l'Unità
- 17 gennaio 2007
LUTTI È
morta ieri la filosofa studiosa di Foucault e Simone Weil. Insegnava bioetica
all’università di Salerno
Angela
Putino, una passione per l’infinito
Chiara
Zamboni
Angela Putino
abitava in una casa sulla collina sopra Mergellina, a Napoli. Una casa
piccola con ampie finestre sul verde della montagna e sul mare, con tanti
gatti. Un bel lavello con maioliche all’esterno per preparare alle
amiche qualcosa di buono, perché mangiava molto poco, ma amava
cucinare per gli altri. Mi sono chiesta tante volte, pensandola in quella
casa così esposta alla bellezza del luogo, come riuscisse a fare
filosofia senza distrarsi nella contemplazione di ciò che la circondava,
ma poi mi sono anche risposta che la prima filosofia è nata in
dialogo muto con la bellezza naturale. E Angela è stata una filosofa
antica e contemporanea allo stesso tempo. Il tratto antico: amava la polemica,
il conflitto nella forma più classica. Acuminava la critica perché
si andasse allo scoperto nella risposta. Non lasciava nessuno tranquillo
nelle sue posizioni. Aveva scritto sull’arte di essere guerriera
nell’uso dei concetti e nell’intervento politico. Occorreva
non sconfiggere l’avversario, ma provocarlo ad uscire allo scoperto
dando il meglio di sé. Quando ci riusciva le brillavano gli occhi
di allegria.
Naturalmente ci eravamo rese conto di questo a Diotima, alle riunioni
di discussione filosofica che tenevamo e a cui lei partecipava. O stava
zitta o apriva la contesa. E questo anche all’ultimo incontro a cui
è venuta nel luglio scorso. E me ne sono ben resa conto quando
ha pubblicato nel 1998 Amiche mie isteriche, in cui direttamente
criticava una strada che avevamo battuto nel pensarci come soggetti che
nascono da madre, e perciò relazionali. Per lei tutto questo era
pericoloso: era un’inclinazione isterica alla fusionalità.
Voleva disincantarci dalle rassicurazioni del materno. Voleva mostrare
una via nella quale tra esseri umani fosse accettabile la lacerazione,
l’estraneità, come dono.
Mi è venuto da pensare anche ultimamente a quel libro. Da molti
anni ormai insegnava bioetica all’università di Salerno. Aveva
pubblicato diversi articoli sulla biopolitica e il femminismo. Mi diceva
che proprio l’isteria femminile - quella per la quale, non si può
contare le donne una per una a causa di un legame altro tra loro - era
ciò che le poneva fuori dai giochi della biopolitica. Riprendeva
così il vecchio concetto criticato.
E poi era studiosa appassionata di Simone Weil. Nel 1997 aveva pubblicato
Simone Weil e la passione di Dio. Da pochi mesi era uscito Simone
Weil. Un’intima estraneità (Città aperta, 2006),
dove riprende l’interesse per la matematica della Weil per rileggere
molti suoi concetti. Credo che chi studia per molto tempo una pensatrice
abbia qualche cosa di lei. In Angela mi sembra di vedere, come nella Weil,
il desiderio di sradicarsi per aprirsi all’infinito. Mossa che, invece
di allontanarla dal mondo, l’ha riportata puntualmente ad intervenire
anche nel dibattito politico: si pensi al sito adateoriafemminista, che
ha aperto con altre. È come per la Weil: amore per il concetto,
politica e desiderio d’infinito.
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