di Alessandra Muglia
Soltanto donne a portare la bara e nelle prime file al funerale, soltanto donne a seppellirla. Sfidando la tradizione e i moniti dell’imam della cittadina turca di Mersin, le donne questa volta si sono rifiutate di stare dietro agli uomini. Nessuna mano maschile doveva più toccare Aslan Özgecan dopo che la scorsa settimana la sua giovane vita è stata brutalmente stroncata dall’autista del pulmino che la portava a casa dall’università. Aslan, 20 anni, studentessa di psicologia, aveva cercato di resistere all’uomo che voleva violentarla. Si era difesa con uno spray al peperoncino che teneva in borsetta come fanno migliaia di donne nel Paese guidato dai filoislamici dove le violenze di genere sono schizzate: +400% in 13 anni, da quando è al potere il partito islamico Akp di Erdogan, stima il quotidiano Taraf ; +40% di donne uccise nel 2014, per Aysenur Islam, unica ministra.
I dettagli dell’uccisione di Aslan sono raccapriccianti: le mani amputate, le pugnalate, il corpo dato alle fiamme, i suoi resti carbonizzati sulle sponde di un fiume con l’aiuto del padre e di un amico dello stupratore assassino, già arrestato.
Aslan è stata messa a tacere per sempre ma ora migliaia di donne dopo anni di silenzio hanno trovato la voce. La barbara fine della studentessa ha innescato una mobilitazione di massa. L’ondata di proteste e indignazione da Mersin, nel sudest del Paese, si è propagata a decine di città, Istanbul e Ankara comprese. Con decine di migliaia di donne vestite di nero in strada che fino a ieri scandivano slogan come: «Non camminerai più da sola», «Non stiamo piangendo, ci stiamo ribellando», «lo stupro è un crimine contro l’umanità». Si sono vestiti di nero anche studenti e studentesse a scuola e in università, donne e uomini al lavoro con il fiocco nero. La rabbia e lo sdegno sono corsi sui social. Sotto l’hashtag sendeanlat (raccontaci la tua storia) personalità e migliaia di donne comuni hanno condiviso storie personali di abusi.
Anche Erdogan è intervenuto: l’assassino «merita il massimo della pena», «seguirò il caso personalmente» ha twittato. E ieri ha promesso pene più severe. Il caso ricorda quanto accaduto in India dopo il brutale stupro di una studentessa di 23 anni su un bus di Delhi. Qui l’indignazione ha portato a un inasprimento delle pene, non sufficiente però per contrastare il fenomeno anche per la diffusa impunità e la radicata cultura patriarcale, che la Turchia conosce bene. Ancora martedì Erdogan ha dichiarato che «le donne si devono affidare agli uomini» facendo infuriare le attiviste, che già lo criticavano per il suo rifiuto dell’uguaglianza tra i generi.
Ma le turche non sono sole. Nuove proteste sono in programma nel fine settimana, con un raduno di uomini in minigonna a Istanbul. «D’ora in poi le donne non si dividono più tra turche e curde, tra musulmane e non — dice la scrittrice Elif Shafak — ma tra chi difende il silenzio e chi rifiuta di stare zitta».
Aslan è stata messa a tacere per sempre ma ora migliaia di donne dopo anni di silenzio hanno trovato la voce. La barbara fine della studentessa ha innescato una mobilitazione di massa. L’ondata di proteste e indignazione da Mersin, nel sudest del Paese, si è propagata a decine di città, Istanbul e Ankara comprese. Con decine di migliaia di donne vestite di nero in strada che fino a ieri scandivano slogan come: «Non camminerai più da sola», «Non stiamo piangendo, ci stiamo ribellando», «lo stupro è un crimine contro l’umanità». Si sono vestiti di nero anche studenti e studentesse a scuola e in università, donne e uomini al lavoro con il fiocco nero. La rabbia e lo sdegno sono corsi sui social. Sotto l’hashtag sendeanlat (raccontaci la tua storia) personalità e migliaia di donne comuni hanno condiviso storie personali di abusi.
Anche Erdogan è intervenuto: l’assassino «merita il massimo della pena», «seguirò il caso personalmente» ha twittato. E ieri ha promesso pene più severe. Il caso ricorda quanto accaduto in India dopo il brutale stupro di una studentessa di 23 anni su un bus di Delhi. Qui l’indignazione ha portato a un inasprimento delle pene, non sufficiente però per contrastare il fenomeno anche per la diffusa impunità e la radicata cultura patriarcale, che la Turchia conosce bene. Ancora martedì Erdogan ha dichiarato che «le donne si devono affidare agli uomini» facendo infuriare le attiviste, che già lo criticavano per il suo rifiuto dell’uguaglianza tra i generi.
Ma le turche non sono sole. Nuove proteste sono in programma nel fine settimana, con un raduno di uomini in minigonna a Istanbul. «D’ora in poi le donne non si dividono più tra turche e curde, tra musulmane e non — dice la scrittrice Elif Shafak — ma tra chi difende il silenzio e chi rifiuta di stare zitta».
(Corriere della Sera, 19 febbraio 2015)