di Maria Castiglioni
Pensiamo che l’amore per la politica sia animato dal desiderio di cambiare le cose e di instaurare relazioni significative tra chi la fa: questo amore può giocarsi fuori come dentro le istituzioni della rappresentanza.
Per chi lavora nelle istituzioni osserviamo(ed è opinione comune) che il desiderio di cambiamento spesso si infrange contro i dispositivi e le logiche del potere, a cui sembra si pieghino anche gli spiriti più radicali, con effetti di rapida delusione dei loro sostenitori/sostenitrici. Anche le donne non ne sono esenti: in questo senso interpreto la seduzione del 50/50 che comporta più svantaggi che guadagni, quali lo spegnersi del conflitto uomo-donna, come ha efficacemente sottolineato Ida Dominijanni.
Rilevo che manca una riflessione, libera e articolata, delle donne sulla loro passione per la politica istituzionale. Nei nostri incontri come Giardiniere quello che è apparso chiaro, incontrando Lucrezia Ricchiuti (allora vicesindaca di Desio)e Maria Ferrucci (attuale sindaca di Corsico), è la passione per la legalità, il ristabilimento delle regole a cui gli uomini che le hanno inventate, per primi, vengono a meno con molta spregiudicatezza ed enormi danni per la collettività.
Recentemente, incontrando la vicesindaca di Milano, Lucia De Cesaris, abbiamo notato in lei anche una passione per una ‘visione’ diversa della città, per una città più vivibile e salutare, a cui lei ritiene di adeguare la sua azione istituzionale.
La mia curiosità, verso chi fa la politica nelle istituzioni, si concentra essenzialmente su tre punti:
1) il vincolo di appartenenza, che comporta una condotta di lealtà verso l’istituzione (e verso i propri colleghi/e) e il conflitto che ne può nascere rispetto a se stesse nonchè alle istanze dei rappresentati;
2) la logica dell’emergenza: non si può cambiare perchè bisogna tamponare, si deve tamponare perchè l’assetto è fragile e ogni apertura rischia di modificare gli equilibri in atto con rischiosi effetti di scompenso del sistema a cui si appartiene;
3) la seduzione del potere, il suo rappresentare le 3S:soldi, sesso, successo. Rilevo però anche un’altra grande attrattiva rappresentata dal ‘mestiere della politica’: la possibilità di far coincidere una passione con un lavoro -ben- remunerato (il famoso ‘rivoluzionario di professione’).
Per quanto riguarda la politica delle Giardiniere e il modo in cui questa si intreccia e con quella istituzionale e la decodifica, parto da una esortazione/invito di Antje Schrupp: dobbiano pensare che queste donne esprimano–oltre alla volontà di accesso al potere –anche un forte desiderio di politica(VD 99/2011).
Che cosa significa questa affermazione calata nella nostra pratica politica, allorquando questa comporta l’interlocuzione con donne al potere?
Sicuramente una incertezza di codici interpretativi. Se mettiamo all’opera quelli usuali interpretiamo la relazione, e le ‘mosse’ fatte al suo interno dalle nostre interlocutrici al potere, nella logica strumentale, machiavellica, doppiogiochista, preoccupata del consenso elettorale etc.
Questa interpretazione non è facile da lasciare: un po’ perchè nella cultura di sinistra la lotta di classe è comunque una chiave di lettura importante, un po’ perchè l’abbandonarla ha significato spesso colludere con la controparte e svendere i propri obiettivi.
Quindi ‘vedere altro’, come ci invita a fare Schrupp, è impresa molto delicata che si muove tra questi due versanti. Ciò che sta in mezzo, cara Antje, è tutto, o quasi, da costruire.
Per quanto mi riguarda comincio dall’irritazione che mi provoca la decodifica secondo la pura logica strumentale e spiego il perchè. La sento innanzitutto riduttiva della competenza relazionale e della tenacia del desiderio messo in campo dalla politica prima. Ad esempio, nella interlocuzione con la De Cesaris ha contato di più la lettera d’appoggio al nostro progetto del CdZ7 o la forza del nostro desiderio? Ha contato di più la preoccupazione per i colpi che sta perdendo la giunta Pisapia nel consenso dei cittadini, o la nostra competenza, sia di contenuti che relazionale? Ha contato di più il suo desiderio, della De Cesaris, di una buona politica o la logica dell’operazione d’immagine?
Da questa pratica di interazione con queste donne io, all’oggi, ho imparato due cose:
1)stare al detto e allo scambiato, con rigore, senza aggiungere altro (sogni, fantasie), nè forzare la mano (con intepretazioni/attribuzioni) o avere la presunzione di stare dalla parte giusta (anche se è vero, ma non serve) o di insegnare cosa fare ( i gatti sanno arrampicarsi da soli…).
2) l’attenzione al linguaggio: le metafore guerresche non servono se non siamo in guerra (vittoria, strappare un risultato, sfida, ultimatum, parte avversa/controparte, tattica/strategia): occorre sforzarsi ogni volta di trovare parole esatte che restituiscano con fedeltà la realtà delle cose e della relazione in atto.
Da ultimo vorrei porre una questione: ho sentito alcune donne lamentarsi della vacuità delle aule(parlamentari, consigliari) in cui fanno politica, altre ammettere che comunque stare lì è anche interessante. Al di là dei vissuti personali mi chiedo se è possibile – e come- trasfondere, in quei luoghi, alcuni elementi della ‘politica del simbolico’ o ‘politica del significato’ (la definizione è di Bell Hooks), i cui cardini sono: il partire da sè, dalla forza del proprio desiderio e la pratica di relazioni, gratuita e non strumentale e come è possibile mantenere una relazione con chi questa pratica politica la fa.