di Franca Fortunato
Egregio direttore, non so quante donne e uomini si siano riconosciuti nel suo editoriale di sabato scorso, io di certo sì, non solo nei ringraziamenti al sindaco Pisapia e alla città di Milano da parte della “Calabria perbene”, ma essenzialmente nel titolo di apertura del giornale “Un omaggio all’amore per la libertà”. Grazie direttore per questo riconoscimento per Lea e per le tante donne che, anche in questa regione, per affermare la libertà propria e delle proprie figlie e figli, stanno pagando un prezzo molto alto. Anche se ci si ostina a considerare Lea e altre come donne dell’“anti ‘ndrangheta”, con il rischio di farne delle icone e delle martiri e magari delle sante, le protagoniste sanno bene che la loro forza non è il desiderio di distruggere la ‘ndrangheta ma quello di affermare la propria libertà, simbolicamente e materialmente. È quanto Lea ha insegnato a sua figlia Denise che al suo funerale ha riconosciuto l’eredità lasciatale dalla madre. «Per me è un giorno triste, ma la forza me l’hai data tu… se è successo tutto questo è solo per il mio bene e non smetterò mai di ringraziarti. Ciao mamma». Denise ha onorato così sua madre, riconoscendo l’origine della sua forza in lei, nel suo desiderio di libertà, e si è legata a lei per sempre in un rapporto genealogico consapevole, dove il riconoscimento e la gratitudine verso la madre rende libera e forte la figlia. È questo il senso femminile dell’«Onora la madre». Altro è il senso maschile di tale “onorare”, di cui parla Angela Iantosa nel suo libro “Onora la madre – Storie di ‘ndrangheta al femminile”. Figlie che obbediscono alla madre onorando il padre che si serve di lei per conservare e trasmettere alle figlie e ai figli la sua legge, il suo codice, negando libertà alla madre e alla figlia, in verità non onorano la madre ma il padre. Le madri come Lea e la figlia come Denise hanno fatto ordine in quel mondo, rompendo quella catena in cui la madre uccide simbolicamente la figlia, e a volte anche materialmente come nel caso di Maria Concetta Cacciola.
Gentile direttore sono grata anch’io alla città di Milano – una città a me vicina e tanto cara per le tante amiche della Libreria delle donne e altre – per l’accoglienza che ha riservato a Lea e a sua figlia Denise. Nel giorno del funerale ho telefonato alla mia amica Pinuccia Barbieri perché mi mettesse in contatto con qualcuna delle donne che avesse deciso di partecipare al funerale. Volevo sentirmi presente. È così che a fine giornata, Antonella Nappi, femminista “storica”, mi ha raccontato quello che i giornali hanno poi pubblicato. Tantissime donne, giovani e meno giovani, tante bandiere, tanti fiori, tanta commozione, affetto e musica scelta da Denise. Alla mia domanda perché ci fosse andata, è seguita questa email significativa di come Lea e Denise appartengano, ormai, a tutte le donne, del nord e del sud. «Mi colpì e colpì molti milanesi la notizia del sequestro e dell’uccisione di Lea Garofalo a Milano da parte della criminalità organizzata e con il consenso del marito. Mi sono identificata nella figlia Denise che per tutto il viaggio di ritorno al sud con il padre e lo zio ha pianto (lessi sul giornale o mi figurai io stessa) mentre da loro apprendeva che la madre stava morendo o stava per essere uccisa. Le foto ce le mostravano assieme passeggiare in una via di Milano molto nota, potevamo essere noi, e nel momento in cui si separavano credendo di rincontrarsi di lì a poco. Non siamo abituati a Milano a notare i delitti della criminalità, il vasto ceto medio se ne sente indenne. Ma se li si considera, questi delitti appaiono più efferati di ogni altro per la freddezza della decisione. Inoltre l’uccisione di una donna che collabora con la giustizia, l’agire di un padre insensibile alla disperazione della figlia e l’impotenza di questa nel salvare la madre perché requisita lei stessa, sono una somma di orrori che rimangono impressi nella memoria. La scelta di Denise di denunciare il padre e i parenti ne hanno fatto un simbolo di grandezza civile e assieme al sacrificio cosciente della madre questa vicenda è divenuta un monumento di potenza umana e femminile. Il ritrovamento dei resti, il funerale laico, la dedica di un giardino della città a Lea, mi hanno stretta a queste due donne, introducendomi nella storia e così molti a Milano si sono sentiti in causa, sono stati presenti perché partecipi come familiari e come innamorati di queste due donne. Le bandiere di Lea sono esposte in negozi, associazioni femminile e in molte case». Lea e Denise hanno reso Milano una città vicina a quella Calabria perbene di cui lei direttore ha parlato nel suo editoriale. Grazie ai tanti uomini e alle tantissime donne che – come Antonella Nappi – si sono “innamorate” di Lea e Denise. Potenza dell’amore femminile per la madre.
(il Quotidiano della Calabria, 21 ottobre 2013)