Alessia Vallarsa
Il 1° giugno del 1310, ossia settecento anni fa, a Parigi, in place de Grève, davanti al palazzo del comune, moriva al rogo Margherita Porete; con lei bruciava anche il suo libro, il Miroir des simples ames. Questo suo libro le aveva già dato dei problemi, come alcuni anni prima quando il vescovo di Cambrai Guido da Colmieu lo aveva bruciato pubblicamente e aveva espresso alla sua autrice il divieto di divulgarlo e di leggerlo ad altri. Eppure l’opera era stata approvata da tre uomini di chiesa, un francescano, un cistercense ed un teologo parigino. Le cronache riferiscono che Margherita era una beghina. Con questa parola si indicavano, in quel tempo, quelle donne che praticavano una forma di vita a metà tra l’essere religiose in senso stretto e l’essere laiche: donne che non abbracciavano una delle regole ufficialmente approvate dalla chiesa e non pronunciavano voti; presenti nel mondo, curanti della propria sussistenza, conducevano una vita spirituale. Pare che in origine la parola “beghina” sia stata un epiteto negativo, dal sapore eretico, indicante il sospetto con il quale si guardava a queste donne. Un’altra delle ipotesi vede la parola beghina collegata al termine “bège”, il colore della lana grezza dell’abito dei penitenti, che anche le beghine avrebbero indossato. Si è molto discusso a proposito delle cause della nascita del movimento beghinale, ma all’oggi gli storici non concordano ancora: molte cause sono state avanzate, come l’entusiasmo generato dalla proclamazione delle crociate, la nascita dello spirito individuale, l’aspirazione alla riforma ecclesiastica con gli ideali di ritorno a una vita più autenticamente evangelica, l’insufficienza dei monasteri femminili, l’eccesso di donne rispetto agli uomini che morivano in guerre e spedizioni, le dure condizioni della donna all’interno del matrimonio, tuttavia nessuna di queste cause sembra dare, del movimento, la ragione ultima. Accanto e a completamento del titolo, le cronache descrivono Margherita come “beguine clergesse” e “en clergie moult suffisant”: una beghina, cioè, con molta competenza in materia teologica. Il momento storico vedeva la progressiva separazione tra la teologia scientifica e la spiritualità. Se il mondo maschile si configurava come il protagonista della prima, a causa delle appena istituite università, riservate agli uomini, le donne si facevano le eredi della differente tradizione spirituale. Esse iniziarono inoltre a parlare di Dio in un altro modo e cioè prima di tutto in un’altra lingua, abbandonando il latino e optando per la propria lingua materna, ossia per la lingua della quotidianità: forse non sapevano di essere le protagoniste di una grande avventura, quella dell’affermazione delle lingue nazionali come lingue letterarie. Il Miroir des simples ames nasce al termine di una ricerca complessa e radicale dell’autrice, come emerge in varie parti dell’opera alla quale Margherita si riferisce con il termine entreprise: “…l’impresa di questo libro, del quale è signore Amore, e mi ha detto che con esso porterò a termine tutte le mie imprese” (cap. 11). Il libro, nel suo offrire un percorso per arrivare alla condizione “franche”, la condizione di libertà che rappresenta la più vera nobiltà, invita e anche obbliga i lettori/ascoltatori a esercitare un’attiva interpretazione; settecento anni dopo fra questi ci siamo anche noi, come Margherita si curò di lasciar indicato quando pensò a “quelli che udranno questo libro” (capp. 56 e 113).
S. Kocher, Allegories of Love in Marguerite Porete’s Mirror of Simple Souls, Turnhout, Brepols, 2008.
R. Guarnieri, Donne e chiesa tra mistica e istituzioni (secoli XIII-XV), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2004.
L. Muraro, Le amiche di Dio. Scritti di mistica femminile, Napoli, D’Auria, 2001.
A. Mens, Beghine, begardi, beghinaggi, in DIP, I, Roma, Edizioni Paoline, 1974, col. 1165-80.