di redazione La27ora
Donne ai posti di comando per dare forza a una classe dirigente più moderna. Libera da vecchi codici e vecchi club, capace — nel suo insieme — di trasformare il Paese. In Italia si sta definendo la mappa di un nuovo potere femminile. La stanno disegnando quel 31 per cento di deputate e senatrici in Parlamento dal 2013, le otto ministre su 16 al governo, le capolista alle elezioni europee. E ancora: le manager nominate ai vertici delle società quotate in Borsa, le alte funzionarie di alcune aziende pubbliche strategiche, le 5 rettrici (su 78, pochissime) alla guida di università influenti. La svolta c’è. È in corso. Ma è a questo punto chevogliamo chiederci: lungo le direttrici di questa svolta ritroveremo anche le nostre strade comuni? Questa mappa è, o promette di essere presto, lo specchio di un cambiamento diffuso e coerente?
La realtà è che non ci sono ancora le condizioni per una vita quotidiana equa, con opportunità e responsabilità in equilibrio tra donne e uomini in tutti i campi, pubblici e privati. Anzi. Ci sono molti dati e statistiche e numeri che potrebbero essere qui considerati per raccontare come stiamo veramente. Prendiamone uno solo: la quota delle madri che ha lasciato il lavoro dopo la nascita di un figlio non è affatto diminuita. Al contrario, è balzata dal 18,4% nel 2005 al 22,3% nel 2012, percentuale molto superiore alla media europea. Questo vuol dire che resta moltissimo da fare e rivela quanto sarà fondamentale, in questa fase critica, il ruolo di chi è invece riuscita a rompere il soffitto di cristallo nazionale.
E dunque il valore della crescita femminile va difeso da alcune insidie, magari invisibili. Prima fra tutte il rischio di un’omologazione strisciante, o anche immediata, rispetto a chi ha avuto il controllo esclusivo del potere per secoli. Le donne, anche perché in forte minoranza e di conseguenza sotto osservazione speciale, finiscono a volte per assorbire i difetti dei vertici tradizionali: vengono cooptate nei nuovi ruoli e si uniformano alla classe dirigente preesistente. Non rompono gli schemi organizzativi, non cambiano il linguaggio, non innestano un’identità e un’energia proprie. Il paradosso è che, attraverso questa complicità più o meno consapevole, il potere maschile si «rigenera». Grazie al cambio di genere. Una seconda questione è in gioco tra le donne stesse. In questo caso, l’insidia arriva da quante «ce l’hanno fatta»: insieme vanno ad affollare una vetrina — molto esposta — che sembra comunicare alle altre donne, e agli uomini, una situazione di parità ormai raggiunta se non sorpassata. Chi non è in ascesa, chi non riesce a tenere insieme vita familiare e professionale, si sente a torto sbagliata e resta ai margini: teme — o viene accusata — di non essere abbastanza preparata e audace. Come se il successo di poche costituisse la prova che adesso tutto è possibile, se solo si hanno riflessi pronti e una giusta ambizione…
La riuscita di alcune donne sarà sì una leva sociale determinante, ma soltanto se aprirà a scelte libere — di fare o non fare carriera, di fare o non fare figli — e se saprà accelerare mutamenti positivi per tutte in mondi anche distanti. Siamo a un tornante risolutivo quanto pericoloso di una salita non breve: servono misure d’urto per scardinare le resistenze nel lavoro, nelle istituzioni, nel sistema dei talenti e dei meriti. Questa agenda per le donne, e per la società intera, deve aprirsi subito. Per non tradire chi comincia a immaginarsi in un futuro prossimo di possibilità, per chi quelle possibilità non riesce a intravedere.
L’innovazione del lavoro e nel lavoro è il primo punto. Orari ripensati, rotazione delle mansioni, valutazione dei progetti realizzati e non dei tempi lunghi in ufficio possono dare una prima spallata. Con il coinvolgimento di sindacati e associazioni delle imprese, la flessibilità è fondamentale perché scatti un cambio di organizzazione che liberi risorse e motivazioni personali. Ed è inutile ragionare di occupazione femminile finché il guadagno di una donna resterà in competizione con i costi di cura della casa, dei figli, dei genitori anziani. In questo passaggio, la leva fiscale è irrinunciabile. Sostituire la detrazione per il coniuge a carico — ormai si sa: è un disincentivo all’impiego femminile — con la deducibilità dei costi di cura sostenuti dalle famiglie renderebbe finalmente conveniente mantenere quel secondo stipendio.
Flessibilità, riforma del Fisco, educazione. Il divario tra studenti e studentesse è stato colmato, ma le bambine continuano a seguire percorsi scolastici influenzati da modelli culturali ancorati alle previsioni di genere. Le ragazze vanno invece incoraggiate a esplorare anche spazi ritenuti «maschili»: come quelli delle materie STEM (Science, Technology, Engineering, Math) che portano a professioni nella scienza, nella tecnologia, nell’ingegneria o nella matematica. Professioni che garantiranno maggiori chances di impiego, di crescita, di indipendenza economica a lungo nel tempo.
La rotta si sta invertendo ai vertici. Nuove politiche sociali e per il lavoro sosterranno la navigazione. Ma si avvicina un giro di boa coraggioso che tocca direttamente alle donne: nella ricerca di nuovi equilibri, pubblici e privati, ci sono stereotipi da smontare a favore degli uomini per rivoluzionare il loro ruolo nelle famiglie. Soprattutto come padri. È compito anche delle donne ripensare un’idea antica di virilità schiacciata su forza e protezione e infallibilità. Davvero la libertà è partecipazione: ma per tutti. Per le donne e per gli uomini, insieme, fuori e dentro casa.
(Corriere della sera – 22 giugno 2014)