Intervento di Laura Colombo all’incontro “Donne e uomini: Che fare?” presso la Libreria delle donne di Milano
“Cosa cambia se cambiano i desideri degli uomini?” è il titolo dell’incontro organizzato a marzo di quest’anno da Maschile plurale a Roma: una due giorni aperta a donne e uomini. Io e Sara siamo andate e abbiamo visto la partecipazione di tanti uomini da tutta Italia che riflettono e lavorano politicamente mettendo al centro la differenza, principalmente sul tema della violenza.
Lì a Roma si è parlato molto di pratiche, si è messo in luce che il partire da sé e la relazione, per eccellenza pratiche politiche femministe, sono essenziali per fare una politica che si discosti dalla logica del potere gerarchico. Lia Cigarini ha sottolineato che però è essenziale costruire relazioni duali perché per cambiare la politica non si possono portare avanti le due parzialità separate. Io e Sara abbiamo allora pensato di continuare a riflettere pubblicamente, in continuità ideale con l’incontro di Roma.
Farlo in questo luogo, per noi è simbolicamente importante e personalmente la ritengo una cosa molto bella, perché segna la fecondità della pratica politica delle donne, capace di operare tagli per mettere al mondo altro. Mi riferisco al taglio che negli anni ‘70 le donne hanno fatto nei confronti della politica maschile, che è arrivato a toccare il rapporto stesso, personale, con gli uomini. Ciò ha prodotto un guadagno di essere e libertà per ciascuna donna, spaccando completamente la polis, oltre a mostrare la forza che può scaturire dal rapporto tra donne e dalla fedeltà al proprio sé.
Non solo: la forza della relazione tra donne, nata dal gesto di separazione, ha anche lasciato in eredità alle donne venute dopo una nuova possibilità, quella di instaurare, se desiderato, un rapporto diverso con gli uomini. La pratica politica delle donne in questo modo mette bene in rilievo la differenza che c’è tra “generazione” e “genealogia”. Nel femminismo, oggi, ci siamo anche noi con la nostra particolare posizione: siamo in un momento storico dove, come dicevo, la libertà femminile è da tempo venuta al mondo e ha fatto cambiamenti non solo a livello individuale ma anche sociale. Stiamo quindi da un lato in una continuità con le donne venute prima, che il riconoscimento della genealogia femminile rende evidente, e dall’altro in una discontinuità necessaria, perché data da diverse condizioni dell’esperienza (per esempio: non c’è più quel senso di possibilità e futuro dato dal clima di rivoluzioni possibili, sono anche diversissime le condizioni delle forme e del senso della politica, del lavoro, del rapporto con gli uomini ecc).
In questa rivoluzione simbolica delle donne anche gli uomini hanno guadagnato, anche se non è scontato vedere un guadagno di libertà nella perdita di privilegi. Ma i nostri compagni di avventura questo guadagno ce l’hanno ben presente e raccontano che la loro libertà non si sente limitata o in perdita a causa della libertà femminile, che considerano anzi una risorsa, come spiega Stefano Ciccone in Essere maschi.
È per questo che noi vogliamo fare del rapporto tra i sessi una questione politica e abbiamo iniziato molti anni fa con un gruppo solo milanese di riflessione tra donne e uomini. Poi, frequentando i seminari di Identità e differenza abbiamo conosciuto Marco, Stefano, Alessio ecc e io e Sara abbiamo scritto una mail di invito ad alcuni di loro, per il lavoro che da anni facevano sulla violenza, creando così il gruppo Intercity-intersex, sempre più convinte che sia necessaria un’invenzione sulla relazione tra donne e uomini.
Ci sciamo scelti e ci siamo piaciuti, questo va detto.
Per iniziare i nostri incontri l’invito partiva dalla cronaca, quella sulla violenza sessista quotidiana, con l’intento di tirar fuori che cosa non ci va giù dello stato delle relazioni tra donne e uomini, a partire dalle nostre concrete relazioni e che cosa ci sembra invece un punto di forza, uno scatto di libertà per entrambi.
Siamo anche partite dalla distanza percepita tra ciò che viviamo nel rapporto con l’altro sesso e quanto è rappresentato dai media, e ancora, da quanto viviamo e la cronaca quotidiana che restituisce purtroppo la sensazione di impotenza per la violenza sessista sempre più efferata (pensiamo agli stupri di Tahrir, oppure a quelle giovani donne che accettano il fatale ultimo incontro con l’ex fidanzato ecc). Per questo siamo convinte che, partendo dalle relazioni donne-uomini che conosciamo, sia necessario fare del rapporto tra i sessi un fatto politico.
Non siamo state le prime e i primi a fare un lavoro politico tra donne e uomini, ma su una cosa penso di sì: presto quello che facevamo, sempre basato sul partire da sé, è diventato una sorta di autocoscienza tra donne e uomini, quindi innanzitutto creazione di uno spazio simbolico di fiducia per poter agire il conflitto, in modo che si potesse esprimere la politicità di questo rapporto.
Brevemente la storia del gruppo Intercity: 2006 al 2008 abbiamo iniziato ritrovandoci nelle case, eravamo una decina, non di più. Abbiamo parlato di maternità e paternità con confitti ferocissimi, di lavoro, interrogando sempre le pratiche, di rapporti di coppia e innamoramenti, mostrando contraddizioni e differenze rispetto al passato, di sessualità, confrontandoci con la sessualità omosessuale, porno e post-porno. Poi abbiamo continuato fino al 2011 allargando lo scambio ad altre relazioni, altri gruppi, assumendoci l’organizzazione di una serie di incontri residenziali in posti belli, in modo che la bellezza dei luoghi, senza bisogno di spendere tanto, fosse un aspetto fondante dei nostri scambi.
Adesso il gruppo non c’è più, ma le relazioni che ci sono ci permettono di fare e moltiplicare occasioni e iniziative, e in qualche modo non possiamo più prescindere dalle relazioni che abbiamo e stiamo coltivando. Un esempio recentissimo: siamo tra le firmatarie dell’invito al prossimo incontro di Paestum, un invito tutto frutto di tante mediazioni. Io e Sara abbiamo posto con forza il fatto che a Paestum quest’anno ci sia la possibilità di uno scambio anche con gli uomini. La lettera non ne fa menzione ma la mediazione cui siamo arrivate e che ci sembra ottima, è che l’invito non è esteso a tutti gli uomini ma a quelli con cui siamo in relazione.
Il possibile fra uomini e donne è la scommessa politica che vogliamo giocarci, sapendo che bisogna fare invenzioni perché le parole scambiate diventino patrimonio da spendere nel mondo. Sapendo anche che la rivoluzione del femminismo ha fatto crollare il patriarcato ma la misoginia no, anzi!
La difficoltà più grande, che è anche la scommessa più grande, è il fatto che il nostro oggetto di riflessione è la relazione stessa, non abbiamo un oggetto tra noi (la scuola, il sindacato, ..) e quindi tenere il filo politico è molto complicato. Lo scivolamento sul piano puramente esperienziale è sempre in agguato. Ci siamo trovati davanti alla tenaglia di cui parla Carla Lonzi cioè: “l’aspirazione a segnare di sé il mondo e la rinuncia a esso, pur di non tradirsi, di non venir meno alla sua verità” (da “L’Io in rivolta“ di Boccia).
Un’altra difficoltà grande è stata conquistarci un terreno di fiducia per praticare il conflitto, anche perché, come dice bene Lia Cigarini nel suo ultimo libro-intevista C’è una bella differenza, c’è una tendenza maschile a separare i piani del discorso, dividere il personale, dal politico e le pratiche che insieme alle donne vengono riconosciute in altri contesti più segnati dal potere sono dimenticate. Quindi la famosa tenaglia, la contraddizione tra la fedeltà a sé (rinunciando al mondo) e il desiderio di cambiamento del/nel mondo (che rischia di snaturarti), sembra una contraddizione presente e attiva per le donne e invece sembra più schizofrenica per gli uomini.
Però abbiamo tenuto duro, perché sentivamo che l’incontro con questi uomini che si muovono in altro contesti, città, gruppi esperienze politiche, in parte con pratiche simile alle nostre, in parte con altre pratiche e altri desideri, ci apre la possibilità di vedere e stare in modo differente in contesti a noi prossimi, con uomini e donne che non hanno le nostre parole e non conoscono le nostre pratiche. In altri termini, si apre la possibilità anche nella vita quotidiana, non solo nelle riunioni, di un’apertura all’altro, e questa apertura viene da quello che abbiamo intravisto con questi uomini.
Vi leggo un piccolo intervento di Jones, che abbiamo sbobinato da uno dei nostri incontri, e che mette bene in luce questo aspetto. Si tratta della sua esperienza di lavoro precario e di come il lavoro nel nostro gruppo ha influenzato il suo porsi:
“il nostro modo di lavorare ha avuto grandissime ripercussioni sul modo in cui abbiamo gestito e organizzato la lotta nel mio lavoro. Fino a due anni fa io ero isolato e mobbizzato, ognuno entrava a testa bassa, e aveva un rapporto individuale e gerarchizzato con il proprio capo/a. Ognuno isolato e oppresso, ma con i suoi piccoli privilegi e riconoscimenti, grazie a relazioni basate su seduzione e potere. A prescindere dalle condizioni materiali. Ognuno ha poco ma ha l’idea di avere da perdere. Come fai a cominciare? A metterti insieme? Alcuni, anche per storia o perché precari da più anni, erano più incazzati e politicizzati. All’inizio eravamo una decina, di cui io unico uomo. Partivamo da cose semplici e banali: da quanto tempo siamo precari, desiderio di stabilità, casa, famiglia. Cose magari contestabili, ma era il loro bisogno, che non metto in discussione, affrontato senza nessuna ideologia. Cominciammo a parlare a partire da queste cose, è stato un lavoro costante di rafforzamento dei legami per cercare di fare uscire delle cose. Restando sul piano delle relazioni, cercando di conoscersi… Io ho imparato di più a vedere l’altra in quanto tale. Sapendo che siamo diversi. Io spesso mi trovo contro le persone che ideologicamente mi sarebbero più affini, perché si muovono in modo totalmente ideologico. Mentre ho costruito relazioni reali di scambio con persone lontanissime da me per ideologia, provenienza ecc. Partendo da desideri e dal dare valore e importanza alle stesse cose. Io non so come andrà a finire la nostra lotta sindacale, ma la qualità della mia vita lavorativa è senza dubbio migliorata. Le situazioni materiali sono anche peggiori perché con i capi c’è meno un rapporto pacificato ma c’è maggiore solidarietà tra noi. Questo per dire che le pratiche hanno un riverbero concreto anche in altri contesti delle nostre vite”.
Un ultimo elemento che vorrei porre è, ancora una volta, qualcosa che fa ingombro: la questione dell’eros. Nei movimenti, non solo tra uomini e donne, è una questione aperta. Mi pare che il punto sia che, mentre – per lo più – le donne riescono a tenere separata l’energia erotica dall’agito della sessualità, per gli uomini i piani si sovrappongono molto facilmente.
Non possiamo non riconoscere che l’eros circola in politica, nei movimenti, nei contesti allargati, nel lavoro. Non nominarlo nei suoi aspetti positivi e oscuri, negarlo fa solo disordine. Se questo fatto non si tiene presente, rimane l’oggettivazione del corpo femminile, l’uso feticcio delle donne, l’abbiamo visto bene con le vicende di B. (la Cacca) negli ultimi anni o nell’orrore degli stupri di Tahrir. Invece noi vogliamo mettere in scena altro, vorremmo che l’immaginario registrasse che c’è dell’altro perché sappiamo che è possibile.