SOTTOSOPRA
Dicembre 1976
ALCUNI
DOCUMENTI SULLA PRATICA POLITICA Autodeterminazione:
un obiettivo ambiguo - Osando finalmente
dubitare... - La modificazione personale e l'agire politico
- Appunti del Gruppo numero 4 - Proposta
di un "centro di medicina delle donne" Milano - AUTODETERMINAZIONE:
UN OBIETTIVO AMBIGUO Non
esprime tutto il movimento delle donne la proposta di legge che alcuni gruppi
femministi hanno presentato in parlamento: non esprime ad esempio noi che, pur
vivendo la contraddizione dell'aborto, non vogliamo che questa nostra sofferenza
venga confermata e legiferata. È evidente che l'abolizione dell'aborto
(come della prostituzione) non si ottiene attraverso la sua regolamentazione:
non è vero che la legalizzazione e il riconoscimento ufficiale in comma
e codicilli rende più facile la modificazione di queste realtà e
delle loro cause. L'unica cosa che vogliamo da una legge è la cancellazione
del reato, dunque la depenalizzazione. Allora perché alcune donne, che
hanno scelto di muoversi sul piano della legge, non si sono limitate a proporre
e a sostenere la depenalizzazione del reato d'aborto? Forse sono convinte di poter
usare gli strumenti del potere per scalfirlo e per ritagliare alle donne uno spazio
che la società non concede? Esiste un punto in cui le necessità
del sistema patriarcale e capitalista sembrano coincidere coi bisogni delle donne:
sono proprio questi i momenti in cui occorre far chiarezza sui nostri reali bisogni.
Le donne del movimento che nel proporre questa legge sperano di dare maggior potere
e forza a tutte le donne, si trovano di fatto a sostenere un piano di regolamentazione
delle nascite che non ci appartiene. Inoltre si basano su un'analisi ancora essenzialmente
di tipo economicistico : autodeterminazione intesa come riappropriazione da parte
delle donne di quella che si può considerare la loro produzione specifica,
cioè i figli. Tutto questo le costringe a farsi carico di una serie di
conseguenze, le cui ambiguità non portano a reali passi in avanti per il
movimento. I problemi riproposti sono riassumibili in questo modo: a) subordinazione
agli interessi dei partiti e della logica parlamentare; b) affidamento a una
regolamentazione esterna, quella dello stato e delle istituzioni, in palese contrasto
col principio, più volte proclamato, dell'autodeterminazione; c) necessità,
una volta che esiste una tale regolamentazione, di impiegare energie in una lotta
essenzialmente difensiva e dipendente da tutte le istituzioni, ospedaliere, giudiziarie,
amministrative, in un momento in cui il movimento delle donne ha bisogno di tutta
la sua autonomia per approfondire i contenuti specifici su cui è nato e
per acquistare forza. Ma, se questo è l'aspetto più vistoso della
contraddizione, trascurabile solo per le donne che considerano la loro lotta un
momento specifico interno all'unità di classe, non c'è dubbio che
la presentazione di questa legge che dovrebbe rappresentare la volontà
delle donne sulla questione dell'aborto, implica conseguenze molto più
gravi: a) divide le donne e riduce la credibilità della loro lotta.
Non interrogarsi sul problema della sessualità, del rapporto uomo donna,
e scegliere di partire dalla maternità come condizione sociale generalizzata
delle donne, significa di fatto essere costrette a proporre come obiettivo di
massa la negazione della maternità stessa. È la lotta più
impopolare contro una funzione che, contradditoriamente, è stata a un tempo
motivo di oppressione ma anche di sopravvivenza e di realizzazione, sia pure simbolica
ed alienata (la vita del figlio al posto della propria, la maternità al
posto di ogni altro fare). I gruppi che hanno firmato questa proposta di legge
sull'aborto finiscono in realtà per sostenere una " liberazione in
negativo ", intesa come ribellione della donna alla funzione riproduttiva,
in quanto storicamente castrante; e nell'aborto libero urlato nelle piazze proclamare
il blocco e la sospensione del desiderio di maternità. Ma in noi esiste
anche il desiderio di non dover desiderare l'aborto. La decisione di mettere al
centro della nostra ricerca il rapporto uomo-donna, l'analisi e la modificazione
della nostra sessualità, se ha comportato in una fase iniziale la messa
tra parentesi del problema della maternità e della procreazione, ci è
servita comunque a evitare di innalzare come bandiera della liberazione la negazione
di un aspetto della nostra materialità che può essere discusso,
modificato ma non certamente negato. Nessuna infatti può escludere che,
sciolta la dipendenza dalla sessualità maschile, il corpo della donna possa
esprimere questa capacità biologica in modo totalmente diverso. b) crea
confusione e diffonde un'opinione fuorviante del concetto stesso di autodeterminazione,
rispetto al significato che esso ha assunto già da tempo per il movimento
delle donne. La confusione tra sessualità e maternità, l'identificazione
del corpo della donna con la funzione procreatrice e il ruolo di donna-madre dell'uomo,
fanno sì che lo slogan " autodeterminazione/gestione del proprio corpo
" applicato alla battaglia per l'aborto, suoni molto ambiguo. La procreazione
che conosciamo ha subito una tale violenta integrazione nella sessualità
maschile che proporre di gestirla di regolamentarla è come proporre di
lottare dentro l'alienazione anziché liberarsene. "Autodeterminazione"
a proposito di aborto può pertanto avere solo un significato molto restrittivo,
quello di rivendicare alla donna la possibilità di difendersi, contro gli
interessi e/o il disinteresse degli altri (mariti, compagni, medici, preti, leggi,
ecc.).
Lo
stesso vale per l'aggettivo " libero " : aborto libero vuol solo dire
libero dalla sanzione, non affermazione di una pienezza di sé, conquistata
attraverso l'aborto. Aborto libero solo perché " liberatorio "
da un male peggiore. E se in questo caso parlare di libertà di scelta
rispetto al proprio corpo e alla propria sessualità è un autoinganno,
ci pare anche un inganno credere di difendere realmente le donne "concedendo"
per legge illimitati limiti: la proposta Pinto-Corvisieri a noi risulta terroristica
verso le donne stesse, perché scavalca, senza incertezze e timori, tutto
il dramma legato all'aborto e la disperazione che sola può spiegare l'interruzione
di gravidanza, e scarica sulla donna lasciata sola a decidere, la violenza sessuale,
sociale ed economica di tutta la società. Un gruppo di donne di
Col di Lana - Milano Torna
su
I
TRE TESTI CHE SEGUONO SONO GLI APPUNTI SCRITTI DI ALCUNI DEI GRUPPI IN CUI SI
E' ARTICOLATO IL COLLETTIVO DI VIA COL DI LANA 8 PER RIFLETTERE SULLA PRATICA
POLITICA. IL LAVORO DI TUTTI I GRUPPI E'' STATO DISCUSSO IN UN INCONTRO DI DUE
GIORNI SVOLTOSI A MILANO IL 12/13 NOVEMBRE 1976.
OSANDO
FINALMENTE DUBITARE
Ci
siamo incontrate in questo gruppo nato con gli altri sulla crisi del collettivo
cariche di aspettative, e da queste partiamo. È comune in noi l'urgenza
di riverificare le pratiche fatte, per cercare di capire quello che ci ha effettivamente
modificato e quello che invece è risultato un freno. Il nostro è
un gruppo eterogeneo, non tutte abbiamo le stesse aspettative. In qualcuna sembra
prevalente il desiderio di acquistare sempre maggiore conoscenza (come ad esempio
attraverso le pratiche di tipo analitico fatte in questi anni), con una finalità
puramente intellettuale quindi. In altre l'esigenza di costruire spazi che garantiscano
un minimo star bene, vivendo in modo sempre più completo in rapporto con
le altre donne. Per la maggior parte di noi c'è il bisogno di trovare
il nesso tra la modificazione individuale ed il trasferimento di questa alla pratica
collettiva. Insomma il bisogno di riallacciarci ad un progetto politico più
ampio che ci faccia uscire dal chiuso delle nostre pratiche per permetterci di
incidere in modo concreto sulla realtà. La modificazione individuale, il
crearsi di spazi anche minimi che ci consentano di stare meglio, la separazione
dal mondo dell'uomo, rischiano di diventare pericolosa illusione e di essere scambiate
per la finalità politica del movimento invece che tappe del nostro progetto
di liberazione. Il sintomo più evidente della nostra crisi è
appunto la paralisi del collettivo, che dovrebbe essere il momento più
specificatamente politico e che invece sembra diventato vuoto di significato. Il
nostro è un gruppo di donne che vengono da pratiche diverse. Eppure in
tutte noi è sorta l'esigenza di confrontarle finalmente. Per la prima volta
abbiamo il coraggio di uscire dalla confortante sicurezza che la pratica che ognuna
di noi ha fatto, sia la sola legittima e vera, osando finalmente dubitare, per
cercare assieme, con un riesame critico la soluzione ai nodi che hanno causato
la paralisi. Siamo partite analizzando le pratiche fatte da noi in questi anni:
autocoscienza, inconscio, collettivi, Cherubini, Cramp. Autocoscienza Nella
pratica del piccolo gruppo di autocoscienza, dopo un inizio molto bello ci siamo
accorte che anche al suo interno si creavano ruoli di potere, proiezioni madre-figlia
e tutto un intersecarsi di dinamiche di gruppo che di fatto impedivano di andare
avanti, in quanto ormai nessuna di noi riusciva più a entrare in rapporto
reale con le altre. (Ognuna di noi era diventata l'attaccapanni delle proiezioni
altrui e il tutto avveniva nella reciproca complicità.) - Eravamo tutte
nel pallone più nero. - Si erano creati dei grovigli inestricabili che
però io volevo risolvere con quelle persone lì con le quali si erano
creati e non andare nel gruppo dell'inconscio. - Tentando un rapporto più
analitico con una donna del gruppo con la quale ero in rapporto più profondo,
mi si aprivano degli spiragli sull'inconscio, che mi creavano grande angoscia
senza darmi la possibilità di modificarmi. - In questo casino angoscioso
sono finita in analisi individuale con una donna, nella quale mi identificavo. -
L'autocoscienza è stato un momento molto stimolante, carico e vivo che
mi ha fatto sentire l'urgenza di affrontare a livello profondo alcuni problemi
che mi erano via via maturati da quando ero venuta a Milano. Così sono
entrata in analisi, con una donna. - Anch'io sentivo prevalentemente un bisogno
d'analisi: non avevo fatto gruppi di autocoscienza e il mio primo contatto col
femminismo è stato un gruppo dell'inconscio, dove ho scoperto il movimento
delle donne come rapporto fra donne e non ideologia femminista. Inconscio -
Quando stavo nel gruppo dell'inconscio avevo la sensazione che l'interpretazione
dei comportamenti fosse delegata di fatto alla Lea o a qualche altra e che il
progetto più complessivo che conteneva questa pratica fosse chiaro soltanto
a loro. Le
reciproche fantasie creavano nel gruppo figure fittizie che non venivano smascherate.
Infatti la conoscenza reale di una persona con la quale avevo fatto il gruppo
per un intero anno è avvenuta quest'estate durante la vacanza dove la quotidianità
impediva la copertura ideologica. - Per me questo si è verificato il
primo anno; nel secondo anno, ho sentito una reale messa in discussione del ruolo
della Lea da parte del gruppo come un'interazione tra gruppo e leader che produceva
una modificazione. Però vivevo la Lea diversamente nel gruppo e nel collettivo:
nel collettivo si ripeteva il vecchio rapporto, lei per un lungo periodo era la
portavoce del gruppo, noi non riuscivamo a trasferire la pratica dell'inconscio
nel collettivo. Nel gruppo invece avevo esteso il mio riferimento e bisogno di
riconoscimento su un numero più allargato di persone, poiché questo
era il luogo dove il rapporto diventava sempre più paritario, nel senso
che diventava sempre più la pratica di un gruppo e non il gruppo della
Lea. - Secondo me la pratica dell'inconscio anche se produce modificazione
resta però un'esperienza all'interno di un gruppo e non è possibile
trasmetterla al collettivo. - In fondo quello che abbiamo cercato di soddisfare
in tutti i gruppi, dall'autocoscienza all'inconscio, è stato ancora il
bisogno di riconoscimento, forse questo ci ha impedito di vedere la finalità
politica del movimento, però secondo me non è scandalizzante nella
misura in cui dovevamo vincere una negazione storica totale e prima di eleggerci
a soggetti politici dovevamo riconoscerci un'identità individuale. Identità -
A proposito dell'identità io credo che oggi sia vero che le donne hanno
un'identità precisa. - Mi sembra di poter affermare che oggi, in quanto
soggetti storici, abbiamo acquisito un'identità politica e sociale (siamo
o non siamo un movimento di liberazione?), ma per quanto riguarda l'identità
individuale (psichica e sessuale) sono molto lontana dal sentirmi interamente
soggetto, anche se faticosamente comincio a mettere assieme dei pezzetti di me. -
Io mi sento un'identità individuale solo quando ragiono e capisco, nel
senso che sento una sicurezza di me soltanto quando posso analizzare e interpretare,
trovando delle risposte razionali che però mi impediscono di conoscere
e di dar sfogo alla mia emotività e sessualità. Nella mia storia
mi è sempre stato chiesto di ragionare, di capire gli altri e questo mi
ha portata a negare la mia emotività e i miei desideri. Lo stesso processo
si è verificato nella nostra pratica, perché anche se ora l'oggetto
dell'analisi sono io, riproduco lo stesso meccanismo di razionalizzare e non riesco
a modificarmi. Modificazione Mi
sembra però che dovremmo distinguere la razionalizzazione, che è
proprio una forma di autodifesa ed esorcismo, dall'analisi che invece scalza le
difese della razionalizzazione; mi pare che alcune pratiche del movimento ci abbiano
abituate ad un'attenzione costante alle difese e quindi in qualche modo abbiamo
acquisito la capacità di scalzarle per arrivare alla modificazione. -
per me modificazione può già essere rifiutare alcuni condizionamenti,
liberando in tal modo l'emotività. - Io per esempio abbandonavo le persone
per paura di essere rifiutata; presa coscienza della mia coazione a ripetere questo
meccanismo, ho deciso ad un certo punto di affrontare questo problema e di fare
eventualmente i conti con un rifiuto reale. Questo probabilmente mi è stato
possibile perché ho un bisogno meno spasmodico del riconoscimento degli
altri (barlumi di identità). - per me modificazione vuoi dire poter
essere più cose, non tollero la noia di ripetermi: vorrei essere intellettuale
e corporea, in effetti non voglio rifiutare quello che sono, ma non sopporto la
mia coazione a ripetermi; insomma intendo la modificazione come ampliamento. -
Io non rinnego me stessa perché è assurdo che cerchi di costruirmi
su un nuovo modello, ho scoperto di avere dei lati non sviluppati. - Rispetto
alla modificazione mi sono accorta che mi è stata possibile attuarla quando
quello che facevo partiva direttamente dai miei desideri. Quando invece tentavo
di superare lo scarto che sentivo tra me e l'ideologia, riuscivo solo a star male,
cioè sentivo l'ideologia come una morale imposta ed è quello che
probabilmente mi fa sentire a volte con un piede fuori, quando non voglio farmi
violenza. - Mi domando a questo punto se la nostra pratica ci consente il diritto
di rimanere noi stesse con le nostre specificità, in che modo cioè
c'è spazio per queste cose rispetto all'ideologia. Ideologia -
Mi sembra che questa domanda nasconda paura. Per me modificazione ha voluto dire
acquisire maggior sicurezza. Ho un grosso rifiuto per il vivere ideologicamente,
non chiedo se c'è spazio, me lo prendo. - Ci si lamenta tanto dell'ideologia,
ma io sento che affermare di sentirsi col piede fuori vuoi dire di nuovo avallare
l'ideologia, nel senso di avere nella propria testa il modello di qualcuna che
i piedi li ha dentro tutti e due. La mia possibilità di sentirmi dentro
è l'aver capito che c'è spazio per rifiutare eventuali modelli. -
Una delle prime cose che mi aveva affascinato del femminismo era proprio l'affermare
il rifiuto all'ideologia che ci passava sulla testa, il partire da noi stesse,
poi dopo alcuni anni di pratica mi sono sentita un'altra volta sommersa dall'ideologia;
mi sembrava che una nuova morale fosse nata, avevo davanti a me il modello ideale
e fantasticato della femminista che ha chiuso con l'uomo e con il mondo degli
uomini. - Mi chiedo a questo punto qualè il confine tra progetto politico
e l'ideologia. Ad esempio, io sentivo l'anno scorso che il dover essere (la norma)
era la sessualità tra donne. Quindi, da una parte lo vivevo come una nuova
morale, dall'altra però aveva anche il significato più profondo
di indicarmi la modificazione. - Secondo me l'avere confuso la finalità
politica del movimento, con un momento di questo progetto, che implica la sepa
razione anche radicale, mi creava l'angoscia di un incubo senza soluzione di un
universo tutto femminile. - Sento nel movimento tutta una serie di cose in
cui mi riconosco, ma altre le sento ideologiche. Questo provoca angoscia in molte
donne che pensano di dover fare cose a cui si sentono estranee, forse è
questione di rispettare i tempi di ognuna. Si può arrivare agli stessi
risultati con strade diverse. - Mi chiedo se c'è spazio nella nostra
pratica per un reale confronto, in quanto ho l'impressione che ci siano comportamenti
considerati di serie A e di serie B. Ci sono molte donne che vivono l'ansia profondissima
di adeguarsi a modelli di comortamento che non sentono. Secondo me il confronto
reale avviene soltanto fra persone che si vedono vivere; mentre raccontarsi la
propria vita è un atteggiamento che intacca solo la superficie dell'esperienza,
in quanto attraverso la parola passano la seduzione, le illusioni ecc. Collettivo -
Rispetto al collettivo non ci vedo la possibilità di confronto, ma solo
di scontri e rivalità. - Il confronto avviene sul piano del rischio
individuale, per cui in genere nel collettivo si ha la tendenza ad evitare il
rischio, perché il collettivo non può garantire come un piccolo
gruppo, dove ci sono persone del cui affetto si è sicure. - Io sento
il collettivo impersonale, nel senso che non mi sembra ci sia possibilità
di dialogo mentre nel piccolo gruppo è più difficile che accada,
perché il confronto è possibile fino in fondo. Mi sembra che
molta ideologia nasca sul fantasticato più che sul detto. - Infatti
se avessi fatto in collettivo il discorso sulla sessualità di ieri sera,
gli equivoci che in questo gruppo sono subito stati chiariti, sarebbero restati
e avrebbero fatto sì che le altre mi fantasticassero "come colei che
ha scelto l'omosessualità". - Sento il collettivo come un luogo
inesistente, per esempio mi vengono in mente le nuove e tutti i diversi piani
di comprensione che un discorso può avere. (A questo punto una donna
che per la prima volta partecipa a una riunione fa il suo primo intervento e dice
: " Quello che voi sentite nel collettivo, io lo sento ora con voi"...) -
Per me il collettivo è stata la garanzia dell'esistere rispetto al politico
e al sociale, che era quello che avevo sempre cercato nel far politica nei gruppi
della sinistra e che non ero mai riuscita a vivere. Nonostante la paralisi e tutte
le difficoltà vissute, ho sentito che lì in certi momenti, le donne
riuscivano insieme a uscire dall'" impasse " e a prendere delle decisioni
politiche. Per esempio le sere in cui è iniziato e si è decisa
collettivamente la divisione in piccoli gruppi, con modalità stabilite
insieme, per portare avanti la discussione sulla pratica politica, ho ritrovato
il senso politico del collettivo. - Io non sono d'accordo. Per me il collettivo
mi riporta ai vecchi modi di fare politica. - In qualche modo il collettivo,
così com'è stato prima dell'inizio di questi gruppi, risente veramente
di retaggi dei vecchi modi di far politica, con in più dentro una grossa
confusione creata proprio dalle cose che in questi anni abbiamo pensato. Per
esempio tutta una serie di acquisizioni nate nei piccoli gruppi (di discussione
sulla pratica) non sono state trasferibili al collettivo, anzi hanno come impedito
a molte donne di vivere il momento del confronto più allargato. Ciascuna
di noi, con la, propria verità, che poneva un velo di nebbia tra la presa
di coscienza individuale e il progetto politico del movimento. Per cui qualsiasi
momento politico (collettivo) veniva svuotato di significato. - A un certo
punto, dopo aver frequentato saltuariamente per alcuni anni il collettivo di Cherubini,
ho sentito che avveniva al suo interno come una caduta della tensione politica,
nel senso che l'attenzione si era talmente spostata sull'analisi dei vissuti e
in particolare di quello che accadeva lì nel momento specifico, da farmi
perdere di vista la finalità politica del movimento. Mi è venuta
voglia di incontrare le donne che stavano facendo nuove esperienze in realtà
assolutamente diverse (scuola, fabbrica e quartiere) da quelle in cui mi ero formata
io. Nacque così il collettivo di donne che si riuniva al CRAMP. II progetto
comune inizialmente era quello di confrontare le pratiche che ognuna di noi faceva
nei propri collettivi. In realtà era molto difficile, perché le
donne arrivavano numerosissime e confrontarsi in cento e più persone diventa
veramente impossibile. Per cercare di sbloccare la situazione a un certo punto
abbiamo tentato di darci un lavoro comune, e siccome la maggior parte di queste
donne usciva da organizzazioni della sinistra oppure vi era ancora dentro, ma
contestandole, il punto di partenza fu proprio l'analisi del nostro rapporto con
la politica tradizionale e la nuova pratica femminista. Purtroppo dopo il primo
anno, in cui fu possibile fare un certo lavoro e portare avanti un grosso discorso
di crescita, forse più a livello individuale che collettivo, cominciarono
ad arrivare " le sparviere delle organizzazioni " mandate lì
a portare la linea. Il risultato fu che le organizzazioni persero molte delle
loro militanti che in questo incontro-scontro andarono in crisi, ma il lavoro
che si voleva portare avanti divenne sempre più frammentario. Il
collettivo si era trasformato in un campo di battaglia, quando cominciarono ad
arrivare " le cherubine ", immediatamente vissute come i fantasmi del
femminismo puro. A questo punto non è stato più possibile comunicare,
nel senso che l'unica dimensione era lo scontro. Questa esperienza, che all'inizio
fu vissuta da me come fallimentare, ripensata a distanza di tempo mi sembra quasi
un successo. La maggior parte delle donne che in quel luogo presero coscienza,
hanno portato avanti comunque il discorso anche se con pratiche diverse e in ambiti
diversi. Mi rimane sempre la voglia che si possa ancora trovare un luogo dove
sia possibile realizzare l'ipotesi di confronto e di scambio che era stata all'origine
del Cramp e che ancora oggi rimane senza risposta. Separazione -
Ho cominciato a frequentare il Cramp quando da poco mi ero avvicinata al femminismo,
per cui sentivo un'enorme attrazione. Ero una donna con un passato di emancipazione
con casini, figli, lotta politica, non intendevo che il femminismo avrebbe dovuto
essere una separazione totale da tutto, piuttosto un'espansione, rapporti migliori
e modificati con le donne, non solo con le poche del gruppo. Inteso così
l'avrei vissuto come ghetto, mentre la grande scoperta del confronto collettivo
tra donne mi era sembrata andare nel senso che ogni donna potesse essere accettata
con la sua storia e specificità. Le mie modificazioni, quindi, dovevano
essere in rapporto proprio alla mia storia e non a dei modelli precostituiti a
cui adeguarmi. Purtroppo è successo che questi modelli diventassero
dei riferimenti a cui adeguarsi, piuttosto che degli stimoli alla modificazione,
per cui per la mia storia ho sentito impossibile una adesione totale, ho cominciato
a sentirmi con un piede dentro e un piede fuori. - Mi sento nella stessa situazione,
ma con una grossa ambivalenza verso chi vive oltre che teorizzare, la separazione:
attrazione per una fantasia di tentare l'impossibile, che per me è la separazione
totale dal mondo dell'uomo, e che nello stesso tempo vivo come pazzia; repulsione
per la conflittualità che questo mi crea rispetto alla mia vita quotidiana,
figli, lavoro, ecc. - Trovo che la separazione possa al limite essere una scelta
più comoda, che esclude la lotta e il confronto. Per quello che riguarda
la sessualità modificata, mi sembra che nei rapporti tra donne manchi l'erotismo
e la passione. - Per la mia esperienza ho vissuto la separazione a periodi
alterni nella mia vita, non perché mi si ponesse davanti come modello ideologico,
ma perché proprio in quei momenti le mie contraddizioni potevano essere
chiarite solo separandomi dal rapporto con l'uomo. Naturalmente era solo una separazione
di tipo sessuale, perché in realtà rimaneva tutto il rapporto col
mondo del lavoro, insomma con la società maschile. Questo non voleva dire
però automaticamente che io riuscissi a vivere rapporti di corpo con le
donne, proprio perché non riuscivo ad accettare la sessualità come
dover essere. Mi è capitato invece di avere un rapporto sessuale con una
donna quando non me lo sono più posto come imperativo categorico della
nuova morale femminista. Solo allora è nato in me concretamente il desiderio.
È stata un esperienza molto bella, ma ancora tutta da analizzare. Sono
consapevole che probabilmente con l'uomo nelle stesse condizioni mi sarebbe scattato
l'innamoramento, con questa donna no. Mi viene in mente che forse questo è
stato causato dal fatto che le richieste che faccio all'uomo sono quelle di confermarmi
totalmente, e sento che questo passa attraverso l'identità sessuale dell'uomo
stesso. Ad una donna non mi sentivo di fare nessuna richiesta perché nel
rapporto speculare mi veniva rimandata l'immagine delle mie stesse mancanze. La
chiusura dei gruppi ci ha colte di sorpresa, lasciandoci ancora molti nodi in
sospeso da affrontare. A partire da questo riteniamo sia necessario approfondire
ancora questi appunti tra di noi (piccolo gruppo), in modo da dare un contributo
più consistente alla discussione all'interno del collettivo. Antonia,
Donatella, Elisabetta, Franca, Giancarla, Giovanna, Giuliana, Ida, Maria Luisa,
Renata, Rosalba, Rosy Torna
su LA
MODIFICAZIONE PERSONALE E L'AGIRE POLITICO Diversità
- Confronto - Implicazione tra le pratiche I
rapporti personali tra le donne e le differenti pratiche producono conoscenze
e modificazioni che, raramente e con fatica diventano acquisizioni politiche collettive.
Di conseguenza: si svuota di contenuti il progetto comune, mentre si esaltano
e si generalizzano i tempi personali e le scelte specifiche, limitate di un singolo
gruppo. L'atteggiamento più critico di ognuna rispetto alla pratica
fatta finora, permette di affrontare concretamente tra di noi la differenza evitando
lo scontro ideologico e rintracciando, quando è possibile, unificazioni
e contraddizioni. L. e L. sottolineano l'importanza ma anche i limiti della
pratica dell'inconscio: possibilità di far prendere coscienza delle ragioni
profonde della sessualità - messa tra parentesi di un fare materiale con
le donne; attenzione alle dinamiche del gruppo, scarso interesse per la diversità
delle posizioni politiche. S.
ha tentato di non separare il suo lavoro con le donne dalla lotta politica all'interno
della scuola. Per questo ha fatto riferimento al collettivo di via Rugabella che
si propone un'ottica politica complessiva e organizzativa rispetto alle molteplici
contraddizioni sociali. Ora però ha il dubbio di non aver tenuto conto
effettivamente delle donne e della specificità di una pratica che vuole
partire dalla sessualità e dalle storie personali. L. viene dall'esperienza
di un consultorio per le donne. Tentativo di allargamento della coscienza politica
tra donne diverse, difficoltà a tenere insieme i vari momenti in cui si
svolgeva il lavoro: autocoscienza - discussione politica e organizzativa, pratica
del self help. Le difficoltà maggiori sembrano essere nate proprio sul
self help, che tirando in ballo il corpo, presupponeva attenzione alle fantasie
sessuali e analisi dell'inconscio. A. viene da un gruppo di autocoscienza.
Il collettivo di via Cherubini le ha dato l'impressione di un gruppo chiuso nella
specificità della sua pratica e del suo linguaggio. Si tenta un'analisi
del rapporto tra diversità di pratica - competenza - normatività
linguistica - potere: ogni pratica focalizza un aspetto, sceglie un'ottica, instaura
un linguaggio, accentua la separazione rispetto alle donne provenienti da altre
pratiche o che non hanno fatto alcuna pratica. L'intolleranza per il "
diverso" può prendere il sopravvento e dar luogo a uno scontro ideologico
quando non si è fatto il possibile per cogliere nel diverso la molteplicità
delle contraddizioni che siamo state costrette a mettere tra parentesi per privilegiare
un'ottica parziale. Quando non si è più disposte a mettere in
discussione la propria pratica e si perde ricettività rispetto al diverso,
la conoscenza acquisita diventa competenza su un ambito parziale di problemi (l'aborto,
la sessualità, la medicina) e di conseguenza normatività ideologica,
linguistica, potere. Lo stesso si può dire per la diversità che
nasce dalle storie personali, dalla maggiore o minore continuità nel lavoro
politico, dal differente significato che assume per ognuna di noi l'agire politico.
Si fa l'esempio delle donne che nel gruppo vengono indicate come " figure
di potere": la partecipazione attiva alla elaborazione del discorso politico,
la responsabilizzazione rispetto alle possibilità di tradurlo in una pratica,
se non è sempre esplicitato il rapporto tra atteggiamento politico e storia
personale, producono una personalizzazione eccessiva della pratica (identificazione
tra pratica e persona che se ne fa portatrice, e quindi attribuzione di potere
alla stessa). L'ideologia e la militanza si riproducono anche tra di noi quando
non si riesce a mettere in dialettica storia personale e agire politico, modificazione
personale e coscienza collettiva. Anche una pratica incentrata sulla sessualità
può diventare ideologica. Nella mia esperienza - dice L. - l'esaltazione
del ruolo pubblico è in parte legata alla negazione di bisogni e tempi
personali, alla tendenza a dar valore al progetto politico più che alle
singole donne (legata evidentemente al fatto di negare in sé l'essere donna).
La dipendenza che si crea in un collettivo rispetto a queste persone non è
riducibile alla passività (delega) ma ha una connotazione sessuale (rapporto
uomo-donna, sadomasochismo): attribuzione di potere e autorità alle donne
che appaiono più repressive della sessualità e del bisogno-dipendenza. Come
si dialettizzano personale e politico? In ogni azione politica anche la più
ideologica, sono implicate, più o meno consapevolmente, le storie personali.
Ciò che contraddistingue la nostra pratica è di aver posto l'analisi
e la modificazione della sessualità come assunto centrale e imprescindibile
dell'agire politico. Il rinascere continuo dell'ideologia può significare
che non abbiamo analizzato abbastanza l'interiorizzazione della violenza. Potere
e linguaggio analitico: L. fa notare che la pratica dell'inconscio, se da
una parte ha permesso di affrontare la sessualità nei suoi risvolti profondi,
dall'altro ha prodotto: conformità di linguaggio, espropriazione di ogni
altra competenza, astrattezza psicologica, esaltazione delle attribuzioni immaginane,
sia pure fondate su di una disparità reale (rispetto a chi ha fatto esperienza
analitica): donne pensate come capaci di "vedere dietro le parole "
(analiste), altre che si sentono " guardate attraverso ", osservate
al di là della loro percezione cosciente.
Rapporti personali
e momento collettivo Siamo tutte d'accordo che è una contraddizione
lo scarto che c'è tra le difficoltà che si incontrano nei rapporti
personali tra donne (diffidenza, aggressività, dipendenza) e l'impressione
di unita-amalgama affettivo che tende a dare il collettivo. Amalgama - uniformità
- normatività - ripetitività - ideologia. La saldatura affettiva
nel collettivo non è solo immaginaria, ideologica, fuorviante; impedisce
l'analisi e il confronto della diversità e quindi la possibilità
di esprimere giudizi e decisionalità politica. D. fa l'ipotesi che sia
così difficile analizzare la diversità perché associata all'idea
dell'abbandono - separazione - aggressività. L'aver dato tanto spazio
alle dinamiche affettive - dice G. - ha sviluppato una maggiore dipendenza tra
di noi. Il riconoscimento non viene solo da una affettività generica,
ma anche dalla possibilità di vedere le capacità delle singole donne
in un fare concreto insieme. Per D. l'esaltazione dell'unità affettiva
dipende dalle difficoltà inerenti all'esperienza di rapporti sessuali tra
donne - sessualità e aggressività/violenza in noi sono così
fuse per cui si può pensare la modificazione come molto lenta; perciò
esasperiamo il bisogno di accettazione generica. Ciò sembra confermato
dal fatto che, anche nei rapporti più personali, sessuali si tende a cancellare
la diversità: si cerca somiglianza, specularità nell'altra donna;
difficilmente si riesce a vedere l'altra nella sua singolarità. Si
sottolinea il rischio di cadere in una generalizzazione ideologica dell'"essere
donna ". È già capitato storicamente che, per fare prendere
coscienza di una forma specifica di sfruttamento si sia dovuto ritagliare nella
complessa storia del singolo una identità sociale, la classe. C'è
il rischio che anche le donne nella ricerca di una identità sessuale e
politica producano un'immagine collettiva di sé astratta e ideologica.
La tendenza a creare un'unità normativa e ideologica si può
riscontrare : - nella trasformazione della pratica dell'inconscio in pratica
analitica tradizionale; - nel conformismo linguistico: uso di termini riconosciuti
dal gruppo; -
nell'incapacità di avere interesse ed amore per una donna presa nella sua
singolarità - necessità di individualizzare i rapporti senza sottrarsi
al progetto collettivo; - nell'avere innalzato la nostra miseria come bandiera,
nell'aver fatto del trionfalismo sui sintomi storici della violenza subita (disinteresse
politico, passività, povertà creativa, atomizzazione).
Piccolo
gruppo - Collettivo Si fa notare la diversità di atteggiamento e
di valutazione politica rispetto al collettivo. G. e L. hanno privilegiato
fin dall'inizio il momento collettivo subordinando ad esso il lavoro dei piccoli
gruppi. Per L. il gruppo ristretto permetterebbe di approfondire i temi che
interessano. Il collettivo è, attualmente, più simile ad una assemblea
e costringe a rapporti stereotipati. P. sostiene, al contrario, che nel collettivo
i livelli di coscienza diversi e la disparità di conoscenza, si sopportano
meglio o forse il collettivo permette di più l'evasione, la deresponsabilizzazione. -
Nel collettivo la diversità è grande e non è esplicita. I
silenzi e le parole hanno un significato diverso per ognuna. L'intenzione conoscitiva
è maggiore; lo spazio per allargare la coscienza collettiva può
far sentire di più lo scarto rispetto alla modificazione personale. -
necessità di non perdere di vista a) che il lavoro del collettivo Cherubini
ha permesso di arrivare alla casa delle donne; b) che sarebbe una contraddizione
abbandonare il collettivo in un momento di allargamento e di diversificazione
delle pratiche; - nella politica tradizionale i dislivelli di coscienza si
risolvono con la militanza, l'indottrinamento e l'adesione ai tempi oggettivi.
Per noi non c'è che esplicitare la diversità, confrontandola e prendendo
posizione; - tendenza a enfatizzare i tempi soggettivi, a indebolire la tensione
verso un progetto politico collettivo corrispondente ad una condizione storica
delle donne; - perché il collettivo resta un luogo ideologico e vuoto?
La difficoltà non sta nell'esplicitare le diverse iniziative ma nel rendersi
conto che ciò comporta la possibilità di prendere posizione, di
esprimere un giudizio. La conflittualità politica si teme che minacci la
solidarietà tra donne. - sull'uso di Col di Lana : uscire dalla contrapposizione
astratta tra chi sembra volerne fare solo un luogo di riunioni e chi invece un
luogo di vita alternativa. Col di Lana deve rappresentare la modificazione intervenuta
nei rapporti tra donne che investa sempre più il quotidiano e il privato
senza pretendere di diventare una struttura alternativa di sopravvivenza. Si ripro-pone
qui un tema più generale: deve o no il movimento darsi il compito di rispondere
ai bisogni primari delle donne? -Non si può pensare neppure di portare
dentro tutte le cose che sono nate dalla pratica di questi anni. Privilegiare
iniziative che raccolgano la diversità e la elaborino. Che
modificazioni ha portato il piccolo gruppo? La comunicazione principale
delle nostre diversità è avvenuta nel lavorare insieme più
ancora che nei contenuti: M. fa notare infatti che facendo insieme le riunioni
ha sperimentato un diverso stile di lavoro: maggiore attenzione reciproca, maggiore
approfondimento dei problemi, ecc. Nel suo collettivo le scadenze esterne generano
ansia e scarsa capacità di ascolto. Rimane la difficoltà di trasferire
queste nuove acquisizioni nel collettivo di provenienza. Riemerge la diversità
tra - chi, avendo sperimentato qui concretamente una pratica diversa, vuole
continuare il gruppo, magari allargandolo; - e chi intende questo lavoro come
prevalentemente finalizzato alla rprogettazione della pratica e del collettivo.
Nel caso precedente il rischio è di considerare il collettivo un semplice
prolungamento di questo gruppo, cioè inevitabilmente un'assemblea/coordinamento. Il
gruppo ha vissuto comunque di entrambe queste esigenze e si pensa che il collettivo
debba tenere conto di entrambe. Angela, Anna, Daniela, Donata, Giordana,
Lea, Lele, Livia, Luciana, Maria, Marilde, Pinuccia, Susy Torna
su APPUNTI
DEL GRUPPO NUMERO 4 - Nel fare Col di Lana
e la Libreria delle donne c'era già una messa in discussione della nostra
pratica analitica: abbiamo creato, infatti, situazioni nelle quali i rapporti
fra donne potessero essere non soltanto parlati o solo vissuti, ma situazioni
di comunicazione mista: scambio di parole, cose, lavoro, sessualità. Se
la Libreria e Col di Lana non sono riconducibili a un gruppo in quanto molte più
donne vi si riconoscono, permettono l'uscita dalla paralisi verbale o dalla ripetizione
del vissuto, possono essere luoghi di reale modificazione. - Il fare la libreria
come lavoro produttivo fra donne non garantisce di per sé un rapporto con
le donne che entrano, estranee a questo fare. - Diciamo che Col di Lana e Mancinelli
hanno modificato la pratica politica ma io ho un calo di tensione politica verso
le altre donne; vado alla casa solo quando ci sono le mie amiche (al di fuori
delle riunioni), ci lavoro quando ne ho voglia, le nuove mi infastidiscono, la
loro storia non mi interessa. Allora come si tiene in piedi un collettivo? È
come se dando libero sfogo al desiderio individuale sparisse la dimensione collettiva. Si
è subito aperta una dialettica: Col di Lana come luogo di lotta delle donne
o come luogo alternativo? - Vorrei capire la differenza tra il movimento lesbico
e il movimento di lotta delle donne: tra di noi c'è il desiderio ma anche
il non desiderio
di stare tra donne, per il modo in cui si è strutturato il nostro desiderio,
in rapporto con la sessualità maschile ecc. - Perché nonostante
la modificazione e l'aggiustamento personale, si sente la necessità della
dimensione politica di lotta appunto? - È possibile un progetto politico
che raccolga e sintetizzi le esigenze di liberazione di tutte le donne? La
mia esperienza è stata quella di uscire dalla emarginazione da tutta la
realtà attraverso l'autocoscienza e la pratica fra donne di questi anni.
Questo processo di emancipazione dai livelli più profondi di disagio e
alienazione nei confronti della realtà ha prodotto un movimento di modificazione
per la persona. Per altre processi diversi (da una realtà fortemente
emancipata, di competizione con l'uomo a un abbandono di questa competizione...),
hanno portato a modificazioni anche qui personali. Questi diversi movimenti nelle
persone nei confronti della realtà hanno anche prodotto l'apertura della
contraddizione con l'uomo, non più solo come separazione, ma come conflitto,
che ha dentro spunti positivi di lotta. Ma allora, se nei confronti della contraddizione
uomo/donna, ciascuna parte da una sua storia precisa non identificabile con quella
di nessun'altra, e da lì muove per riappropriarsi della realtà politica
di sé, la " politica " si esaurisce in questo diventare da oggetti,
soggetti della realtà o c'è qualche cosa d'altro? Nei rapporti
fra donne come rientra e si rimodifica ciò che è stato modificato
a livello personale nella realtà dei rapporti con l'uomo e la società? Se,
ad esempio, uscire dalla emarginazione-esclusione significa acquisire modalità
di competizione, questa modalità come è vissuta: in tutta la sua
contraddizione di attività-sopraffazione o è presa in blocco, così
come essa è proposta da questa società? E al contrario, quando
si abbandona la competizione nel mondo dell'uomo cosa avviene di questa nei rapporti
fra donne? Sta qui forse la contraddizione fra modificazione privata e modificazione
politica collettiva? Movimento di persone o movimento di lotta delle donne?
- La modificazione personale non sarebbe percepita, in quanto è lenta e
parziale senza la dimensione collettiva. - L'esistere del collettivo fa parte
della modificazione. - La violenza sulle donne è rimasta intatta, non
riesco ad isolarmi nella mia soggettività, vedo la prostituzione, le casalinghe
ecc., so che può capitarmi di essere violentata o offesa, per questo voglio
modificare la società a partire dalla mia relativa e parziale autonomia.
Comunque si avverte uno scarto tra modificazione personale e lotta delle donne;
da questo scarto nasce il bisogno del collettivo. - Però il Collettivo
può essere solo un luogo ideologico, simbolico dell'essere insieme delle
donne, della loro unità, serve a capire a che punto è il movimento;
le varie pratiche sono fuori. - La fantasia del collettivo come unico, solidaristico,
impedisce a molte di parlare, di prendere posizione; la conflittualità
impedirebbe di essere nutrite simbolicamente. - La passività rispetto
al collettivo come resistenza a entrare nel gioco delle parlanti come ruolo. Attesa
dall'esterno di una distruzione reciproca dei ruoli. Sui loro cadaveri sorgeranno
esistenze attive in rapporto paritario fra loro. Il gioco può durare all'infinito
per questa non partecipazione in quanto nel frattempo questi ruoli non si distruggono
a vicenda ma vengono confermati tutti dalla passività. La soluzione
non è dunque il bombardamento del quartier generale ma la rottura di questo
incastro. Passività come bisogno del Collettivo in quanto luogo simbolico
di nutrimento per la propria modificazione. Di volta in volta le molte sperimentano
e vivono le ipotesi fatte da chi simbolicamente nutre il collettivo (teoriche,
tali ipotesi, per chi le elabora in base al proprio momento storico reale, ideologiche
per chi passivamente le accoglie e le esperimenta impiantandole sul proprio momento
storico non verificato). Se il collettivo diventasse reale costringerebbe all'autonomia
e alla reciprocità (livello reale e diverso di modificazione). Nel Collettivo
immaginario c'è chi nutre e chi è nutrita per modificarsi; nella
realtà nessuna nutre e nessuna si modifica; non esiste quindi, se non ideologicamente,
il desiderio di modificazione dei rapporti fra donne e di tutta la realtà.
Da qui una situazione di paralisi. La passività ha dentro come due tipi
di richiesta: 1) garanzia del non ritorno alla dipendenza dall'uomo offerta
dal nutrimento immaginario del Collettivo. 2) nutrimento affettivo attraverso
le donne che permette un ritorno al territorio dell'uomo (reale o anche solo immaginario come
indipendenti. - Il collettivo me lo devono fare, Col di Lana anche, io non
espongo lì i miei desideri perché non c'è risposta. -
Nessuno te lo fa più, la crisi è venuta perché non c'è
più alimento (il rapporto madre-figlia non regge più, se ha mai
retto...), desidero ora trovare anche una dimensione dove non ci sia la mediazione
dei rapporti affettivi. - L'unico modo per uscire dall'affettività è
che emergano altri bisogni, desideri autonomi; non se ne esce dicendo: rifiuto
l'affettività. - Avere affrontato la sessualità ha dato origine
a nuovi bisogni e desideri, persino il problema del lavoro diventa diverso, più
autonomo dall'analisi marxista (non così per la maternità perché
lì il desiderio della donna ha potuto esprimersi anche se in forme contraddittorie);
ma come affrontare questo nuovo? Nel Collettivo non si accetta la diversità,
si personalizza, c'è costrizione a stare unite, come nelle famiglie ci
si parla sopra le righe. - Ci sono troppi aspetti negati tra di noi : cultura,
classe, lavoro; quanto pesano questi ambiti personali nei rapporti tra di noi?
Se non se ne parla nel Collettivo non ci sarà modificazione e continueranno
a condizionarci le storie diverse. - Da quando ho vissuto i rapporti con le
donne in modo più reale (sessualità ecc.) c'è stato uno spostamento
di interesse verso le donne; per altre cose, come il lavoro, continuavo a fare
riferimento all'uomo; adesso chiedo alle donne di interessarsi anche di questo
mio problema, non per esigenza " politica " ma come bisogno, se no sento
ripetitivi anche i rapporti sessuali affettivi, che non mi bastano più;
prima sembrava una grande conquista, adesso no. Ma
non per parlarne una volta e lasciarli cadere. Capire, prendere posizione, vedere
i nessi con la sessualità. Chi l'ha detto che nel lavoro non c'è
il sessismo? Da tutta la pratica fra donne inoltre, non mi è dato di elaborare
nessuno strumento politico per leggere e modificare quella realtà, per
entrare in rapporto politico con le. donne con cui lavoro e magari lotto. -
Non saremo noi donne, oggetto di scambio tra gli uomini e riproduttrici della
specie, a dire che sessualità ed economia sono separate. - Noi abbiamo
messo al centro della nostra pratica l'analisi della sessualità nei rapporti
fra donne (in realtà di questi rapporti non si sa nulla ad eccezione di
descrizioni generiche, dipendenza, ruoli ecc., con qualche allusione a qualcosa
di ineffabile e innominabile), ma ciò che più profondamente segna
la sessualità, il sado-masochismo, - continuamente riconfermato dalla struttura
capitalista - è rimasto fuori. Ci può essere piacere nella sottomissione
all'uomo e anche alla donna. Questo, tra sessualità e dominio è
un altro nesso da affrontare, passandoci attraverso. - Anche quelle fra di
noi che hanno rapporti più stabili mi sembrano ripetitive, la modificazione
sembra ridursi alla sessualità nel senso che fanno all'amore fra donne,
la modificazione collettiva si riduce a quella solidaristica; è assurdo
pensare che i rapporti diventino concreti solo se sessuali, mentre con tutte le
altre donne, nel Collettivo, ad esempio, restano astratti. - La risposta o
perlomeno l'attenzione ai bisogni nuovi quale può essere? Ghetto o scardinamento
di quello che c'è intorno e anche dentro di noi? L'abbiamo fatto con la
famiglia, perché no con il lavoro o la maternità. - Per il fatto
che molte di noi non si sono sposate o si sono separate non è che abbiamo
distrutto la famiglia. Abbiamo detto che la riproponiamo continuamente nei rapporti
tra di noi... - Se tu dici che vuoi come progetto politico sovvertire la famiglia
e l'economia, come puoi accontentarti del Collettivo simbolico? È veramente
un bisogno reale? Perché se così fosse avresti bisogno di un Collettivo
reale. - In effetti risulta astratto il desiderio di sovvertire per me. -
II Collettivo non può essere il luogo in cui si confrontano all'infinito
le diverse pratiche politiche (Col di Lana un'accozzaglia delle politiche più
diverse) ma un insieme di donne che si riconoscono in un progetto comune. Gli
anni passati il Collettivo di via Cherubini, con tutti i limiti aveva una pratica
che privilegiava l'analisi della sessualità, dei rapporti fra donne; a
partire da quelle cose voglio una rifondazione, un ampliamento, ma non un'assemblea
che fa il punto della situazione mentre il lavoro politico produttivo si svolge
nei piccoli gruppi. - C'è un problema di metodo: come analizziamo le
contraddizioni tra di noi, le diverse motivazioni a stare nel Collettivo, a volere
Col di Lana o Mancinelli, come prendiamo posizione? - Per prima cosa per noi
nuove è importante che i problemi siano nominati, esplicitati. - Esempio:
mercoledì una ha fatto un intervento in cui diceva che non sentiva la necessità
del Collettivo, il lavoro che la interessava - analitico - era fatto meglio nel
piccolo gruppo, è stato interpretato come desiderio di provocazione. Può
darsi che fosse vero ma veniva scavalcato il problema che poneva, che interessava
tutte: il rapporto con il Collettivo. Ogni discorso viene rimandato all'interpretazione
del discorso. Il gioco dell'interpretazione favorisce l'oscurità; attraverso
l'interpretazione la diversità si attenua. - Il Collettivo tende a negare
la differenza e quindi ti nega anche la possibilità di modificazione reale
perché ti toglie gli elementi di confronto; l'interpretazione rimanda tutto
ai problemi interpersonali: psicologia e luogo ideologico. - Anche nell'analisi
personale mi faceva incazzare l'interpretazione psicoanalitica delle scelte politiche
che ponevo, però, in quel contesto era accettabile perché, avvenendo
attraverso l'analisi del transfert metteva in discussione solo l'aspetto nevrotico,
infantile delle scelte stesse. - È chiaro, nell'analisi c'è attenzione
alla storia, conoscenza del profondo, ma nessuna attenzione alla storia della
realtà delle donne, alla loro liberazione collettiva. - Nell'intervento
di Donatella c'erano due bisogni: quello politico e quello di relazione interpersonale
(cioè i due livelli che ci sono nel nostro Collettivo, di cui alcune privilegiano
il primo, altre il secondo). - È giusto criticare le componenti nevrotiche
delle scelte politiche: sono i due livelli ineliminabili. La domanda è:
come la nevrosi può stare dentro il movimento senza ridursi a gruppo analitico,
quasi terapeutico? - Il che poi è stato impossibile; i sintomi, le nevrosi,
ecc. non sono stati affrontati, nel Collettivo c'è intenzionalità,
reciprocità ecc., figurati che analisi; tra l'altro gli strumenti minimi
di questa pratica non sono diventati collettivi. - Io nell'interpretazione
sento sempre la domanda d'analisi: fate a me quello che io faccio a voi. Rimane
un problema. Nella riunione della domenica sulla procreazione c'è stato
un accostamento di vissuti paralleli; non si entrava, in relazione, è il
solito problema di tenere i due livelli. Quando una pone una questione si può
anche andare oltre o mettersi in gioco, ma, a partire dal problema, saldarsi in
qualche modo con la sua soggettività e con il problema che pone. - Quando
si sentono dieci vissuti tutto diventa generico, confuso; è necessaria
un'ipotesi teorica; tutta la teoria che avevamo si è esaurita. - Non
ci sono rapporti reali tra noi: il simbolo si fa su qualche cosa di materiale. -
La teoria ci aiuterebbe a far sì che ci sia più materialità. I
rapporti tra donne sono limitati perché idealizzati; l'idealizzazione paralizza
sia l'elaborazione teorica che la materialità dei rapporti. Abbiamo
paura della conflittualità, di prendere posizione sulle cose che non ci
vanno delle altre donne, su quello che succede in Col di Lana. - La sessualità
tra donne non è esplosa in Mancinelli ma è stata assimilata ideologicamente,
è entrata in gioco censurata (rapporti affettivi). Vorrei che si mettessero
in discussione i vissuti modificativi della sessualità, anche con quelle
che magari non hanno vissuto i rapporti sessuali fra donne; questo infatti permetterebbe
circolazione e comunicazione della diversità dei rapporti e delle pratiche. Mi
ricordo una riunione del Collettivo in cui si parlava del sado-masochismo, che
mi era piaciuta molto. Se invece ci limitiamo a recuperare dei temi (aborto, maternità,
ecc.) questa circolarità si riduce a vissuti accostati o a discussioni
ideologiche. - Sulla contraddizione sessualità/non sessualità
fra donne vorrei che venisse rifondato il progetto e il lavoro politico. -
Vorrei che si parlasse di rifondazione, e non di svolta. Porre attenzione a ciò
che di noi è meno conosciuto: la sessualità, tenendo naturalmente
conto di quanto è intrecciato ad altre contraddizioni, di quanto è
prodotto di altre strutture. postilla 1. L'obiezione della donna muta -
Ho sentito un senso di soffocamento quando si parlava (io stessa avevo fatto di
tutto perché si arrivasse a questo discorso) del Collettivo come luogo
di confronto fra pratiche politiche diverse, desideri diversi, ecc. ed insieme
irritazione per alcuni interventi demagogici in difesa delle donne spoliticizzate.
Fisicamente mi sono allontanata dal cerchio di quelle che stavano attente alla
discussione. Non era mai successo. Ho cercato di capire. L'attenzione, direi la
tensione politica, al Collettivo, al suo funzionamento, aveva con violenza negato
la parte muta di me, quella che non può e non vuole parlare e che per questo
non accetta d'essere descritta, illustrata, difesa da nessuno. Ne dal Collettivo
ne dagli analisti ne da quella parte di me che parla. È andata e va
così: ho sempre fatto attività politica e ci sono riuscita bene
ma in quasi tutte le situazioni collettive mi mancava la parola, letteralmente;
ho chiesto l'analisi perché iniziando a fare l'avvocato mi ero ammutolita
davanti ad un giudice al quale dovevo chiedere un semplice rinvio. Ho deciso di
finire l'analisi, durata sette anni, dopo un lungo silenzio, l'avevo chiesta per
riuscire a parlare, la chiudevo con il desiderio di non parlare. Quasi un fallimento. II
ritorno del rimosso minaccia ogni mio progetto di lavoro, di ricerca, di politica.
Minaccia, o è la cosa realmente politica di me, cui dare sollievo, spazio?
Una volta l' ho fatto, quando ho lasciato il partito e mi sono messa in un gruppo
di donne, prima e durante il '68, gruppo ch'era una cosa marginale, piccola, rispetto
a quel grande movimento. Il mutismo metteva in scacco, negava quella parte di
me che desiderava fare politica, ma affermava qualcosa di nuovo. C'è
stato un cambiamento, ho preso la parola, però in questi giorni ho capito
che la parte affermativa di me stava occupando di nuovo tutto lo spazio. Mi
sono convinta che la donna muta è l'obiezione più feconda alla nostra
politica. Il " non politico " scava gallerie che non dobbiamo riempire
di terra. - Mi sembra che anche Alba dicesse che la parte emancipata di lei
soffocava l'altra, meno conosciuta, più sofferente, che preme per la liberazione. -
A me, per esempio, delle donne che hanno il problema di abortire non m'importa
niente, e questo costituisce un disagio personale ed un problema politico. Non
comprendiamo la diversità delle altre non dando spazio al nostro diverso.
Negazione e non superamento. postilla 2. Legge = separazione = legge "II
personale è politico" ha funzionato finché il personale voleva
dire : oppressione, privatizzazione, solitudine, ecc. Adesso ci sono stati dei
cambiamenti prodotti da quella iniziale presa dì coscienza e ci accorgiamo
che il nostro personale, migliorato, non è più immediatamente
politico. Infatti parliamo di mettere in rapporto le modificazioni personali con
la dimensione politica. A causa di questa disarticolazione il cosiddetto politico
ridiventa astratto. E da qui deriva, almeno in parte, la difficoltà che
troviamo a definire un progetto politico per Col di Lana. La separazione tra
personale e politico, pubblico e privato, è imposta dalla forza della legge
(in senso proprio dal diritto) e produce legge. Infatti una parte dei problemi
che vengono fuori in Col di Lana, come affitti, manifesti, chiave, nascono dalla
necessità di regolamentare. Per noi donne la separazione tra personale
e politico è pericolosa perché ci porta a disimplicarci dalla sessualità,
dai rapporti stabiliti tra donne (rapporti che sappiamo stabilirsi dentro e fuori
il Collettivo, e che giustamente non conoscono luoghi privilegiati). Secondo noi
questa disimplicazione ha come esito una cosa che conosciamo bene, la perdita
della sessualità. In questa situazione, volendo comunque fare politica,
rischiamo di metterci sulla strada del gradualismo: finora ci siamo occupate della
sessualità e dei rapporti tra donne, ora affrontiamo altri temi (lavoro,
istituzioni ecc.) e confrontiamo le pratiche (medicina, libreria, ecc.). La
mancanza di strumenti - finita l'autocoscienza, sospeso il tentativo analitico
per tutte le ragioni che abbiamo detto nel documento - rinforza la tendenza al
gradualismo. Noi pensiamo che gli " altri " temi hanno ragione di entrare
nella nostra pratica politica, ma senza gradualismo, bensì legati direttamente
alla sessualità ed ai rapporti tra donne, che restano al centro della nostra
politica. Esempio: una volta la discussione sulla maternità non è
caduta nella sociologia o nella rievocazione biografica proprio perché
l'abbiamo legata a quello che oggi avviene nel movimento delle donne. Bibi,
Luisa A.., Donatella, Lia, Giovanna, Franca S., Rita, Alba, Grazia, Cristiana,
Marcela, Margherita, Piera Torna
su
PROPOSTA
DI UN " CENTRO DI MEDICINA DELLE DONNE" MILANO 14 novembre
1976 Per noi il centro di medicina nasce da una modificazione dell'ipotesi
politica su cui sorse, tre anni fa, il consultorio della Bovisa. Ciò
significa che il progetto iniziale ha subito, proprio nel corso e grazie a questa
esperienza, numerose trasformazioni, fino a dar vita a un'ipotesi politica differente,
più ampia e articolata, che consiste nella costruzione della medicina della
donna. Finora il nostro lavoro politico si è focalizzato sulla comprensione
della nostra condizione di donne, attraverso lo strumento dell'autocoscienza che,
nel campo della medicina, ha gettato luce sulla espropriazione che ognuna di noi
vive rispetto al suo corpo, consegnato a una società che se ne è
appropriata sia psicologicamente che sessualmente, in nome di quell'unico destino,
definito naturale, che è la funzione riproduttiva della donna. Questa
consegna del nostro corpo all'uomo e alla sua società è il dato
emergente da tutte le analisi compiute dal movimento, sia rispetto agli anticoncezionali
che al rapporto coi ginecologi, con le istituzioni ospedaliere, ecc. Da questa
acquisizione fondamentale ora ci sentiamo in grado di muoverci per riappropriarci
della medicina, della nostra salute e, in ultima analisi, del nostro corpo. Perché
un Centro di Medicina delle donne? L'autocoscienza, l'emergere del negativo
della condizione femminile, hanno contribuito moltissimo alla nostra trasformazione. Oggi
sentiamo l'esigenza di affermare dei nostri contenuti in positivo, per continuare
la strada della nostra modificazione e per contribuire in questo modo alla trasformazione
delle nostre condizioni materiali di esistenza. Inoltre, è da tenere presente
che il quadro politico generale si è mosso rispetto alla tematica dei consultori.
Sono state fatte due leggi (una nazionale del luglio 1975 ed una regionale del
luglio di quest'anno) per l'istituzione di consultori, e ciò sta a significare,
pur con tutte le caratteristiche di arretratezza del capitalismo italiano, che
il sistema si è fatto carico, proprio per anticipare l'esplosione di contraddizioni
altrimenti non facilmente arginabili, di alcune tensioni che il movimento delle
donne ha introdotto, anche se solo a livello culturale, nella società. È
allora evidente che le ipotesi di consultori autogestiti, che intendevano porsi
come servizio sociale, vengono di fatto scavalcate dalla creazione di questi consultori,
rispetto ai quali va fatta la massima chiarezza sui nostri bisogni e sulle nostre
richieste. Abbiamo capito, in questi anni, che anche un confronto corretto
con le istituzioni (necessità che molte di noi iniziano a sentire in termini
sempre più pressanti) può nascere solo se noi abbiamo dei contenuti
nostri, la cui elaborazione, il cui approfondimento non può sorgere altrimenti
che da una pratica autonoma, separata. Ancora una volta quindi riconosciamo nell'autonomia
e nella separatezza le condizioni necessario per una crescita politica nostra
e di tutto il movimento delle donne. Non vogliamo che questa medicina, maschile,
diventi patrimonio di tutte le donne, ma che tutte le donne contribuiscano all'elaborazione
di una nuova medicina, " dalla parte della donna ". Siamo infatti
di fronte alla " medicalizzazione " di ogni atto della nostra vita:
dalla enorme divulgazione della medicina in dispense settimanali, alle innumerevoli
rubriche sui giornali femminili, dalla pubblicizzazione dei tarmaci fino alla
stessa operazione istituzionale dei consultori regionali: tutto ciò
contribuisce a creare l'illusione di avere a disposizione gli strumenti per intervenire
sul proprio corpo. Sappiamo bene invece quanto ciò non sia vero, ma
corrisponda a un concetto industriale e consumistico della salute. L'avere a disposizione
70 tipi diversi di contraccettivi non contribuisce di certo alla riappropriazione
del nostro corpo, ma ci relega ancora e soltanto nel ruolo passivo di consumatrici. Ciò
che invece vogliamo creare come donne è una nostra dimensione di salute,
di cui noi siamo i principali soggetti. Questo Centro vuole appunto organizzare,
socializzare e raccogliere le esperienze che già ci sono rispetto a questo
tipo di problematica, ma non solo. Intendiamo muoverci su queste pratiche e problemi
: 1) gruppi di autoanalisi sulla sessualità, sulla contraccezione,
sui legami tra psiche e malattia. Dalla nostra pratica è emerso in
modo lampante la correlazione tra sessualità e contraccezione, proprio
perché non si può considerare quest'ultima un problema tecnico.
Infatti un conto è reperire un contraccettivo per essere "pronte per
l'uso", un conto è ricercare una modalità diversa di contraccezione
che ci vede soggetti nel rapporto sessuale, poli dialettici rispetto alla prevaricazione
della sessualità maschile. Ad esempio tutti possono capire la differenza
esistente tra un controllo delle nascite finalizzato all'uso maschile del nostro
corpo (vedi pillola), e un controllo delle nascite che si basa sulla conoscenza
del nostro corpo, e quindi della nostra fecondità, in grado di determinare
ed influenzare anche la sessualità, e che vede l'uomo stesso impegnato
a ricercare una sua diversa sessualità. 2) Donne e ricerca scientifica.
Recentemente si è posto il problema delle donne impegnate nella ricerca
e del loro eventuale " utilizzo " a servizio del movimento. Secondo
noi nella ricerca scientifica deve esprimersi il nuovo soggetto-donna, assumendosi
la gestione in base ai suoi parametri. Infatti la ricerca "scientifica"
controllata dagli uomini, non solo è pericolosa in senso medico per il
nostro corpo, ma è spesso imprecisa, ingiustificata, incompleta, non risponde
ai nostri bisogni e non ce ne fidiamo più. 3)
Gruppi di self-help. Sull'esempio americano e conseguentemente alla pratica
dell'autocoscienza si sono formati nel movimento numerosi gruppi di self-help.
Con il self-help, attraverso la socializzazione di tutto ciò che concerne
la vita del nostro corpo, le sue malattie, disturbi, le eventuali cure e terapie,
le autovisite collettive, si sta lentamente e tenacemente creando una nuova dimensione
di salute, una medicina che parte dalle nostre esigenze, da tutto ciò che
la medicina maschile ufficiale ha rimosso, censurato, tagliato fuori. 4) Collegamento
con collettivi di donne operanti in strutture ospedaliere e con altre esperienze
di donne analoghe alla nostra. Abbiamo ripetutamente verificato quanto
sia importante ai fini della nostra esperienza ed elaborazione il contatto continuo
con altri gruppi di donne, femministe e non, che lavorano su temi e problematiche
analoghe alle nostre. Per tutte noi è stato fondamentale partecipare a
convegni, dibattiti, confronti all'interno del movimento e altrettanto importante
è stata l'iniziativa di contattare.collettivi di operatori sanitari, sociali
e gruppi di donne (vedi col. di Seveso, ecc.), che lavorano sull'ipotesi della
creazione di una medicina della donna. È una ricchezza che non vogliamo
perdere e che vorremmo fosse parte integrante della struttura del Centro. 5)
Gruppi di espressione corporea. Anche questi gruppi rappresentano un capitolo
importante nella costruzione di una nuova medicina, nel segno di una riappropriazione
da parte della donna del suo corpo. La conoscenza di sé. delle proprie
'sensazioni, dei propri ritmi corporei che si realizza attraverso la pratica di
varie discipline è senz'altro di aiuto e rappresenta un possibile punto
di partenza per le donne che intendono la medicina come uno strumento di conoscenza
profonda di sé, e non come momento di cura di un corpo fastidiosamente
malato. Tutto questo ed altro ancora è il Centro di medicina della donna
per noi. Un punto di riferimento, collegamento, socializzazione delle diverse
pratiche politiche attualmente esistenti nel movimento rispetto a questo problema.
Momento di aggregazione autonoma delle donne che intendono portare avanti la ricerca
di una medicina che parta dai loro reali bisogni, non convergenza indifferenziata
di ogni esigenza, ma progetto politico collettivo, perché anche il problema
della salute diventi tassello di quel mosaico più grande che è la
liberazione complessiva della donna. Gruppo femminista per una medicina
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