di Yurii Colombo
Russia. San Pietroburgo, la russa Grigoreva minacciata di morte da ex volontari secessionisti in Donbass. Ed era nella «lista nera» omofoba. La polizia non ha ancora sospetti, gli amici: omicidio politico. E i media oscurano la notizia
MOSCA. Il corpo senza vita di Elena Grigoreva, attivista dei diritti Lgbtqi e militante pacifista, è stato ritrovato ieri mattina a poche centinaia di metri da casa sua a San Pietroburgo.
Un omicidio bestiale: dopo essere stata pugnalata in varie parti del corpo è stata strangolata e abbandonata dietro un cespuglio. Fervente nazionalista in gioventù, Elena si era avvicinata alle idee dell’opposizione russa. Omosessuale dichiarata, attivista Lgbtqi, Grigoreva partecipava sempre alle manifestazioni contro la guerra in Ucraina e in difesa dei diritti umani fossero quelli dei Testimoni di Geova (da alcuni anni fuorilegge nella Federazione russa) o quelli dei detenuti.
«Era una entusiasta. Non perdeva una singola manifestazione. Ed era stata fermata dalla polizia così tante volte da averne perso il conto», afferma ora Olga Smirnova, dirigente del gruppo Solidarietà di San Pietroburgo. Ancora il 18 luglio Elena aveva partecipato a un picchetto a difesa della minoranza tatara in Crimea sulla Nevsky Prospekt, il viale principale della città.
La polizia ha arrestato in un primo momento un uomo di 40 anni proveniente dalla Bashkiria e ha sostenuto che il movente dell’omicidio fossero probabilmente futili motivi o la tentata rapina. Ma nelle ore successive gli inquirenti hanno dovuto rettificare, affermando che non esistono ancora sospetti sul caso e il crimine verosimilmente è stato eseguito da più persone.
Nessun dubbio sulla matrice politica dell’omicidio, invece, da parte degli amici e compagni di Grigoreva. Elena era stata ancora recentemente minacciata ripetutamente da omofobi e nazionalisti di estrema destra.
Secondo l’attivista per i diritti umani Dinar Idrisov, le forze dell’ordine avevano replicato con sufficienza alle denunce di minacce di morte che la donna aveva subito. Circostanza negata dagli organi di sicurezza: secondo il comitato investigativo, «Grigorieva aveva presentato una sola denuncia (di violenza sessuale) ma non aveva avviato procedimento penale nei confronti di nessuno».
Il giornalista Maxim Mirovic, però, contesta le dichiarazioni della polizia: «Non prendevano sul serio le sue denunce e le ripetevano: Quando ti uccidono telefonaci che vedremo di fare qualcosa». Il suo coinquilino ha rivelato che le minacce erano così persistenti che «le avevo promesso di curare il suo gatto se l’avessero ammazzata».
L’attivista russa in realtà era da sempre sotto pressione, come ha ricordato la madre accorsa all’obitorio a riconoscerne il corpo devastato dalle ferite d’arma da taglio. Un amico di Grigoreva (che ha preferito restare anonimo), sostiene che la donna era stata minacciata da ex combattenti volontari nel Donbass a fianco della cosiddetta “Repubblica popolare di Donetsk”. Nel maggio scorso, durante un picchetto, Grigoreva con uno di questi ex volontari filo-secessionisti aveva avuto un violento tafferuglio.
Ma non si escludono altre piste e in particolare quella legata al mondo dell’estremismo omofobo e fascistoide. I rappresentanti della rete russa Lgbtqi associano l’uccisione della donna alle attività del progetto omofobico Pila che si pone come obiettivo la «liquidazione dei gay».
Poco prima dell’omicidio sul sito di Pila il nome di Elena era stato aggiunto alla «lista nera» di persone per cui erano in serbo «regali molto pericolosi e crudeli». Insieme a Elena, erano stati indicati come obiettivi da colpire il direttore della rete Lgbtqi russa Igor Kochetkov e del centro risorse Lgbtqi a Ekaterinburg.
Ieri sera si è tenuta una prima iniziativa di protesta a San Pietroburgo sulla Nevsky per ricordare Elena e chiedere sia fatta giustizia. Altre iniziative si terranno nei prossimi giorni in varie città della Federazione russa. Assordante invece il silenzio della tv di Stato e delle principali agenzie di stampa: la notizia dell’assassinio di Elena Grigoreva è stata o censurata o fatta passare come una notizia di cronaca tra le altre.
Già nel gennaio 2018 l’omicidio di un altro attivista dei diritti umani di San Pietroburgo venne fatto «sparire» dai media russi: Konstantin Sinitsyn fu ucciso all’ingresso di casa sua in circostanze sospette, ma le indagini della polizia si arenarono ben presto.
Anche la situazione degli Lgbqti in Russia resta tra le più difficili d’Europa. Dal 2010 sono stati denunciati 407 casi di violenza contro gay e lesbiche, mentre resta in vigore ancora oggi la legge «contro la propaganda dell’omosessualità».
(il manifesto, 24 luglio 2019)