Vita Cosentino
Guardai indietro, dicono, per curiosità,
ma potevo avere, curiosità a parte, altri motivi.
da La moglie di Lot di Wislawa Szymborska
A sorpresa, il nome femminismo è comparso sulla grande stampa, forse con l’intento di liquidarlo, di decretarne il fallimento. Ma di fatto non è andata così e così non vuole andare. Con il tempo quel nome in sé non bello si conferma essere il nome di qualcosa che è accaduto effettivamente. Nell’apertura di questo numero lo testimonia un uomo di seconda o terza generazione, che lo ha scoperto e vuole tenere fermo quel nome. Dice: Ora, io sento che la mia fedeltà a quell’evento, ha un suo elemento anche nella cura del nome, brutto o bello che sia, con cui quell’evento si è inizialmente nominato.
Il femminismo ha cambiato le cose. Quanto e come bisogna stabilirlo, nel confronto con il presente, un tempo diverso da quello in cui abbiamo cominciato a fare Via Dogana. Peggio? Meglio? Sono giudizi troppo abbreviati, semplificano. È un tempo differente a cui siamo arrivate per una strada che conosciamo. La rivista, mese dopo mese ha registrato i cambiamenti, come quello che ha sorpreso anche chi la scriveva, a un anno di distanza dalla sua uscita, come si coglie da un editoriale a firma collettiva: Quello che era vero fino a ieri, che l’essere donna passava per un essere da meno, oggi non è più vero. Oggi la gente sente comunemente che la differenza femminile è un di più, e lo sente come se lo avesse sempre sentito (VD 5).
Numero dopo numero, nella famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella cultura, nella religione, nel volontariato, ascoltiamo donne che parlano/pensano, che trasmettono libertà a figlie e allieve e amiche, che cambiano i contesti in cui vivono non in forza di leggi, che raccontano le invenzioni che hanno modificato la loro vita e ciò che le circonda. Con i loro racconti certo non nascondono problemi e contraddizioni su cui c’è ancora molto da indagare: mantengono aperto lo spazio di una libera espressione femminile, perché altre possano dirsi.
Andando indietro a sfogliare le annate della rivista, per prima darei la parola a Emma Schiavon, una femminista fuori dal movimento per motivi anagrafici. In Protagoniste, ma di quale racconto? (VD 80) sostiene che, in condizioni mutate, quello che le donne più giovani fanno non è poi tanto diverso da quanto si è fatto trenta-quaranta anni fa: l’infinito negoziato personale nella famiglia e negli altri luoghi d’appartenenza, e poi la trasformazione dell’insofferenza in un pensiero, in categorie di analisi e in un modo sistematico di vedere le cose. Dà molto valore allo studio e all’incontro con i testi, pensa però che siano molto deboli nel contrastare il sistema economico e quello dei media.
Propongo poi di rileggere Femminismo e libertà femminile (VD 76) in cui Clara Jourdan si interroga sul perché si voglia far fuori il femminismo. La spiegazione è che il femminismo offre una interpretazione politica della libertà femminile, che è anomala rispetto alla concezione della libertà nell’ideologia del libero mercato: far fuori il femminismo vuol dire favorire una certa interpretazione della libertà femminile, quella individualistica corrente. Il punto è quello della libertà femminile come una idea che non si lascia inquadrare nella rappresentazione individualistica (maschile) della libertà, come una libertà relazionale che vale per se stessa ma altruistica se così si può dire, temuta per chi concepisce il mondo in termini di potere.
Di questa libertà anomala che anima le pagine di Via Dogana, vorrei proporvi due voci recenti. Una è quella di Margherita Dogliani, imprenditrice di Carrara. In La fabbrica che pensa (VD 87) è intervistata da Marta Matteini a proposito della rassegna culturale Donne, anima e corpo che da quattro anni organizza nel parcheggio del suo biscottificio e che vede sempre più partecipazione di pubblico. Dalle sue parole veniamo a sapere che l’idea nasce da un confronto con le operaie sulle loro difficoltà a formarsi un pensiero proprio e si concretizza in un’associazione per gestire la rassegna, in cui tutte aiutano come possono e alcune operaie si espongono di persona nella presentazione delle serate. L’altra voce è quella di Antonella Rossilli, maestra. In Il movimento è delle maestre (VD 87) è intervistata da Daniela Ughetta e Manuela Vigorita in quanto la sua scuola, la Iqbal Masih di Roma, è stata la prima, nel settembre del 2008, a creare un movimento vasto di maestre che in tutta Italia hanno saputo coinvolgere le mamme e i papà e porre all’attenzione dell’opinione pubblica la vera qualità della scuola elementare italiana, quella per cui è ai primi posti nel mondo. Anche oggi, intanto che scrivo, ci sono maestre che non smettono di agire la loro libertà, per esempio dando da mangiare ai bambini esclusi dalla mensa perché i genitori non pagano la retta, come si dice in questo numero, oppure andando a prendere ogni mattina, per portarli in classe, i loro alunni rom sgombrati dai campi e trasferiti altrove.
Vita C.
P.S. I numeri arretrati possono essere ordinati in Libreria delle donne, tel. 02-70006265 e tramite il sito www.libreriadelledonne.it