di Franca Fortunato
Il virus del femminismo è inarrestabile, l’epidemia colpisce le donne in tutto il mondo, da oriente a occidente, dal nord al sud, e non senza conseguenze. È di qualche giorno fa la notizia che l’epidemia è arrivata anche nel deserto indiano di Thar e ha colpito bambine, ragazze e giovani madri di alcuni villaggi. A darne notizia è Adriano Sofri su Repubblica del 21 febbraio scorso. Prima di vedere di cosa si tratti, devo dire che l’immagine del femminismo come virus non è mia, ma di Luisa Muraro che l’ha utilizzata nella sua prima lezione di un ciclo di incontri, alla Libreria delle donne di Milano, su “Femminismo tremendamente vivo”. Torniamo alla notizia di Sofri.
Alcuni villaggi indiani, tra cui Benisar e Suanajar, si sono dichiarati «Liberati dal matrimonio infantile», sotto la spinta delle bambine, ragazze e giovani madri, di cui gli anziani sono orgogliosi. A Benisar le donne hanno dedicato feste all’orgoglio di essere femmine e una di loro siede nel Consiglio degli anziani. Partecipano alle assemblee del villaggio, “tengono banco” e gli uomini interloquiscono con loro. Sofri racconta di un’assemblea di sole donne in cui le bambine discutono del loro destino. La cosa più importante per loro è poter continuare la scuola secondaria, godendo del consenso delle madri. Ragazze con idee chiare sui ragazzi che «per sembrare sicuri stanno semplicemente insieme e si sentono liberi quando loro non sono libere. La vera libertà è un’altra». Di fronte all’accusa che sono le madri «che oltre a essere indotte, o costrette a privilegiare i figli maschi, fin dalle razioni di cibo, forse amano meno le loro figlie?», le donne insorgono e una di loro grida: «Io amo perdutamente le mie due figlie».
Il patriarcato è finito nel momento in cui le donne, le bambine, hanno dato inizio a un’altra storia – come in India – trasformando l’essere nate donne in un valore e l’autorità maschile come dominio in autorità femminile come forza simbolica. La libertà delle donne, se riconosciuta e accettata, come in quei villaggi, rende liberi anche gli uomini. Ma non tutti ne sono consapevoli. Ci sono libri che riflettono sulle macerie del patriarcato e scrittori che rimpiangono il «mondo di una volta, morto e sepolto». Uno di questi è Eric Zemmour, che nel suo libro Sii sottomesso – La virilità perduta che ci consegna all’Islam, si abbandona alla nostalgia del “bel tempo che fu”, facendo un’analisi della società francese, europea e occidentale, a dir poco allucinante, confusa, di una misoginia disperata e disperante, preso com’è dalla paura e dall’angoscia che le procura la libertà femminile. Si sa, la paura ha il potere di offuscare il pensiero e rendere paranoico anche l’uomo ritenuto, a torto o a ragione, “intelligente”. Zemmour è un giornalista, firma storica di uno dei quotidiani francesi più famosi, Le Figaro, è conduttore televisivo e radiofonico. La sua tesi di fondo, che ripete in modo ossessivo per tutto il libro, è che l’uomo occidentale ha deposto lo «scettro del patriarcato» per «svilirizzarsi» e «femminilizzarsi». Il suo è un vero e proprio elogio allucinante della virilità, della forza, della violenza, della guerra, del dominio, della morte, veri «valori virili» del patriarcato. «Come si stava bene dentro il patriarcato», esclama. Ma se l’uomo europeo ha deposto lo scettro per consegnarsi al «disordine femminile», altri uomini resistono, tra questi Zemmour ci mette George Bush che non ha mai abbandonato i suoi stivali e il suo cappello da texano, i neoconservatori, i figli degli immigrati che nella rivolta delle banlieue in Francia, con le loro violenze, «hanno vendicato» la virilità perduta dei loro padri, e i poliziotti, gli odiati sbirri, «gli unici che ancora sanno affrontarli in un combattimento da uomini. Uno scontro in cui è in gioco il predominio virile». Al di fuori del mondo occidentale, «veri uomini» sono «musulmani, buddisti o indù» che «difendono gelosamente la loro egemonia come un tesoro e rifiutano di allineare lo “status” delle loro donne a quelle europee»; sono quegli ebrei che «vogliono eliminare definitivamente l’ebreo effeminato dell’esilio», distruggendo il popolo palestinese. E mi fermo qui. In altri tempi, leggendo le farneticazioni di un Zemmour, mi sarei arrabbiata tantissimo, indignata, ma adesso, semplicemente mi faccio una bella risata.
(Il Quotidiano del Sud, 24 febbraio 2015)