7 Marzo 2014

VD 82: Un segno del kairós?


di Annarosa Buttarelli


I fatti hanno dato ragione alle tante che hanno, da subito, capito l’incongruità della richiesta di inclusione nel sistema della rappresentanza attraverso percentuali numeriche che avrebbero dovuto riequilibrare la presenza dei due sessi nei luoghi decisionali. Non solo in Italia le donne hanno detto no. Eppure la campagna dell’UDI, ormai nota come 50E50, anche se si colloca all’interno della rivendicazione classica e per questo viene spontaneamente ricusata da molte, ha risollevato il desiderio di ripensare allo stato delle relazioni (o non-relazioni) tra donne e luoghi di gestione del potere decisionale.

Ad esempio, a me risulta chiaro che la questione non si può più rigettare con un semplice no perché mi risulta altrettanto chiaro che l’iniziativa dell’UDI è un tentativo di dare una risposta a qualche cosa che sta diventando sempre più consistente e più pressante, come se stessimo ormai arrivando a percepire il mostrarsi del kairós, cioè delle numerose circostanze favorevoli che suggeriscono un agire politico capace di cogliere l’offerta contenuta nel tempo presente.

Proviamo a individuare alcuni segnali che fanno pensare al costituirsi concreto di una soglia che si può decidere soggettivamente di varcare o no, considerando le conseguenze nell’uno o nell’altro caso, ma che comunque si impone per essere pensata e valutata politicamente.

– È più volte richiamato, in varie discussioni pubbliche non solo tra donne, il sociologo francese Alain Touraine che nel suo libro Le monde des femmes.ha individuato nelle donne di oggi le autrici di una possibile e augurabile rivoluzione culturale, necessaria per evitare alcune catastrofi in corso.

– In molte ci siamo felicemente sorprese per la limpida presa di posizione di Joaquin Navarro-Valls (ex portavoce di papa Giovanni Paolo II) che, su “la Repubblica” del 19 luglio scorso, ha contribuito a sgonfiare la generalizzazione della polemica scoppiata per la ripresa dell’uso del corpo della donna nella pubblicità. L’argomento che usa Navarro-Valls è il profondo cambiamento avvenuto in altre aree della società e della cultura grazie al lavoro delle femministe del pensiero della differenza sessuale.

– Prendiamo atto con atteggiamento spontaneamente simpatizzante, anche se siamo spesso incerte nel giudizio, del numero crescente di donne chiamate in varie parti del mondo a governare i loro Paesi. Ultima, in ordine di tempo, la misteriosa Pratiba sostenuta da Sonia Gandhi, divenuta prima donna capo di Stato in India.

– Leggiamo che Rosy Bindi ha deciso di impegnarsi in prima persona per diventare la guida del nascente Partito Democratico. Il fatto non ha niente di speciale nel solito gioco della politica istituzionale, ma diventa molto interessante se teniamo conto della motivazione che forse spariglia le solite carte: “Ieri mattina – dice Rosy Bindi – ero al sud, ero davanti a tante donne: mi è sembrato il posto giusto, un bel simbolo. Ma sì, santa pazienza: lo faccio anche per le donne. E’ mai possibile che non sia mai il loro momento, che debbano solo lavorare e portare acqua e poi essere chiamate al sacrificio, alla rinuncia, al passo indietro? E basta, adesso! Il Paese ha bisogno delle donne, hanno un’energia incredibile, è proprio sciocco tenerle fuori. È un calcolo figlio della paura di soccombere al loro confronto, viene da pensare. Non parlo di me, figurarsi (…), parlo delle altre, di tutte. Chiamiamole all’appello, ora” (“la Repubblica”, 17 luglio 2007).

In quest’ultimo “ora”, non ci trovate il senso del kairós?

Ma di che appello si tratta? Forse è un appello a prendere il proprio posto, a non essere reticenti, a lasciare la propria impronta, ad accettare di essere “signore” del contesto, delle proprie competenze, delle proprie energie, della propria intelligenza, del proprio amore del mondo e dell’affidabilità delle relazioni politiche in cui tutto questo nasce e cresce. Non si possono liquidare le parole di Rosy Bindi riducendole ad essere intese solo come il solito appello a partecipare alla competizione elettorale. Sono le parole di una donna che sa cos’è l’intelligenza, il lavoro, l’amore delle sue simili. Se il suo discorso ha un difetto riguarda l’evocazione del muro di gomma degli uomini al potere come unico problema, mentre dimentica che l’assenza dai luoghi di gestione del potere avviene spesso proprio per scelta diretta delle donne. Ma a questo punto non so se sia più sostenibile che la reticenza femminile avvenga solo per il ripudio della gestione del potere nelle sue forme storiche. C’è di più, o di meno, ora, e vale la pena ripensare di nuovo all’autorità femminile con tutti i problemi che porta con sé.

Analogamente, non credo si possa ridurre la proposta UDI 50E50 costringendola nella consueta griglia di lettura: “eccole di nuovo, sono ritornate a rompere con le percentuali”.

Alla luce della ricapitolazione di alcune circostanze favorevoli che si stanno aggregando intorno al momento che viviamo, proporrei di includere anche l’iniziativa dell’UDI, mettendo a disposizione ciò che sappiamo fare, non smettendo di farlo: la politica del simbolico, cioè la capacità di trovare un senso non ovvio alla realtà che cambia, per allargarla a innalzarla verso il suo meglio.

A Rosy Bindi offrirei di considerare l’indignazione che l’ha colta, la scelta che ha fatto, l’appello che ha lanciato non tanto come un semplice “donne, fatevi avanti nei partiti e nelle liste elettorali”, ma come un gesto d’amore verso le proprie simili troppo spesso colpite dalla autodebilitazione, dal lamento dell’inadeguatezza, dalla reticente e ambivalente relazione con le occasioni reali che chiamano a prendere il proprio posto ovunque, ad assumersi le responsabilità che derivano dall’eccellenza delle proprie competenze, dalla propria energia creatrice. Se fossi in lei e in chi le è vicino, procederei sulla strada di questo gesto d’amore facendone il vero asse centrale della sua battaglia. Poiché abbiamo anche amore per il mondo, bisognerà trovare la maniera per mettere uno stop alle decisioni (e a chi le prende) che continuano a portare molti livelli del mondo verso il peggio.

Alle donne dell’UDI porgerei l’invito a rileggere insieme il loro 50E50, a rinunciare al solo significato inclusivo nell’ordine simbolico della democrazia rappresentativa, poiché se si accontentano di questo, falliranno. Ma le inviterei anche a non buttarlo via perché maschera un’importante intuizione che può essere giocata molto meglio in modo simbolico: il 50E50 vuole mettere fuori gioco le quote, le sbaraglia tutte, è un cuneo proprio nel mondo che funziona intorno spartizione del potere. Direi alle donne dell’UDI di vedere il segno del kairós nella loro mossa paradossale che entra con una richiesta impossibile nel mondo della rappresentanza e ne depotenzia la credibilità e il funzionamento. Sento il vostro desiderio di grandezza che ormai vi ha fatto superare la rivendicazione di posti di potere: con il vostro paradosso viene scartato il dualismo dentro-fuori dalla sala dei bottoni e si può configurare non solo una politica che si nutre prima di tutto di simbolico, ma anche forse una nuova forma di relazione nella differenza con quelli che sono i luoghi dove si prendono decisioni per l’intera umanità.

(Via Dogana n. 82, settembre 2007)

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