Valeria Andreoli
I “No, io non sono razzista, ma quelli lì proprio non li voglio”. Lo pensavano tutti l’anno scorso nel quartiere Forlanini, una piccola area della periferia milanese stretta tra la tangenziale est e il cavalcavia ferroviario. Perché l’anno scorso al Forlanini è arrivato il Male.
È un quartiere di edilizia popolare sorto negli anni Sessanta e abitato per lo più da pensionati, quegli stessi operai e impiegati arrivati quarant’anni fa e che nel tempo hanno riscattato la propria casa. Le strade sono silenziose e pulite, i giardini condominiali ampi e ben curati. Ma la scorsa primavera, per oltre un mese, questa manciata di vie è stata spazzata da un’ondata di furti con scasso, più di uno al giorno: le porte venivano forzate senza troppa fatica (non sono tantissime, quelle blindate), gli appartamenti passati al setaccio e i cassetti svuotati di collanine e contanti. Mai in passato era successo qualcosa del genere, e per questo motivo il Male non poteva che provenire dall’accampamento di immigrati sorto di recente lungo il vicino viale Forlanini, a ridosso dei muri semidiroccati di una caserma abbandonata.
Si raccolsero firme per chiedere che l’accampamento venisse sgomberato. Io aderii senza indugio, per paura e anche per solidarietà con la mia vicina, una vedova ottantenne la cui casa era stata derubata un pomeriggio in cui lei era andata dal parrucchiere a fare la piega. Persino il Corriere della Sera raccontò dei furti e del terrore della gente, ma non fece alcun accenno al problema dell’accampamento.
Qualche tempo dopo successe quello di cui hanno parlato tutti i giornali e le televisioni: lo sgombero di via Rubattino e dell’area dell’ex caserma. Mi vergognai come raramente mi è successo nella mia vita: lessi di famiglie sbattute in mezzo alla strada, di bambini strappati alle scuole, di pianti e scene di disperazione. Perché “sgombero” non è trasferimento in un’area più adatta né sistemazione presso strutture adeguate; è come un colpo di scopa, via, sciò, fuori di qui.
Eppure pensavo di essere nel giusto, quando firmai quella petizione; l’accampamento di viale Forlanini non ospitava roulotte e camper, ma un carnaio osceno di stracci e lamiere ondulate, che in pochi giorni era passato da qualche decina di senza tetto a svariate centinaia di diseredati – che seppi, poi, essere reduci da sgomberi in altre zone del nord Italia.
Un contadino che vive della frutta e verdura coltivata in una cascina all’interno del parco Forlanini mi raccontò di come l’area dell’ex caserma stentasse ormai a contenere quell’umanità derelitta, mi disse della sporcizia e dell’odore, dei furti nei suoi campi, “ma io la sera faccio un giro col fucile in spalla, così vedono bene cosa li aspetta”.
Poi sono venuti gli sgomberi, e con un bel colpo di ramazza il nostro quartiere si è liberato dei furti.
Ma ora mi chiedo: in quale altra periferia cittadina, proprio in questo momento, si stanno raccogliendo le firme per allontanare gli immigrati ammassati in un prato lì vicino? Dove, qualcuno sta dicendo “no, io non sono razzista, ma…”?