paradiso "A volte penso che il paradiso debba essere un continuo infinito leggere" (Virginia Woolf, luglio 1934) |
Questo romanzo è un capolavoro di astuzia femminile, per centocinquant'anni è riuscito a farsi stampare, tradurre e raccomandare come un romanzo di formazione (un Bildungsroman, dicono i letterati) per giovinette di buona famiglia, e ne ha tutti gli ingredienti, in effetti, ma intanto riesce ad annunciare la fine del patriarcato. Si tratta della storia di quattro sorelle che crescono sotto la guida di una madre e in assenza del padre. Il padre è andato volontario in guerra, nella terribile guerra di Secessione che insanguinò gli Stati Uniti intorno al 1860. Louisa May Alcott dice la cosa giusta: gli uomini si stanno autoeliminando a forza di guerre. Resta vivo il simbolico delle donne. Nella famiglia March non ci sono fratelli. Le poche figure maschili, il padre lontano, il ragazzo Laurie, si affacciano sul bordo di un mondo di sole donne, e non hanno il potere di turbare la sua vita né di istallarsi nel suo centro focale. Le quattro sorelle sono tipe fra loro molto diverse e tutta la trama si sviluppa dal gioco libero delle loro differenze. Viene soprattutto da questo gioco libero, secondo me, il grande successo del libro. Viene cioè dal ritratto della differenza femminile che si manifesta attraverso le differenze fra donne: non dipende solo né soprattutto dalla figura di Jo, come ho sentito dire. Jo è la sorella che vuole diventare scrittrice e costituisce indubbiamente il personaggio più cattivante, nel quale l'autrice si è rispecchiata. Ma Jo, senza le altre tre, Meg, Beth e Amy, non sarebbe lei, e viceversa, perché la singolarità di ciascuna si riverbera e accentua nello specchio delle altre tre, passando tutte e ciascuna attraverso l'amore della madre. La madre è una specie di dea, travestita da signora borghese. Lo dico apposta, lo dico pensando alla mitologia più arcaica. La signora March somiglia ad una divinità che abita da sempre una caverna sacra. Volendo usare etichette, per il capolavoro della Alcott, io parlerei di romanzo d'iniziazione. Il romanzo di formazione mostra un percorso per diventare quello che la società domanda o aspetta, mentre il romanzo di iniziazione racconta i passaggi che ti portano a scoprire quella che sei, e a diventare quella che puoi essere, più profondamente. L'iniziazione ha a che fare con la nascita della libertà, quella associata alla scoperta di sé, ed è una cosa che, se non hai l'idea di questa libertà, non esteriore ma intima e personale, può essere scambiata con la moderazione o il conformismo. La Alcott lo sapeva, io credo e penso che ne abbia approfittato per mascherarsi da scrittrice bempensante e così fare il suo gioco. Le Piccole donne che tengo nella mia biblioteca, una traduzione, si aprono con l'introduzione di un letterato italiano, sicuramente bravo, ma, in questo caso, completamente fuori strada. Per metà dell'introduzione insiste sul fatto che si tratterebbe di un romanzo datato, ancorato a certi ideali, ormai superati: donne che sono angeli del focolare, silenziose e pazienti, ecc. Leggiamo pure Piccole donne, conclude con un po' di supponenza, ma si tenga conto dell'epoca in cui fu scritto. Fa ridere: non si è accorto di niente, non ha capito niente. |