Les jupes longues des musulmanes, nouvelle fracture à l’école
di Cécile Chambraud e Séverin Graveleau
Tensioni a scuola sulle gonne lunghe
A Sarah, 15 anni, è stato vietato due volte l’ingresso alla sua scuola di Charleville-Mezières.
La notizia, uscita sul quotidiano L’Ardennais martedì 28 aprile, ha rapidamente infiammato i social network. Sarah, 15 anni, allieva del quarto anno della scuola secondaria inferiore Léo-Lagrange di Charleville-Mezières, nelle Ardenne, s’è vista rifiutare due volte l’accesso al suo istituto perché la gonna che portava era… troppo lunga. D’una lunghezza che, agli occhi della preside Maryse Dubois, ne faceva un’«ostentazione di appartenenza religiosa», come ha scritto il 24 aprile ai genitori della giovane musulmana.
Il 16 aprile, poi di nuovo il 24 aprile, Sarah ha dunque dovuto riprendere il pullman e il treno per tornare a casa sua, a 25 chilometri di distanza. Non era la prima volta che la ragazza, che si toglie il velo quando entra in classe, veniva “avvertita” che la sua tenuta poneva un problema, riconosce la sua famiglia, e non è neppure l’unica a indossare una gonna lunga «quando è bel tempo». Altrimenti, porta i pantaloni, come farà quando tornerà a scuola. «Ma è ingiusto, non è una ragione valida per vietarmi di entrare», deplora Sarah.
La preside martedì non era raggiungibile. L’ufficio scolastico regionale da parte sua informa che il 16 aprile «diverse ragazze», tra cui Sarah, si sarebbero presentate a scuola in gonna lunga, in risposta a un recente incidente collegato al divieto di portare il velo dentro l’istituto. Sarebbe stata questa «provocazione voluta» a motivare la decisione di tutta l’équipe educativa, «ispettori e provveditorato compresi», di vietar loro l’entrata in classe (e non nell’edificio scolastico nel suo insieme) sulla base della legge 15 marzo 2004 sui «simboli e l’abbigliamento che manifestano un’appartenenza religiosa» nella scuola pubblica.
Il provveditorato agli studi di Reims precisa che nessuna regola vieta «in linea di principio» di portare gonne lunghe ma che il contesto spiega questa particolare decisione. In seguito a questo incidente, è stata realizzata in ogni classe un’iniziativa di sensibilizzazione alla laicità, con un «richiamo alla carta della laicità» e una «spiegazione su ciò che è ostentato e ciò che non lo è». Non è stata prevista nessuna misura di espulsione dalla scuola, comunica inoltre il provveditorato.
Se questo episodio ha immediatamente fatto la fortuna dell’hashtag #JePorteMaJupeCommeJeVeux (“porto la gonna come voglio io”, NdT) su Twitter, è perché, al di là del caso di Sarah, in numerose scuole superiori si verificano episodi simili. Per la maggior parte non vengono resi pubblici perché i professori preferiscono cercare di superarli con il dialogo anziché imporre alle allieve interessate delle sanzioni che ostacolerebbero la frequenza scolastica.
«La legge è chiara»
Nel 2014, il Collectif contre l’islamophobie en France (CCIF, “Collettivo contro l’islamofobia in Francia”) è stato coinvolto in più di un centinaio di casi di allieve delle medie e delle superiori a cui l’istituto scolastico rimproverava un abbigliamento contrario alla legge del 2004. La maggior parte di questi casi riguardava la lunghezza delle gonne.
Questa tensione bassa ma costante è uno dei sintomi dell’inquietudine che si è creata intorno alla nozione di laicità e a quella di visibilità dell’islam. La legge del 2004, che vieta di portare nelle scuole, medie e superiori, «simboli o abbigliamenti attraverso i quali gli allievi manifestino ostentatamente un’appartenenza religiosa», aveva come bersaglio principale il velo e aspirava a dare un taglio a questo tipo di conflitti fissando una linea netta che permettesse di sapere cosa era vietato.
In tutta evidenza, la legge non ha sciolto tutte le tensioni. «La difficoltà di questi casi» assicura Elsa Ray, portavoce del CCIF, «non dipende da dubbi giuridici. La legge è chiara. Ci si scontra invece con le posizioni ideologiche di certi membri della comunità educativa. E in tal caso diventa molto complicato agire e argomentare».
Una gonna lunga è un segno “ostentato” di fede musulmana? In una circolare del 18 maggio 2004, l’allora ministro della pubblica istruzione François Fillon aveva precisato il senso della legge: «I simboli e gli abbigliamenti vietati sono quelli che conducono a far riconoscere immediatamente l’appartenenza religiosa di chi li porta, come il velo islamico, comunque lo si voglia chiamare, la kippa, o una croce di dimensioni eccessivamente vistose. […] La legge […] non vieta gli accessori e le tenute che possono essere portati da tutti gli studenti indipendentemente dal significato religioso.»
Relatore generale dell’Osservatorio sulla laicità presso la presidenza del consiglio dei ministri, Nicolas Cadène ricorda che la legge del 2004 «non sanziona ciò che può essere indossato senza alcun significato religioso», come per esempio una gonna lunga. «Nel dubbio», precisa, «bisogna basarsi sul comportamento dell’allievo/a. Se per esempio l’allievo/a rifiuta di usare indumenti adatti per la ginnastica, il problema c’è. Ma se il suo comportamento non avversa le regole educative, non c’è motivo di sanzionare». Il ministero della pubblica istruzione comunicava martedì che «il mancato rispetto» della legge che vieta l’ostentazione dei simboli religiosi si evince «dalla combinazione tra abbigliamento e atteggiamento».
(traduzione di Silvia Baratella)
(Le Monde, 30 aprile 2015)