. Quindi
il lavoro politico che in questo momento sento imprescindibile è
innanzitutto di riposizionamento. La ricerca sul simbolico nasce solo
dalla necessità di farla, e la necessità per me adesso passa
attraverso il lavoro/i lavori "di senso" e il denaro e la sussistenza.
La Libreria delle donne di Milano non solo è un contesto politico
che mi sta molto cuore, ma un riferimento obbligato per l'elaborazione
teorica e la pratica politica che ha generato. Vorrei scommettere su di
esso come luogo che alimenti e faccia circolare questa necessità.
|