Angela Villani e Franca Longo, Saffo & Merini. Quando le muse parlano, Asterios 2013.
Libreria delle donne – Circolo della rosa – Sabato 8 febbraio 2014
Trascrizione dell’incontro a cura di Laura Minguzzi
Introduzione di Laura Minguzzi
Perché ho letto il libro Saffo&Merini di Angela Villani e Franca Longo e dopo averlo letto, ho deciso di farvelo conoscere? Prima di tutto perché parla della potenza trasformativa dell’amore e anche della sua fragilità. Poi perché anche a Vittoria Longoni, grecista e mia maestra di greco antico è piaciuto e questo è stato determinante. Io in realtà conosco ben poco della Grecia antica. Ho ripreso lo studio del greco dopo l’incontro con Vittoria a scuola, e dopo avere partecipato a una gita scolastica a Lesbo, che lei ha organizzato e guidato. Dopo questo viaggio a Metilene e nella Triade, ho deciso di realizzare il mio sogno di proseguire lo studio del greco, che avevo interrotto nell’adolescenza a causa dell’improvvisa malattia di mia madre. Un dispiacere anche per lei che, sostenendomi nelle mie passioni in modo incondizionato, mi aveva comprato il dizionario di greco con i suoi risparmi, perché all’epoca era costosissimo.E qui s’incrocia l’altra figura, Alda Merini, che ha avuto un destino umano-femminile simile a quello di mia madre, sperimentando come lei i manicomi, luoghi terribili e crudeli, soprattutto per le donne, che per fortuna grazie al femminismo e con la legge Basaglia sono stati chiusi. Il mio amore per lo studio allora prese giocoforza un’altra direzione. Questo libro, corredato di immagini a colori di Lesbo, del museo Orsi di Siracusa ecc., di elegante e finissima fattura editoriale, crea un ponte genealogico fra due donne, poete, scrittrici, presenti e pensanti nel loro tempo, che scrivono liriche d’amore e non solo. Politicamente dà conto di una forza femminile che agisce attraverso i secoli, generativa di libertà e intelligenza d’amore, per citare Margherita Porete, di cui oggi sentiamo enormemente il bisogno.
Chi sono le autrici?
Angela Villani e Franca Longo due insegnanti di Liceo: Angela, dopo aver insegnato al Liceo “Grassi” di Lecco per diversi anni, adesso insegna Italiano e Latino al Liceo Scientifico/Classico di Vimercate in provincia di Monza, Franca, in pensione dal 2009, da quando è arrivata in Lombardia da Treviso nel lontano 1974, ha sempre insegnato Latino e Greco al Liceo Classico prima “Zucchi” in quanto sez. staccata di Monza, poi diventato “Banfi” di Vimercate. Angela e Franca si sono conosciute al “Banfi” nel 2008.
Franca Longo dice di sé: “Mi è sempre piaciuto interessarmi, nei miei studi, delle figure femminili nella letteratura antica, soprattutto nel teatro greco e della collocazione della donna nell’antichità greco-romana, ma non ho fatto pubblicazioni se non un piccolo saggio su Antigone”.
Le attrici Paola Salvi e Sonia Grandis leggeranno in duetto alcune liriche:
Paola Salvi si diploma presso la Civica Scuola di Arte Drammatica del Piccolo Teatro di Milano. Prende parte in qualità di attrice a numerosi spettacoli, ricoprendo ruoli da protagonista e coprotagonista. Ricopre ruoli classici e contemporanei, comici e drammatici. Dal 2003 al 2005 ha tenuto un corso di teatro per persone con disagi mentali organizzato dal Reparto Psichiatria Ospedale di Niguarda di Milano. Da anni collabora con A.S.P.R.U.) tenendo un corso di Danzaterapia per la formazione di futuri terapeuti. Spazio Zazie di Milano.
Sonia Grandis: diplomata all’Accademia Filodrammatici di Milano, laureata in Storia del Teatro presso l’Università Cattolica sempre di Milano, attrice e regista specializzata in teatro musicale, insegnante di recitazione al Conservatorio “Verdi”.
Vittoria Longoni
Vittoria, grecista (ha pubblicato traduzioni e commenti fra cui Plutarco, Sull’Amore, ed. Adelphi), ha insegnato il greco antico al ginnasio-liceo e ora lo insegna alle-agli adulti, ha partecipato al femminismo fin dagli anni settanta, inizialmente soprattutto nel campo del sociale, dell’aborto e della contraccezione, poi ha partecipato a molte esperienze diverse dei movimenti delle donne; è socia e docente della Libera Università delle donne in modo continuo dagli anni ottanta e in quell’ambito ha tenuto alcuni corsi sul mondo greco, ma soprattutto molti corsi interattivi sulle creazioni letterarie e filosofiche delle donne. Ora fa parte anche del direttivo dell’associazione “La casa delle artiste Alda Merini”. Da sempre interessata alla dimensione politica e – dagli anni settanta – alla sua ridefinizione sulla base dell’autonomia e della libertà femminile. Queste sono le sue passioni, che ha coltivato da tutta una vita.
Michele Franzini, musicista e compositore jazz. Da anni si occupa di improvvisazione totale e questa sera ci proporrà intermezzi e sottofondi di improvvisazione totale.
SAFFO E NOI di Vittoria Longoni
Saffo è, per tutte noi, madre e maestra. Alda Merini ha letto i suoi frammenti nella traduzione di Quasimodo e fra poco sentirete quanto abbiano fatto parte di lei e come abbiano alimentato la sua poesia. Ma c’è un più generale “effetto Saffo”, per Alda e per tutte le donne che hanno incontrato la cultura greca o comunque risentito dei suoi portati e quindi avvertito, anche senza conoscere la poetessa di Lesbo, un effetto straordinario di incoraggiamento, di potenziamento della scrittura e del ruolo culturale delle donne, della creatività autonoma femminile e della relazione personale tra le donne. Saffo è la prima poetessa di cui conosciamo il nome, una parte della storia e una parte della produzione poetica (solo una minima parte, purtroppo). Che nella tradizione culturale della grecità, così incentrata sul maschile, ci sia un riconoscimento unanime della grandezza di questa parola poetica femminile, è un fatto che ha aperto possibilità a tutte noi. A Lesbo, tra il 630 circa e i primi decenni del VI secolo, c’era spazio per una pratica culturale, affettiva, erotica e sacrale delle donne tra di loro, almeno per quanto riguarda un’élite (il “tìaso” di Saffo). Donne che imparano e praticano tra di loro la poesia, la musica, la danza; la loro voce è autorevole nella comunità dell’isola, la loro amicizia non viene meno neppure quando le ragazze lasciano il “tìaso “ per andare a nozze: tra di loro continua, anche nella lontananza, un profondo legame di memoria, di affetto e di comunicazione, e le poesie ce ne danno testimonianza.. A queste donne i “doni della Pieria”, cioè i doni delle Muse, concedono una forma di permanenza ben oltre la morte. Il tìaso ha dato loro grazia, armonia, cultura, piena femminilità, ha consentito loro di riconoscere il proprio corpo e il proprio piacere nella relazione reciproca e nel rapporto con la “maestra” Saffo. Certo non è stata l’unica esperienza di questo tipo nel mondo greco, ma è l’unica di cui abbiamo così piena testimonianza, in un luogo (l’antica isola di Lesbo, affacciata al vicinissimo mondo orientale) e in un momento storico (a cavallo tra VII e Vi secolo) che dato uno spazio alle donne (almeno a quelle dell’aristocrazia) in una forma che non verrà replicata nella pur interessante e successiva esperienza della democrazia greca. Per questo Saffo sta, nella sua autorevolezza, nella sua grazia, come una grande figura di riferimento che ci aiuta ad autorizzarci reciprocamente nelle sue stesse direzioni. Saffo non esprime disprezzo o conflitto col mondo maschile: ha un padre e una madre, un marito e una figlia, almeno due fratelli, di cui si occupa e si preoccupa (anche i recenti ritrovamenti papiracei ci testimoniano le sue relazioni col fratello Carasso, che per amore di un’etera sta perdendo la testa e dilapidando il patrimonio familiare, e con il più piccolo, Larichos, ancora un ragazzo). Ha una figlia, chiamata Cleide, come la nonna, che costituisce il suo tesoro più prezioso. Come in un momento di miracoloso equilibrio, in lei non c’è ostilità o competizione col maschile, ma una piena a calma padronanza di sé e della propria voce. A volte compare la competizione con altre donne dell’isola, ma per stimolare tutte a crescere nella poesia e nella grazia del portamento. Il tema dell’amore-passione tra donne ha una indubbia centralità nella sua lirica, ma coesiste con l’espressione anche di altri amori e di altre tematiche.
A prima vista, sembra che tra Saffo e la Merini non ci sia nulla in comune. La poesia di Saffo porta, nella tradizione, il timbro di una grazia perfetta che sembra stridere col mondo angosciato e spesso degradato di Alda. Andando più a fondo, possiamo dire però che anche nelle liriche di Saffo c’è spazio per il dolore e il tormento nell’esperienza erotica, per i suoi tratti di follia. Ma l’eros resta comunque l’esperienza più vitale, la vera forza della natura che fa osare/sopportare tutto, la “belva dolceamara, indomabile” che va accolta nella sua potenza, invocando la dea Afrodite perché non sia distruttiva. Certo Saffo mette sempre in equilibrio i diversi aspetti della condizione umana, e femminile: se ci parla del suo degrado fisico di donna anziana, si consola però con la pratica della poesia e con l’invito a danzare rivolto alle ragazze, le cui ginocchia sono ancora agili come cerbiatti. La tradizione epica che assegna un destino tragico alla coppia di Andromaca e di Ettore non le impedisce di celebrare in uno dei suoi epitalami la gioia e lo splendore delle nozze tra i due mitici coniugi. I sentimenti di ostilità e di rivalità tra le donne vengono espressi senza che ciò sminuisca l’importanza centrale e creativa di queste relazioni. Nella poesia di Alda Merini, i riferimenti a Saffo sembrano costruire uno spazio di salvezza e di armonia: Alda cerca i fili d’erba nei cortili di Affori come l’antica poetessa greca va cercando fiori d’oro nei prati della sua isola.
Franca Longo
L’idea di tessere un dialogo atemporale che si servisse anche delle stesse parole delle due poetesse è nata in modo piuttosto casuale. Naturalmente, come insegnante di Greco, ho sempre amato e studiato la poesia di Saffo cercando di trasmetterne anche ai miei allievi e alle mie allieve tutta la sua profonda intensità; un giorno Angela mi parlò di come in quel periodo si stesse appassionando alla lettura di testi della Merini e di come l’avesse colpita il suo rifarsi a Saffo, vedendola guida e maestra della sua poesia. Non conoscendo a fondo la Merini, mi misi a leggerla anch’io e mi colpì proprio la poesia Saffo antica maestra e disperata/portatrice d’amore. Mi chiesi subito come la grandezza dei carmi saffici fosse arrivata ad Alda che non aveva studiato il greco (aveva frequentato, per volere dei genitori, l’Istituto Magistrale) e pensai che fosse avvenuto inizialmente attraverso il suo grandissimo e caro amico Salvatore Quasimodo, maggiore di lei di trent’anni. Anche la poesia di Erinna, poetessa greca del IV sec. a.C., alla quale nel libro è dedicata una breve sezione, le è senz’altro arrivata attraverso Quasimodo. Il poeta siculo-greco, come lui amava definirsi, affrontò gli studi classici tardi, quasi da autodidatta, raggiungendo però splendidi risultati nelle sue traduzioni. Personalmente ho sempre pensato che i lirici greci abbiano nella loro poesia qualcosa di antico e molto moderno assieme, forse è proprio l’essere arrivati a noi, come in gran parte anche Saffo, per tradizione soprattutto indiretta e quindi in modo così frammentario a renderne talora quasi “ermetica” la percezione, basti pensare appunto alla traduzione che ne fece Salvatore Quasimodo, sentendo i lirici molto vicini al suo poetare. Quando uscì nel 1940, non mancarono critiche da parte di alcuni filologi, ma questo è un altro argomento. Sappiamo che la traduzione poetica è un problema molto complesso, soprattutto quando è un poeta che traduce un altro poeta.
Alda è pienamente cosciente del fatto che non potrà mai raggiungere il suo modello, ma si sente a Saffo particolarmente vicina. A convincerci di questa vicinanza, oltre alle poesie dedicate alla sua “antica…grande e inutile maestra” furono soprattutto delle “riletture” che la poetessa milanese fece dei frammenti Saffici. Trovammo in una bibliografia notizie di un’opera in copie limitate della Casa d’Arte Colophon, L’uovo di Saffo. Si tratta di un’opera scultoria di Enrico Baj, composta di legno e uovo di struzzo, che contiene cinque frammenti di Saffo riletti da Alda Merini stampati su fogli di papiro originale egiziano. Il titolo e la forma della scultura derivano da due dei frammenti contenuti, il fr.167 L.P., riportato nel libro, e il fr.166 Voigt (non riportato) dove Saffo parla dell’uovo di Leda: Raccontano che un giorno Leda trovò un uovo colore del giacinto, chiuso… (si allude al mito della nascita di Elena), così riletto da Merini: …e nella terra sofisticata piena di humus di terrore/ Leda scoprì l’uovo l’amore e la piuma del suo incantesimo. L’editore bellunese Egidio Fiorin ce ne fornì gentilmente le copie fotografiche, dandoci il permesso di pubblicarne il testo. La Merini, comunque, rivisitando Saffo fa delle nuove poesie tutte sue, dove l’intensità dei sentimenti diviene fortissima. Ella, certo, sente Saffo in modo del tutto personale anche attraverso la mitizzazione che se n’è fatta nelle epoche successive.
A me è toccato dunque il compito di scegliere, tradurre e analizzare i frammenti di Saffo che si potessero collegare alle poesie di Alda che Angela andava via via scegliendo e analizzando. Avvicinare donne tanto lontane nel tempo potrebbe sembrare strano, ma, pur nella dolcezza e nella sicurezza del suo Tiaso, la poetessa di Lesbo ha intriso i suoi versi di quell’intenso, smisurato e tutto femminile bisogno di bellezza e d’amore che ha poi ispirato tantissimi poeti. Tradurre non è compito facile e soprattutto tradurre ciò che è già stato tradotto da moltissimi altri, e da grandissimi, nel corso dei secoli. Oltre a Quasimodo, sono rimasta particolarmente colpita dalla traduzione che di Saffo ha fatto il poeta greco Odysseas Elytis. Nel nostro libro ne ho riportato, rendendolo poi in italiano (quindi traduzione della traduzione!) solo un carme, quello famosissimo della passione amorosa, il fr.31. Quella di Elytis è una traduzione endoglossa, cioè nella stessa lingua, è un processo di mediazione che potremmo definire “intraculturale”, nell’ambito dello stesso codice espressivo; egli, sentendosi cugino della poetessa, perché originario della stessa terra d’Eolia, si permette di operare un gioco arbitrario di collage con i frammenti pervenutici e lo può fare perché, come dice lui, lavorano con gli stessi concetti, quasi con le stesse parole: con il cielo, il mare, il sole, la luna, le piante, le giovani ragazze, l’amore…Egli parla così di Saffo come una sua contemporanea e una sua conterranea, è creatore e ricreatore di poesia come lo è poi anche Alda.
Personalmente, ho cercato di tradurre Saffo in modo semplice e fedele, curando la scelta dei vocaboli e la loro posizione nel verso, ma senza aggiungere o togliere niente; ovviamente non potevo non tener conto delle diverse integrazioni che mi costringevano a operare delle scelte anche filologiche che potevano essere condizionate da studi e reminiscenze di altre traduzioni, però questo non vuole assolutamente essere un lavoro per grecisti, ma semplicemente per chi ama come noi la poesia. La poesia di Saffo così universale e capace di parlare ancora al cuore di noi uomini del XXI secolo può essere capita appieno solo se la si inserisce nell’ambiente in cui è nata, il Tiaso: ha infatti sì una dimensione soggettiva, ma anche una forte valenza sociale. Saffo non componeva per il pubblico panellenico dell’epos e nemmeno per un pubblico più o meno indiscriminato, ma per il suo tiaso, dove le sue odi venivano eseguite in occasione di celebrazioni comuni. Il tiaso era una comunità tutta femminile in cui la dimensione pedagogica, erotica e religiosa si fondevano insieme in un modo per noi molto difficile da comprendere. Ancora una volta mi ha colpito il termine greco usato da Elytis nella prefazione al suo libro ΣΑΠΦΩ : egli parla, per l’educazione delle fanciulle, di μετεκπαίδευση, cioè “perfezionamento” e, nella “casa” di Saffo, andavano le fanciulle più evolute dell’isola ed anche delle vicine isole o dell’Asia Minore per perfezionarsi nella danza, nel canto, nella poesia, nei comportamenti raffinati che le avrebbero immesse nel loro ruolo di donne e giovani spose nella società “bene” dell’epoca.
L’amore assume dunque in Saffo una sacralità profonda che lenisce, ma non annulla il tormento interiore, inoltre il paesaggio, il locus amoenus che fa da sfondo assume tutti i meravigliosi colori della sua isola.
All’inizio ho accennato a Erinna, poetessa del IV sec. a.C., alla quale nel libro è dedicata una breve sezione. Alda Merini, infatti, non so se cadendo nell’errore di chi la crede contemporanea di Saffo, le dedica una poesia dal cui testo, del resto piuttosto criptico, si evince come Alda parlando di Erinna pensi in realtà anche a se stessa, sia lei che Erinna, infatti, sono state soccorse da Saffo, sostenute, come ha scritto Angela, con un asse divino e baricentrico e le tre poetesse possono appunto divenire “anime dialoganti” in un lungo percorso genealogico.
Poche parole su Erinna: Si credette per un certo tempo nell’antichità che fosse di Lesbo e contemporanea di Saffo (v. in copertina il dipinto del preraffaellita Salomon), perché così riferiva il Lessico bizantino di Suida del X sec. d.C., in realtà quasi sicuramente proveniva dalla piccola isola di Telos (oggi Tilos) vicina a Rodi (ambiente dorico). Anche su Erinna le notizie sono in parte storiche e in parte leggendarie e, del resto, molto scarse. Morta a diciannove anni? Al v.37 del poemetto La conocchia, Erinna parlando di sé dice ἐννεακαιδέκατος (ἐνιαυτός), quindi avrebbe scritto l’epillio a diciannove anni; la notizia della morte sempre a diciannove anni secondo molti studiosi sarebbe però una “distorsione della verità” dovuta al fatto che non si avevano notizie di una sua attività poetica posteriore alla Conocchia. In tale opera, di cui rimangono solo una cinquantina di versi piuttosto lacunosi, la giovane poetessa parla dell’amica Baucide, compagna di giochi, morta lo stesso giorno delle nozze, bellissime sono le immagini legate all’infanzia, alle bambole, ai dolci preparati dalla mamma. Un epigramma anonimo del IX libro dell’ “Antologia Palatina” così la descrive:
E’ di Erinna questo lesbio favo:
una piccola cosa, ma completamente intrisa
del miele che viene dalle Muse.
I suoi trecento versi sono pari a quelli di Omero,
sebbene fosse una vergine di diciannove anni;
lei che, dedita al servizio delle Muse, per timore della madre,
attendeva alla conocchia e al telaio.
Se nella lirica Saffo è superiore ad Erinna,
così Erinna supera Saffo negli esametri.
A.P. IX, 190
Come sentiamo, qui la poesia della fanciulla è paragonata ad un favo, poesia dunque come lavoro dell’ape, l’ape nel mondo antico è simbolo di poesia, ma anche di laboriosità e di “sapere femminile” e il favo viene costruito, “tessuto”. Il termine “tessere” per i favi viene usato da autori antichi come ad es. Senofonte nell’Economico, opera che, come ben si sa, parla anche dell’educazione della giovane moglie da parte dell’uomo; la donna deve sovrintendere ai lavori dell’ οἶκος come l’ape sovrintende alla costruzione dei favi, e Senofonte usa il verbo ἐξυφαίνω, cioè tessere, intessere. Erinna dunque tesse versi così come tesse al telaio.
Angela Villani
Il topos dell’ape si ritrova anche nel mondo della Merini; Alda si definisce un’ape furibonda, vi è inoltre una poesia da lei scritta intitolata Ape regina:
Accarezzami musica
scorri su me come acqua d’argilla,
scorri sulla mia bianca pietà:
io sono innamorata di un aedo,
sono innamorata del cosmo tutto,
sono piena d’amore
sono l’ape regina
col ventre gonfio dei due golfi perfetti,
dolcissimo chiaro preludio
a una polluzione d’amore.
L’uomo scorre sulle mie bianche viscere non s’innamora mai
perché sono accademia di poesia.
E’ lei l’ape regina, la madre fertile che dispensa il dolce miele della poesia, una musica lieve e delicata che si tinge di sonorità cupe e disperate. Alda sembra incontrare Saffo nel percepire l’amore come “ un dolceamaro tormento”, dal momento che l’amore è simultaneamente attesa che culmina nell’acme e ineluttabile declino. L’amore è una leggera brezza e violenta bufera che travolge ogni cosa e la poetessa fu folle d’amore (è questa l’espressione che meglio la rappresenta) ma, come scrive Nietzsche, occorre avere un po’ di caos in sé per partorire una stella danzante. Sono rimasta affascinata dalla parola poetica di Alda ed anche dalla sua personalità; ebbe una vita costellata di tanti drammi ma rimase sempre presente in lei la ricerca d’amore, la necessità di ricercarlo sempre ed ovunque, un’ossessione che non l’abbandonò mai, neppure in vecchiaia e si manifestò anche in quei periodi bui della sua esistenza, nei lunghi internamenti in manicomio, dove conobbe l’inferno e la disperazione ma anche la solidarietà e la vicinanza con gli altri diversi e diseredati, in una comunità certo non paragonabile alla serenità del tiaso ma dove vi era una forte coesione dovuta alla paritaria sofferenza. Tutta la produzione meriniana scaturisce da ciò che la poetessa vive, dalla sua esperienza concreta, mentale e soprattutto dal suo specifico stato d’animo, che le fa da lente con cui osserva il mondo; e l’occasione è per lei la vita stessa, la sua sola fons autentica, la vita sofferta e vissuta. Alda si è sempre definita profondamente cristiana ma il suo considerare e vivere l’amore, la sua condizione di follia, il suo modo di operare non la fanno poetessa cristiana. “Che cristiana son io ma non ricordo dove e quando finì nel mio cuore tutto quel paganesimo che vivo”, si può quindi parlare di un misticismo amoroso’, una perfetta fusione tra istinto erotico e vocazione religiosa, tra Eros e Deus che si manifesta in una poetica osssimorica e tradisce un tentativo di colloquiare col divino senza però riuscire a trovare un’unità con esso. Nella sua produzione vi sono sprazzi di levità di fanciulla che ho voluto sottolineare ma anche rimandi ai drammi di “ un torturato e pesantissimo cuore.” Nascere il 21 marzo a primavera è stato forse un segno del destino: la primavera è pazza e scriteriata proprio come Alda. Il manicomio è stato una scuola di formazione: Alda sepolta viva rinasce per poi prendere la propria strada. Nel manicomio non si sente il tempo, non si aspetta nulla e chi ne è uscito, si sorprende nel ritrovarsi vivo. Come amava dire Alda, anche il demonio si è commosso facendola ritornare a vivere e permettendole di ritrovare nella vecchiaia una prospettiva privilegiata da cui contemplare ed accogliere la vita sempre come un dono la cui forza propulsiva non è solo l’amore ma soprattutto il dolore. Poetare è opporsi al male, al silenzio assordante che percepì in manicomio, luogo per antonomasia di esclusione, di contenzione e di afasia. E ”lì spirano venti che ti entrano dalla bocca e non ti fanno più cantare” La Merini, nell’ultima parte della sua vita, divenne un fenomeno mediatico, numerose le sue apparizioni in televisione a partire dal 92. Nelle interviste, Alda apporta i suoi slanci, l’entusiasmo tipico dei giovani e confessa se stessa non senza mitizzare alcuni episodi della sua vita. Ha un modo tutto suo di rispondere o meglio di non rispondere alle domande: si esprime in maniera sibillina, le sue parole e la capacità affabulatoria affascinano il vasto pubblico ma al tempo stesso dividono coloro che la amano e quelli che ritengono che i suoi versi siano ben poco poetici, ma il fascino della Merini consiste proprio in questo: le sue parole sia quelle pronunciate che quelle scritte suonano come responsi oracolari e rimandano a verità profonde, al trascendente, all’ineffabile. Il poeta è da Alda definito un parafulmine, che sente l’energia cosmica e la riversa nei versi. Occorre essere un po’ folli, impazzire per non capire più niente, provare una sorta di spaesamento per sapere ascoltare con animo puro, attraverso la poesia, gli altri. Fare poesia significa difendere l’umanità, significa amare chi non meriterebbe niente e Alda ha amato chi non la ricambiava e comprendeva. Il poeta è osservatore dei tempi, è operaio di pensiero come ripeteva lo stesso suo amico Quasimodo, è l’unico che reclami il tempo da dedicare al sogno. I poeti lavorano di notte, nel loro silenzio fanno ben più rumore di una dorata cupola di stelle. Le stesse collaborazioni artistiche con Milva e Giovanni Nuti confermano come poesia e musica siano vasi comunicanti. La poesia di Alda non può eludere il confronto con la musica (come anche la lirica antica) e Alda si impone non solo nella veste di Sibilla che elargisce la verità in maniera misteriosa ma di Sirena, colei che incanta con la voce. Al telefono detta ai suoi amici più cari i versi, che compongono un canto senza ripensamenti che si avvale degli strumenti della comunicazione. La caratteristica dell’oralità è la scrittura sull’acqua, sulla sabbia e la voce è l’inchiostro di quella scrittura ma l’oralità fu presente anche nel mondo dei classici. Gli stessi aedi erano i cantori che intonavano, accompagnandosi con la cetra, canti che glorificavano le gesta degli dei e degli eroi e la cui missione consisteva nel mantenere vivo nella memoria dei posteri il ricordo delle imprese passate. E come non ricordare la figura della ninfa Eco che si consumò d’amore per Narciso sino a ridursi a una voce senza corpo? E noi abbiamo immaginato Saffo e Alda ormai vecchie parlare di figlie, di ricordi, di attese, di nozze, di fiori, di stelle e di luna e ragionare d’amore. Il loro è un tessere e un ragionare tutto al femminile. Adesso diamo voce proprio alle due poetesse.
Segue lettura delle attrici Sonia Grandis (Saffo) e Paola Salvi (A. Merini) di brevi parti del dialogo accompagnate da alcune liriche, con accompagnamento musicale di Michele Franzini.