il Manifesto
- 29 settembre 2012
The american
way of death
A Erik
Se scali
giorno e notte la montagna
e ti apposti dietro gli arbusti
(lo zaino-fallimento sta crescendo,
apre crepe la sete nella gola
e la febbre del cambiamento
ti divora)
se scegli la guerriglia,
sta' attento,
ti ammazzano.
Se combatti il tuo caos
con la pace,
la non violenza,
l'amore fraterno,
le lunghe marce senza fucile
con donne e bambini
e ricevi sputi in faccia,
sta' attento,
ti ammazzano.
Se la tua pelle è scura e cammini scalzo
e ti rodono dentro i lombrichi,
la fame,
la malaria: lentamente ti ammazzano.
Se sei un nero di Harlem
e ti offrono campi da football
con il pavimento d'asfalto,
un televisore in cucina
e foglie di marijuana:
poco a poco ti ammazzano.
Se soffri d'asma
se ti esaspera un sogno
- che sia a Buenos Aires
o ad Atlanta-
che ti spinge da Montgomery
fino a Memphis
o ad attraversare a piedi la cordigliera,
sta' attento:
diventerai un ossesso
e sonnambulo
e poeta.
Se nasci nel ghetto
o nella favela
e la tua scuola è la cloaca
o l'angolo,
prima devi mangiare,
poi pagare l'affitto
e nel tempo che ti avanza
sederti sul marciapiede
a veder passare le macchine.
Però un giorno ti arriva la notizia,
corre la voce,
te la dà il tuo vicino
perché tu non sai leggere
e non hai un soldo
per comprare il quotidiano
o ti si è fottuto il televisore.
In un modo o nell'altro
ti arriva la notizia:
lo hanno ammazzato,
sì,
te lo hanno ammazzato.
Claribel
Alegría
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