di Silvia Baratella
In una società in cui l’omertà e la connivenza verso la violenza maschile sono la norma, l’idea di dedicare un monumento cittadino alle donne vittime di violenza non è male. Di certo non fermerebbe la violenza da solo, ma “incontrarlo” per la strada mi farebbe sentire più a casa mia nel mondo. E forse farebbe invece sentire fuori posto aggressori, mariti violenti e misogini vari, spingendoli a chiedersi se la loro secolare “licenza di uccidere” (e brutalizzare) non sia per caso stata revocata.
Forse la Commissione Pari Opportunità della Regione Marche aveva questo obiettivo, quando con la Regione Marche, il Comune di Ancona e varie associazioni femminili locali ha commissionato una statua da collocare su una piazza anconetana.
La statua è stata inaugurata il 23 marzo 2013. Ma l’impatto non è affatto quello che mi attendevo, anzi! Poggiata su un piedistallo su cui è affissa una targa con inciso il motto Il rispetto è un diritto, sempre e la dedica «in onore di tutte le donne vittime di violenza», è raffigurata una donna violata, che ha “diritto” allo stravagante “rispetto” di essere esibita sulla pubblica piazza con quelli che la mia amica Lia Scalici ha definito sul suo blog non «degli abiti stracciati», ma «degli stracci stracciati». Vista di fronte, gli stracci suddetti le scoprono completamente i seni e le spalle, il ventre e l’ombelico, e una gamba fino all’inguine, mentre da dietro l’unico strappo espone e incornicia le natiche nude. In pratica risultano coperte solo le braccia, con maniche lunghissime da cui spuntano appena le dita, che a sinistra reggono una di quelle scomode borsette “della nonna” con i manici a mano. In piedi, a gambe divaricate e rigida come un baccalà, fissa davanti a sé con sguardo vuoto in un volto tanto perfetto nei lineamenti quanto inespressivo. (Per l’immagine, vedi quarta di copertina.)
Imbattersi in lei per la strada sarebbe uno choc anche se non avesse la pelle blu (cianotica per il freddo?). Altro che sentirsi più a casa nel mondo, ci si spaventa! E infatti ha scioccato le donne che l’hanno vista, dal vivo o in foto. Molte hanno scritto e sottoscritto articoli e petizioni in cui chiedono di rimuoverla. Numerosi post-it con scritto Non in mio nome, firmati da donne e uomini, sono stati affissi sul piedestallo. L’artista Luna Margherita Cardilli ha coperto la statua con un accappatoio per non esporre «quelle vesti così didascalicamente strappate e quel seno indifeso» alla vista di tre sue amiche «che tutti i giorni per andare al lavoro» passeranno di lì rischiando di «rivivere il senso di impotenza e di lacerazione» di una violenza subita. Giusto: la violenza maschile non si combatte agitandone lo spauracchio davanti alle donne. Se spauracchio dev’essere, che almeno spaventi i suoi potenziali autori, gli uomini.
Ora, quale può essere la reazione di un uomo che si imbatte in quella statua? Una bella erezione, forse.
Infatti, la nostra povera “violata ignota” risponde perfettamente a tutti i cliché dell’immaginario maschile: giovane, bellissima (Miss Violata, l’ha definita la mia già citata amica Lia), non un filo di grasso ma il seno voluminoso quanto basta. È stata aggredita per la strada (molte lo denunciano come un occultamento della violenza domestica), lo si capisce perché si porta appresso quella sua antiquata borsetta. Però prima di uscire si è evidentemente dimenticata di indossare la biancheria… tipica fantasia maschile. Gli strappi del suo improbabile vestito-straccio somigliano alle inquadrature di fumetti e foto porno: immagini di attributi sessuali “tagliati” dall’insieme del corpo, come per evitare di avere a che fare con la soggettività di un essere umano integro. E quanto a soggettività, col suo sguardo vuoto Miss Violata potrebbe essere una bambola gonfiabile. Non c’è rischio che il suo aggressore se ne senta giudicato, e neanche l’osservatore dell’opera. Insomma, un perfetto oggetto sessuale. Chissà, forse la pelle è blu per raffreddare un po’ i bollenti spiriti che la sua vista risveglia nei passanti maschi. Ah, a proposito: è un maschio anche l’autore, l’avrete intuito.
Insomma, invece di dirci che la città è con noi, la statua di Ancona ci grida a gran voce che il mondo ci è ostile. E non ci consola affatto il molto poco auspicabile “diritto” (quando si dice «non credere di avere dei diritti»!) di essere “onorate” in quanto vittime della violenza maschile, come si onorerebbe il milite ignoto. Ai militi, si sa, è richiesto di immolarsi per difendere la collettività, non per il piacere dei loro carnefici. Alle donne si suggerisce forse di immolarsi invece alla seconda causa? Preferisco la causa dell’inviolabilità femminile, che com’è noto non prevede il martirio ma la ricerca della propria felicità.
Alle istituzioni e associazioni marchigiane riconosco le buone intenzioni. Però, per evitare che finiscano a lastricare le vie dell’inferno, faranno bene a rimuovere la “milite ignota” e a riprovarci, magari con delle artiste.
(Via Dogana n. 105, giugno 2013)