Flora Crescini
Quando ho una sera libera, mi piace andare in piazza del Duomo, per due ragioni: la libreria Feltrinelli è aperta sino alle ore 23 e il Duomo di sera è bellissimo.
Osservo la gente che, come me, passeggia, il clown sui pattini a rotelle, il tenore che canta O sole mio… Ci sono molti bar in piazza e in galleria, ma, poiché fanno prezzi alti, molte persone siedono sui gradini della cattedrale.
Si tratta per lo più di extracomunitari (sudamericani e africani); giungono, come me, in piazza, comprano un panino e una bibita e mangiano all’aria aperta, scambiando quattro parole.
Una sera sono in piazza e vedo, seduto sui gradini, un sudamericano che apre una scatola di tonno. Lo osservo e noto che, dopo aver mangiato il tonno, abbandona la scatola sui gradini. Il compagno, alzandosi, urta col piede la scatola, che si capovolge e lascia colare l’olio.
Penso a mia madre – anziana – che è appena stata dimessa dall’ospedale, perché si è rotta una clavicola, la immagino vicino a quei gradini, che, a passi incerti, cammina. E mi monta la rabbia dentro.
Sto per raggiungere il sudamericano e per dirgliene quattro. “Come tu ti sei seduto su questi gradini, così anche gli altri hanno il diritto di sedersi e di camminarci sopra, senza scivolare”, sarebbe la frase meno adirata che gli direi. Mentre lo sto raggiungendo, penso anche che questa persona appartiene a una razza diversa; ma la spiegazione che mi do non spiega granché.
Mi fermo un istante e mi viene in mente tutta la pazienza che mia madre ha avuto nell’insegnarmi a mettere in ordine le cose, a tenere conto degli altri. Una pazienza di anni. E penso anche a tutta la bontà che ha avuto nel correggermi. A oltranza.
Raggiungo il sudamericano e gli dico: “Senti, forse sarebbe meglio che togliessimo la scatola e che con i fazzoletti di carta assorbissimo l’olio che è caduto sui gradini; così nessuno rischia di scivolare. Facciamolo insieme”. Mi guarda un po’ sbalordito e accetta di fare quanto gli ho proposto. Alla fine ci salutiamo, scambiandoci i nostri nomi.
Credo che parlare di razzismo sia una scorciatoia mentale. Penso che la parola da mettere in campo sia la parola educazione. L’unica che non ci fa fare esoneri morali, perché chi giudica si impegna. E nemmeno, forse, errori politici, perché ci fa essere parte amante in un mondo che, se lo si lascia stare, non fa trarre alcun profitto.