Ida Dominijanni
«Poche, arrabbiate, violente, sciagurate, cretine». Anzi: «cretinamente e assurdamente violente». Spero che Giovanna Melandri, ministra della Repubblica, si sia riletta su Repubblica di domenica e sia rinsavita, o almeno si sia accorta di aver passato il segno. Le rispondo in quanto sciagurata e cretina a mia volta, non ritenendo di dovermi distinguere dalle poche o molte che l’hanno fatta scendere con Livia Turco e Barbara Pollastrini da quel palchetto televisivo di Piazza Navona sabato pomeriggio. Non ero tra loro, ma se ci fossi stata avrei provato a farle scendere anch’io. Ci avrei provato con le buone invece che con le cattive ma ci avrei provato. Senza riuscirci, perché tutta l’intelligenza di cui Giovanna Melandri è dotata non le è bastata per capire che si stava infilando in una brutta gaffe. E nemmeno le era servita, stando alla sua intervista, per capire che quella manifestazione era contro la violenza maschile, e altrettanto contro quelli e quelle che pretestuosamente infilano le norme contro la violenza maschile nei pacchetti sicurezza di sapore razzista. Troppo complicato? Non so dove fosse Giovanna Melandri negli anni in cui il femminismo ha costruito la sua cultura in materia di rapporti fra norma e violenza: limpidamente del resto, ai tempi della svolta del Pci, sosteneva che dal feminismo era ora di «sdoganarsi». Livia Turco e Barbara Pollastrini però qualche vago – molto vago, o molto estemporaneo – rapporto con il femminismo in passato l’hanno intrattenuto, e quantomeno dovrebbero sapere che in fatto di rappresentanza e di rappresentazione le femministe, storiche e non, sono particolarmente sensibili. Neanche loro hanno visto la gaffe in cui si stavano infilando piazzandosi su quel palchetto televisivo?
Però non scomoderei gli aggettivi di Melandri. Non è questione di Q.I., ma di un virus che da qualche tempo attacca invariabilmente i politici di professione, uomini e donne. Il virus consiste nel ritenere di avere il monopolio della politica. La politica sono loro, il resto o è contorno consenziente e compiacente o è antipolitica (sciagurata e violenta). Nel caso di una manifestazione di donne poi, mica vale la pena di spaccare il capello in quattro come quando si commenta l’ultima dichiarazione di Willer Bordon: o è «un raduno allegro e festoso», cioè una cosa cretina per definizione, o se ci scappa dentro qualche contenuto politico, e relativo conflitto, diventa una cosa cretina per deduzione.
Naturalmente le nostre monopoliste della politica sono in buona compagnia. Alla grande stampa, che in materia di femminismo ci ha sempre preso pochino, non è parso vero domenica di potersi attaccare alla contestazione delle ministre per appiccicare la chiave dell’antipolitica alla manifestazione di sabato. Sul punto rinvìo all’editoriale di Paolo Franchi sul Riformista di ieri (www.ilriformista.it: niente da aggiungere). Rinvìo anche a Carla Lonzi, che del ritrovarsi fra donne scriveva «è già politica» in tempi in cui il femminismo era tacciato di essere non antipolitico ma, più semplicemente, impolitico: il contenzioso sui confini della politica non è cominciato con Beppe Grillo.
Da ultimo. Personalmente non ho approvato la scelta separatista della manifestazione di sabato: mi sarebbe parso più forte coinvolgere esplicitamente non gli uomini in generale, ma quegli uomini che negli ultimi anni hanno preso posizione pubblicamente contro la violenza maschile. Senonché domenica, dopo aver visto sui giornali svariate smorfie femminili per quel segno separatista così demodé, e letto opinioni maschili come la seguente: «è il concetto stesso del femminismo che distrugge l’essenza dell’essere femmina e le potenzialità dell’intelletto femminile», quasi quasi ho cambiato idea: meglio separate.