di Ilaria Bortot
Sarit Jacobsohn è una di quelle donne che a quarant’anni ne dimostra ancora venti, che ha un passato doloroso alle spalle ma che continua a dipingere quadri pieni di colori perché, come dice lei stessa, “viviamo nel posto più bello” ed è bello ricordarsene anche attraverso l’arte. La nostra chiacchierata Milano-Tennessee parte subito dal suo passato. Inizio con una domanda che mi sembra banale: “Da dove vieni?” e lei risponde: “Sono una cittadina del mondo”. Non poteva essere una risposta più azzeccata.
Sarit nasce a Hong Kong e i suoi primi anni di vita li passa a viaggiare in Asia con sua madre. A quattro anni si trasferiscono definitivamente a Tel Aviv. A 18 anni, come ogni cittadino israeliano, viene arruolata nell’IDF. A poco serve fare resistenza. Sa bene che ogni protesta la porterebbe a rimanere in prigione fino al suo “sì” coatto quindi accetta e a malincuore si arruola.
Non ho avuto paura di farle domande scomode perché è il suo stesso personaggio ad “esigerle”. Non ho mai avuto paura che mi mentisse perché la profondità dei suoi occhi era tale da non farmi dubitare. Così, ho abbassato le difese del “buon giornalista” e mi sono lasciata andare ad una di quelle chiacchierate che ognuno di noi spera di poter fare almeno un paio di volte nella vita.
Cosa ti ricordi di quel momento?
È stato orribile. Piangevo. Stavo male. Non ero l’unica ma c’era chi era più bravo di me a tenere la testa bassa. Mi davano il fucile in mano e io pensavo che mai avrei potuto usarlo. Così lo tenevo scarico. Se mi avessero beccato sarebbero stati guai ma… Almeno ero sicura che anche costretta non avrei potuto nuocere a quella gente.
Com’erano gli anziani nei confronti di voi nuove leve?
Disgustosi. E cattivi. Non si contano gli stupri. Molti di loro abusano le giovani soldatesse, le provocano. E se provano a dire di no vengono schernite. Soprusi fisici sono all’ordine del giorno. Hanno tentato di violentare anche me… Era il mio comandante, era poco più grande di me. Ho preso la pistola e l’ho minacciato, gli ho detto che non avrei esitato a sparare. Mi ha lasciata in pace. Ma io avevo capito che dovevo andarmene assolutamente.
Come si fa a lasciare le file dell’IDF?
È molto difficile. Ho chiesto aiuto ai miei amici artisti che erano riusciti a venire riformati. Il loro consiglio è stato chiaro: non mentire. Non fingere di essere chi non sei, lo scoprirebbero. Ma io pensai comunque di fingere di essere pazza, insomma una stravagante… Avevo già dato prova di essere una piuttosto eccentrica quando invece di dipingere le pareti delle stanze bianche le dipinsi nere, quindi non pensavo fosse difficile. Ma una volta davanti allo psicologo invece di sentirmi dire “Ok, non fa per te” mi fu proposto un posto lontano dalla violenza ma comunque all’interno dell’IDF. Davanti a quelle parole scoppiai in lacrime e dissi semplicemente quello che avevo nel cuore, “Io amo i palestinesi!”. La risposta fu abbastanza cinica, “Beh… questo in effetti è un problema”. Fui riformata. Ero libera. E tremendamente triste.
I tuoi parenti come l’hanno presa?
Erano scioccati dalla leva obbligatoria quindi erano felici che fossi di nuovo a casa. Ma si erano accorti che la cosa mi aveva turbato. Da allora ho sempre fatto quanto possibile per aiutare chi si è trovato nella mia stessa situazione. Sono andata via da Israele appena ho potuto. La mia famiglia è venuta con me. All’improvviso la mia casa è diventata la mia prigione. Siamo venuti in America. Ma continuo a muovermi da qui, a parlare con la gente per far capire cosa sta succedendo nella mia terra. In Israele e in Palestina.
Sono passati vent’anni e non è cambiato niente. Come ti stai muovendo per sensibilizzare la gente riguardo le vere condizioni in cui vertono i giovani soldati costretti alla leva nell’IDF?
Non solo non è cambiato nulla ma le cose stanno peggiorando. Hanno costruito un muro, il sistema educativo si sta trasformando sempre di più in un sistema fascista degno di una vera e propria dittatura. Siamo sempre di più in un sistema di austerity. Ogni giorno viene occupato un pezzo in più di territorio palestinese mentre i media israeliani riportano notizie che parlano dei palestinesi come dei peggiori terroristi di sempre. Israele mi ricorda ogni giorno di più la Germania del 1939. C’è un altro grave fatto: dato che gli israeliani sono molto più poveri e spesso vessati economicamente; la gente è così disperata che ricorre all’automutilazione. Ho cercato di parlarne con più persone possibile, ma nessuno sembrava volesse ascoltarmi. Allora ho iniziato ad usare Facebook e magicamente… qualcuno ha iniziato a svegliarsi. Mantengo contatti con centinaia di attivisti israeliani e palestinesi che ogni giorno sono davanti alle armi e do loro il mio supporto morale. Ho provato anche a parlare con il governo di Israele ma… sto tristemente imparando che questo sarà il compito più arduo.
Sei mai tornata in Israele dopo che hai lasciato l’esercito?
Quando il governo di Israele mi ha rilasciato un documento dove ha scritto che sono “esentata” dal servizio militare sono stata libera di andare e venire ogni volta che volevo. Non sono più tornata dopo la costruzione del muro… mi ricorda i muri che separavano i prigionieri dei campi di concentramento. È più di quello che posso sopportare. Troppe persone della mia famiglia sono morte in quei campi e sono cresciuta chiedendomi come il mondo potesse averlo permesso. E ora mi chiedo lo stesso riguardo la Palestina o altri posti in cui accadono cose simili…
Ti definisci una “cittadina del mondo”, sei un’artista. Pensi che l’arte possa essere un buon mezzo di comunicazione per il tuo messaggio? Riesci con i tuoi quadri e le tue canzoni a rendere più chiaro il messaggio a chi ti sta intorno?
Ho scritto una canzone che si chiama “Shame on you Israel” o un’altra che parla dei criminali che ci sono in giro per il mondo, si chiama “Circus”. Le ho scritte insieme alla mia band, la “Poppy fields and the wooden air plane”. Per quanto riguarda i quadri… In realtà ne ho solo un paio davvero “politici”. Uno l’ho dipinto dopo il disastro ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizone l’altro rappresenta la Palestina… Spero di poter dipingerne altri, di essere davvero ispirata.
I tuoi quadri sono pieni di colori, pieni di vita, qualcosa che raramente si vede oggi. È questo il modo giusto per informare la gente?
Viviamo in un pianeta bellissimo, il più bello, ed è quello che cerco di trasmettere con la mia arte. E si, credo che la gente abbia bisogno di più arte “politica”.
Come è presa la tua posizione negli USA? Hai mai avuto problemi per come la pensi?
Sì. L’America è da biasimare in parte perché ha il potere di veto nelle decisioni delle Nazioni Unite e preferisce continuare ad usarlo per incanalare altri soldi alle industrie militari attraverso l’Aipac. L’ONU dovrebbe diventare un corpo democratico così nessuna nazione potrebbe avere il potere di veto. E dovrebbe rafforzare le leggi internazionali. Ad oggi se l’ONU condanna Israele l’America usa il suo potere di veto per fermarla. Così facendo non guarda gli interessi della gente ma di quelli che hanno più capitale e fino a quando non cambieremo questo non c’è speranza di rispettare i diritti umani, né qui né altrove. Martin Luter King aveva ragione quando diceva “a threat to justice anywhere is a threat to justice everywhere”.
Cosa speri che faccia il governo di Israele?
Spero che faccia un passo indietro perché sa benissimo di essere un sistema corrotto e di non aver mai fatto abbastanza per la gente del suo paese. Israeliani e palestinesi vivono un momento di tremenda crisi finanziaria perché, dopo tutto, la politica delle armi è costosa e a rimetterci è proprio il popolo. Ma se osserviamo bene è facile accorgersi che il governo di Israele è composto da una serie di marionette mosse dall’industria militare che è, ovviamente, terrorizzata dalla pace o dagli attivisti che la promuovono. Fin dal primo giorno il governo ha fallito nel rappresentare la gente perché, pur definendosi una democrazia, attualmente sta ignorando metà dei suoi cittadini, trattandoli come se non fossero reali, come se non esistessero. Le leggi che non permettono di comprare terreno se non si è ebrei sono solo una parte di tutto quello che viene “tolto” a chi non è parte della comunità ebraica. E questo è un orrore.
Se l’ONU e gli altri Paesi del mondo facessero notare queste ingiustizie qualcosa cambierebbe?
Io penso che una pressione costante da parte del resto del mondo possa essere il modo giusto ma allo stesso tempo sono preoccupata per i palestinesi, perché continuerebbero a subire violenze giorno dopo giorno. Il governo di Israele è orgoglioso della sua corruzione. Sono stati capaci di derubare perfino parte delle pensioni riservate alle vittime dell’olocausto. È impressionante come la bassezza umana si sia impossessata di quel paese. Loro non rispettano la legge ma si aspettano che tutti rispettino le loro regole. Hanno attaccato ogni paese vicino ai loro confine, ci hanno provato anche con l’Iran.
Qual è il tuo messaggio per chi vuole approfondire la questione palestinese?
Andate sempre oltre la superficie e chiedetevi sempre a chi conviene. Dobbiamo sempre andare a vedere da dove arrivano i soldi della nostra politica perché di solito la maggior parte del loro capitale è la radice di molte, troppe, ingiustizie.
da http://frontierenews.it
20 febbraio 2014