di Stefania Tarantino
A proposito de «La carta coperta. L’inconscio nelle pratiche femministe». Un libro a cura di Chiara Zamboni con saggi di Ida Dominijanni, Lia Cigarini, Manuela Fraire e altre.
La psicoanalisi, rivolta al corpo e alla sessualità, indagava l’autocoscienza e l’origine del disagio Come si fa a cambiare il mondo senza cambiare la nostra soggettività? È questa la domanda che attraversa La carta coperta. L’inconscio nelle pratiche femministe, a cura di Chiara Zamboni, (Moretti & Vitali, pp. 155, euro 16) in una fitta trama di voci che, nelle differenze timbriche e teoriche, sono riuscite a creare un unico spartito grazie agli interventi di Ida Dominijanni, Cristina Faccincani, Lia Cigarini, Manuela Fraire, Antonella Moscati, Annarosa Buttarelli, Riccardo Fanciullacci, Wanda Tommasi e della stessa curatrice del volume. Ripercorrere la storia di ciò che sta all’origine del femminismo della differenza sessuale italiano, significa ripercorrere la storia di un patto tra femminismo e psicoanalisi. Questo sguardo all’indietro è oggi necessario perché indagare il ruolo che l’inconscio ha avuto nelle pratiche femministe, a partire dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, significa fare un lavoro essenziale a evitare la definitiva cancellazione della differenza sessuale a favore di una indistinzione sessuale che avanza. La psicoanalisi conserva un assetto patriarcale nel disconoscere il valore simbolico della madre e della libido femminile. Ha offerto però gli strumenti critici per individuare i meccanismi di potere interiorizzati, le identificazioni con i modelli dominanti, l’accettazione dell’ordine sociale e dei ruoli connessi sradicandoli. La destrutturazione dell’impianto psichico su cui questi meccanismi si fondano ha permesso la liberazione del desiderio e l’avvio a una capacità trasformativa del proprio sé.
La praticapsicoanalitica muovendo dalla manifestazione del sintomo psichico, operava uno scavo profondo all’interno della soggettività fino ad arrivare nella sede stessa delle rimozioni, nel luogo dei desideri repressi e socialmente respinti: l’inconscio. Risale al 1974 l’uscita del foglio edito dalla Libreria delle donne di Milano dal titolo Pratica dell’inconscio e movimento delle donne. Dallo scambio con le amiche francesi, in particolare Antoniette Fouque e Luce Irigaray, la pratica psicoanalitica divenne un sapere capace di imprimere una svolta radicale alla pratica politica delle donne. Si rivolgeva al corpo e alla sessualità e indagava l’autocoscienza esplorando gli effetti dei meccanismi inconsci che stavano all’origine dell’irruzione del disagio. Iniziarono a dare parola alla parte muta, censurata e rimossa della propria interiorità. Dalla messa in parola del loro vissuto doloroso e traumatico scoprirono la necessità di rielaborare lo schema edipico, la relazione con la madre, la linea di continuità tra personale e politico. Il conflitto era il presupposto imprescindibile di ogni cambiamento e la pratica dell’inconscio e dell’autocoscienza rappresentava il percorso per liberarsi dall’interiorizzazione del fantasma patriarcale.
Il partire da séera una chiave di svolta decisiva per smascherare la presunta oggettività dei saperi. La relazione di disparità o di affidamento era matrice trasformativa per le donne, apriva al riconoscimento dell’altra potenziandone la presa di parola. La centralità dell’esperienza femminile, così profondamente intrecciata al sentire e alle pulsioni passive, rendeva conto di una capacità di dislocazione del proprio sé nell’alterità esterna e interna al soggetto. Le femministe, attraverso un’appropriazione critica del metodo psicoanalitico, riuscivano ad analizzare in se stesse le trappole psichiche della coazione a ripetere e, in un confronto dialettico serrato tra interno ed esterno, tra conscio e inconscio, aprirono una breccia decisiva per la trasformazione della loro stessa soggettività. La conseguenza fu la necessità di una modifica del paradigma della politica. Tenere insieme ragioni e pulsioni, sfera privata e sfera pubblica, dimensione passiva e attiva dell’intelligenza, comportava l’assunzione di una consapevolezza inedita. La trasformazione del mondo passa sempre e solo attraverso una radicale trasformazione di sé. La posta in gioco era dunque quella di passare da una politica della forza e della gestione del potere a una politica del desiderio. Il salto qualitativo e simbolico richiesto era coraggioso e smisurato. Dire «politica delle donne», alla luce della consapevolezza guadagnata dal percorso della differenza sessuale, significava dichiarare l’abbandono definitivo del soggetto politico tradizionale.
Avere consapevolezza della differenza sessuale significava e significa ancora avere consapevolezza della propria parzialità di contro all’espansionismo e all’onnipotenza imperialistica e narcisistica dell’Io. Una testimonianza preziosa di tale parzialità è rappresentata dalla realtà del sesso materno femminile che opera dal di dentro un’esperienza di relazione originaria con l’alterità.
La differenza sessualenon è una differenza tra le altre, ma la differenza da cui tutte le altre differenze si generano. È questo a essere oggi sotto attacco. Attraverso la cancellazione della madre e della differenza sessuale femminile, si ritorna a un neutro che si considera non più solo soggetto ma oggetto di sé. La scommessa attuale di questo volume sta allora nel rilanciare la matrice originaria del pensiero della differenza strutturata sulla triade inconscio/differenza sessuale/ordine simbolico. Una matrice utile e preziosa proprio oggi. Con molta acutezza è segnalato il passaggio dalla «nevrosi patriarcale» alla «perversione post-patriarcale», un passaggio che suscita, o che dovrebbe suscitare, la necessità di porsi di nuovo la domanda sullo statuto della differenza sessuale alla luce della soggettività attuale. Come osserva giustamente Ida Dominijanni, il passaggio da un’economia psichica nevrotica basata sul desiderio inoggettivabile a un’economia psichica perversa basata sulla coppia prestazione/godimento in cui l’oggetto sta nella realtà al pari della merce, denota lo scollamento definitivo da tutto ciò che faceva da inciampo alla nostra presunta onnipotenza, fino a esonerarci da quel confronto dialettico che consentiva di inoltrarci nelle profondità del sé. Nella conformazione della soggettività autoreferenziale e narcisista dove tutto è superficie, l’alterità è sempre secondaria come lo è la profondità. Non è un caso che nell’evidenza di questo passaggio gli e le psicoanaliste rilevino la manifestazione di nuovi sintomi che sono una diretta conseguenza del narcisismo dell’io e della schiavitù inerente al godimento mortifero.
Nell’aut-aut che oggi viviamo tra sovranismo reazionario e neoliberalismo libertario, riscoprire la passione della differenza sessuale, nella sua carica politica sovversiva, potrebbe riaprire quello spazio transizionale e imprevisto in cui la mediazione femminile nel mondo può essere generativa di un altro ordine simbolico. Il conflitto originario nasce dal sesso, sostenerlo obbliga la scoperta di una creaturalità corporea consapevole che sappia, da quegli anni Settanta, operare una critica ancora più radicale ed esperta, un «moto» che veda e metta lo scandalo patriarcale al centro della politica.
(il manifesto, 23 gennaio 2020)