6 Novembre 2014

Non siamo qui per rigovernare il mondo


Relazione di Giordana Masotto al convegno Acli Cisl dal titolo: “Come il cambiamento del lavoro e la crisi hanno inciso nel mutamento in atto di identità femminile e maschile e nei rapporti tra i generi”, Milano 23/5/2014


Un’osservazione preliminare sul titolo. Sul cambiamento delle donne e degli uomini ha inciso soprattutto la rivolta delle donne e un movimento che da quarant’anni non ha mai smesso di esserci e di pensare. Il conflitto è stato aperto dalle donne con un atto di separazione che è stata la rottura della segregazione identitaria (non parliamo di identità che portano solo disastri, parliamo di soggetti e di differenza). Le donne hanno agito politica in casa e sono uscite di casa. Nel frattempo il lavoro stava cambiando e siamo passati dal fordismo al postfordismo. Ma è quel movimento politico delle donne che ci fa dire: le donne sono le naturali abitanti del postfordismo; il lavoro delle donne – cioè tutto il lavoro necessario per vivere, è il lavoro del futuro; e il sapere delle donne sul lavoro e sull’economia è pensiero buono per tutti, donne e uomini. È l’irriducibile complessità delle donne che mette le basi di una soggettività politica che poi tutti stiamo cercando perché “il soggetto politico” del Novecento non c’è più, è finito.

Molte cose stanno cambiando per le donne, per gli uomini e tra di loro. Questo è un fatto. C’è bisogno di relazioni nuove e questo viene anche enunciato con forza e consapevolezza.

Ma l’altro fatto è che questi importanti cambiamenti vengono trattati perlopiù in un’area che riguarda il privato, il costume, il comportamento. E i comportamenti – anche quando sono esposti allo sguardo di tutti, commentati e discussi – rimangono privati.

Secondo me è questo il problema di cui dovremmo discutere.

Quando una quarantina di anni fa le donne hanno incominciato a dire che il privato è politico intendevano provocare un terremoto di vasta portata che lesionasse non solo le case private (dunque relazioni familiari), ma anche le strade, le fabbriche e gli uffici, i palazzi delle istituzioni e del potere. Il femminismo in questi 40 anni, ha continuato, nelle sue varie realtà, a portare avanti quel ribaltamento. Nel Gruppo lavoro abbiamo espresso quel ribaltamento con l’espressione Primum vivere che significa in primo luogo ripartire dai soggetti, dai loro bisogni e desideri. Metterli al centro. E questo vale per tutti, donne e uomini. La libertà delle donne e la rottura della divisione sessuale del lavoro cambiano priorità e paradigmi in tutti i campi: lavoro economia politica.

Dunque la domanda che mi faccio e giro alle presenti e ai presenti – ribaltando il titolo di questo incontro – è: quanto i cambiamenti che stanno avvenendo nella vita di ogni giorno, nelle relazioni donna/uomo, nell’uso del tempo, nell’immaginario, cambiano il nostro modo di agire politica? Quanto siamo disposti/e – a partire dalle nostre personali esperienze, liberandole dalla gabbia del privato e del costume – a mettere in discussione il discorso politico sul lavoro, le pratiche sindacali, le parole che usiamo?

Perché quei cambiamenti importanti con cui donne e uomini cercano di migliorare ogni giorno la qualità della loro vita si traducono così poco in un bisogno – un tempo si sarebbe detto collettivo – di connettersi ad altri, di contaminare, di cambiare le regole del gioco, di aprire conflitti e di nominarli? Insomma di fare politica?

Questa è la domanda secondo me. Altrimenti non cambia l’essenziale, quello che alcune di noi chiamano con una parola un po’ ostica il simbolico. Chiamiamolo il senso, l’interpretazione, il valore che si dà alle azioni, ai comportamenti.

Non cambia perché la realtà è potente e dà ai nostri gesti il suo senso: i sensi oggi dominanti sono il mito dell’autosufficienza dell’individuo e il soddisfacimento (che è poi consumo) dei desideri (non il desiderio come spinta verso ciò che è altro da sé). Proprio perché la realtà è potente, non basta registrare il cambio di comportamenti per cambiare la realtà e il suo senso. Certo: tra i sessi, grazie alla maggiore libertà e autonomia delle donne, c’è più collaborazione, condivisione, riconoscimento. Sicuramente nel privato. Ma non basta, se non trasforma il pensiero e la pratica politica. Sul lavoro, nell’economia, è necessario aprire un conflitto tra i sessi. Che non vuol dire ovviamente farsi la guerra: vuol dire far emergere la differenza dei soggetti sessuati, altrimenti non c’è politica.

E poi c’è un altro aspetto che vedo delinearsi.

Il maschio in crisi emerge come dato sociale nelle statistiche dei suicidi, dell’alcolismo, della criminalità, dell’abbandono scolastico. Descritti come disadattati in stato adolescenziale permanente, bambocci egocentrici instabili lagnosi, alle prese con i sempre vivi stereotipi del macho forte coraggioso e audace che ormai gli pesano addosso come macigni.

E allora che si fa? Ci si fa prendere per mano da coetanee forti che sanno reggere meglio lo stato di stress permanente, che si fanno venire le idee chiare anche se la situazione è confusa. Vedo insomma rispuntare la fatina operosa in versione agile e multitasking, flessibile e competente.

Il problema sono gli uomini, in crisi forse, ma ben aggrappati ai loro stereotipi (che nel corso dei secoli gli hanno dato tante soddisfazioni).

È un dato confermato dalle ricerche europee. Per anni la parola magica è stata conciliazione. Questo doveva essere questo l’anno europeo della conciliazione, ma è saltato con la scusa delle elezioni.

Conciliazione. Parola verso la quale sono estremamente critica perché rimanda a questo concetto: come far lavorare di più le donne nel mercato senza che vada a catafascio quel fondamentale lavoro del vivere (la manutenzione dell’esistenza) fornito per lo più dalle donne stesse, che garantisce la vita di tutti e che impegna complessivamente un numero di ore lavorate superiore a quelle che producono il Pil.

Bilancio delle politiche di conciliazione: una ricerca recente della commissione europea sull’europa 27 + Norvegia e Svizzera dice che le donne hanno aumentato il loro inserimento in ambiti professionali male dominated, mentre gli uomini non hanno di fatto compiuto il processo inverso. Sono, infatti, pochi quelli occupati nei settori dell’assistenza sociale, dell’infanzia, dell’insegnamento, della cura e assistenza agli anziani. Anche se il divario tra donne e uomini nella cura dei figli e degli anziani e nei lavori domestici si è ridotto nel corso degli ultimi 50 anni, resta prevalentemente una responsabilità delle donne. Nella media dei Paesi dell’UE27, oltre a Norvegia e Svizzera, le ore settimanali di lavoro domestico non retribuito nella classe di età 25-39 anni corrispondono a 9,2 per gli uomini e 31,8 per le donne, mentre nella classe successiva (40-54 anni) i valori scendono, rispettivamente, a 8,6 e 26,9 (Eurostat, 2009) e confermano il divario. Inoltre, a fronte in Europa di un maggior numero di ore retribuite per gli uomini, le donne lavorano un numero complessivo di ore superiore se si include il lavoro domestico.

Ci si sta rendendo conto che il problema è più complesso e di non facile soluzione.

Le ricerche concludono che gli stereotipi maschili sono più forti anche delle azioni positive come le norme sui congedi parentali (in Finlandia gli uomini usano il 6% dei congedi parentali, nei Paesi Bassi si usa molto il partime, ma lo usano le donne e non gli uomini). Per abbattere gli stereotipi maschili alcuni Paesi, tra i quali la Norvegia, hanno adottato misure dirette ai giovani. Occorre, in sintesi, concentrarsi sugli uomini, sin dalla più giovane età.

Ci si sta rendendo conto, finalmente, che la conciliazione non funziona perché il problema è più profondo. In effetti in Eu c’è stato uno spostamento dal concetto obsoleto di conciliazione come politica di genere (cioè che riguarda le donne) al concetto di work/life balance, equilibrio vita/lavoro. Noi diciamo primum vivere, ma è già un passo avanti.

Dell’equilibrio vita/lavoro oggi si dice – come se fosse un ulteriore passo avanti – che è un concetto neutro, perché rivolto a tutti e tutte. Non mi meraviglia che si parli di concetto neutro: politicamente il neutro è l’altra faccia del genere. L’idea è di superare le diversità di genere per arrivare alla persona, un concetto che dovrebbe riassorbire in sé uomini e donne. In sostanza stiamo passando da un maschile spacciato per secoli come universale, a un’idea neutra di persona, il vortice anonimo e incorporeo dell’individuo assoluto.

La crisi ormai evidente delle politiche di genere apre la porta a questo nuovo neutralismo che mette in ombra quello che dicevo prima: la debolezza e la permanenza degli stereotipi maschili, una delega strisciante alle donne. Delega che mi pare di vedere anche negli uomini più consapevoli quando si tratta di assumersi la responsabilità del conflitto politico.

Vedo con timore un universo spaccato in due: da una parte si tengono strette le redini di un potere, di un’organizzazione del lavoro e del mercato, che si lascia ben poco mettere in discussione anche quando apre a nuovi equilibri di genere. Dall’altra si delega alle donne il compito di pensare/sperimentare il nuovo, rigovernare il mondo, moralizzare, dare una ripulita.

Quello che è certo è che quello che chiedono – donne e uomini in carne e ossa– è una migliore qualità della vita.

Per leggere dentro questa richiesta, per cercare risposte è necessario guardare bene, con uno sguardo non neutrale, l’organizzazione del lavoro e del non lavoro, il peso esagerato dell’economia. La differenza tra i sessi fornisce questo sguardo: non si tratta infatti di definire diversamente delle identità sessuali femminili e maschili e neppure di cancellarle. Ma di fare posto ai soggetti consapevolmente sessuati che possono essere le donne e gli uomini di oggi. Sessuati vuol dire disponibili a mettersi in relazione con la irriducibile differenza dell’altro/a.

Non si tratta di condividere e collaborare di più. Si tratta di desiderare la relazione con la diversità dell’altro e dell’altra. Di riconoscerla prima di tutto. Come diceva una donna: si può restare con un uomo che dice di amarti ma non vuole conoscerti? È così anche in politica, in economia, nel lavoro.

È questa la vera rivoluzione delle donne: un nuovo paradigma relazionale coniugato a tutti i livelli del vivere umano, dall’organizzazione del lavoro alle forme della politica e della democrazia.

Certo è un percorso appena agli inizi. Ma la posta in gioco è questa. Niente di meno.

Non illudiamoci di poter far leva sulle donne per rinnovare un po’ se non siamo disposti/e a riconoscere che c’è un conflitto inedito da portare nel lavoro. Altrimenti le donne fanno qualcosa finché è nella loro misura, e poi se ne vanno, cambiano. Le donne di oggi sono coerenti non fedeli!

Alcune donne questo conflitto lo portano. Noi le abbiamo incontrate nell’Agorà del lavoro, una realtà nata tre anni fa per volontà del Gruppo lavoro della libreria delle donne insieme ad altri gruppi e singole donne e uomini di Milano che hanno a cuore questi cambiamenti nel lavoro. Incontri aperti, una volta al mese, per parlare di come cambia il lavoro delle donne e degli uomini tenendo come timone il fatto che l’irruzione in massa delle donne nel lavoro per il mercato cambia il lavoro per tutti.

In questi incontri, ad esempio, è accaduto di recente che abbiamo avuto come ospite Ina Praetorius. Ina – una vera rompiscatole postpatriarcale – è una pensatrice femminista, autrice di vari libri, articoli. È nata in Germania e vive in Svizzera. È dottora in teologia, madre di una figlia. Ina ha lavorato a partire dal pensiero italiano della differenza: propone di ripensare l’intera economia a partire dal fatto che il fondamento della condizione umana non è il maschio adulto indipendente, ma è il nascere totalmente bisognosi di tutto.

“Se cominciamo a ripensare l’economia a partire da questo fondamento – difficilmente contestabile – della conditio humana, allora molte cose cambiano. Perché oggi, nel tempo del fine patriarcato, viviamo ancora con un ordine simbolico che mette al centro il maschio adulto oppure uno pseudo-neutro da lui derivato: il soggetto economico “libero”, colui che partecipa al mercato, il cittadino ecc. Nella stessa logica l’economia viene sì definita come azione collettiva, basata sulla divisione del lavoro per soddisfare i bisogni umani, ma di fatto si comincia a parlare di economia a partire dai soldi, dal mercato, dallo stato e dall’età adulta, tacendo così almeno la metà delle misure atte a soddisfare i bisogni: infatti il lavoro di cura indispensabile, finora in larga misura gratuito, è il settore maggiore dell’economia, come è stato dimostrato.

Anche se una grande parte della società continua a rifiutarsi di guardare tutta l’economia, è giusto dire che solo chi ha una visione d’insieme – che comprende cura di base, lavoro volontario, mercato e forse altro ancora – e solo chi vede il nostro agire economico inserito nel cosmo vulnerabile che continua ad elargire doni, può affrontare le varie crisi del nostro tempo in modo adeguato e sviluppare soluzioni durevoli.”

Su queste basi teoriche Ina si è impegnata in Svizzera con il comitato che raccoglieva le firme per il reddito di base incondizionato e ha portato il conflitto dentro al comitato stesso proprio perché vuole dare un altro significato a questa battaglia, molto diverso da quello corrente. Un cambio di paradigma a partire da tutta l’economia e dall’idea di libertà nella dipendenza. Una strada che mette in discussione il che cosa si produce e come.

Oppure incontriamo delegate che portano dentro le rigidità delle strutture sindacali discorsi nuovi e che osano dire “il lavoro, la dignità del lavoro non è un fine, ma è un mezzo. Il fine è la qualità della vita”. Dico di +: primum vivere che vuol dire mettere in gioco la soggettività di lavoratori e lavoratrici in carne e ossa. Chi è disposto a farlo? Con tutte le ricadute che una simile impostazione può avere sull’organizzazione del lavoro e sulla contrattazione. Soprattutto quando queste donne non intendono limitarsi a politiche di genere ma si rivolgono alla politica del sindacato tout court.

In conclusione, ritornando a donne uomini e politica: il modello relazionale coniugato a tutti i livelli del vivere umano è la vera rivoluzione delle donne che apre nuove possibilità per donne e uomini. Le donne infatti hanno inventato una pratica politica che non è finalizzata alla presa del potere, ma che è basata sulla presa di coscienza e sulla modificazione delle relazioni incarnate non solo nel privato ma nei sindacati, nell’organizzazione del lavoro, nelle scelte aziendali nei rapporti sociali. Dobbiamo ripartire da lì facendo lievitare in politica questa idea.

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