di Franca Fortunato
Signor sindaco,
sono una cittadina che ha a cuore la convivenza civile in questa che è la mia città di adozione e pertanto sto molto attenta agli atteggiamenti e ai comportamenti delle cittadine e cittadini che rendono più o meno civile il vivere in comunità. A rendere civile una città, e perciò bella ed accogliente – come ogni luogo, a partire dalle nostre case e dai rapporti di vicinato – sono la qualità delle relazioni, di cui più donne che uomini abbiamo sapienza e intelligenza e di cui tante quotidianamente diamo testimonianza. Ma ci sono anche, più uomini che donne, che fanno di tutto per fare prevalere i sentimenti negativi, che sono anch’essi umani e pertanto vanno capiti, interrogati e non fomentati e strumentalizzati. Mi riferisco a quanto accaduto in questi giorni alla notizia che la Prefettura aveva affidato alla cooperativa “Mappamondo” di Lamezia Terme il servizio di accoglienza ed assistenza di circa cento immigrati. Maschi pseudorazzisti non hanno esitato ad agitare fantasmi e seminare allarme e paura, prima tra la popolazione del quartiere Cavita e poi di via Fratelli Plutino.
Signor sindaco, le scrivo per sollecitarla a non lasciare sola la cittadinanza, ma ad aiutarla a fare i conti anche con i propri sentimenti negativi, dietro cui il più delle volte c’è paura della povertà più che dei poveri, c’è frustrazione, angoscia e rabbia per non essere ascoltati, mentre la crisi morde la carne di molti, anche in questa città. Dobbiamo avere la consapevolezza che ci troviamo di fronte a problemi epocali di cui l’Europa e il mondo globalizzato sono i responsabili e per i quali, al momento, sembra non esserci soluzione, anche se ci sarebbe. Basterebbe volerlo. Questo vuol dire che sempre più disperati continueranno ad arrivare sulle nostre coste e dentro le nostre città.
Signor sindaco, dialoghi con le cittadine e i cittadini sulla necessità di accettare il programma della Prefettura, li renda protagonisti e ascolti il grido di aiuto che sale dalle periferie, dove tanti sono i bisogni ignorati e il degrado materiale, se strumentalizzato, può trasformarsi in degrado spirituale. Spieghi loro che il Centro di identificazione ed espulsione (Cie) – per quanto mi riguarda andrebbero chiusi tutti in quanto luoghi di detenzione per chi non ha commesso alcun reato – che eventualmente sorgerà a Catanzaro non è un Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e come tale da quel Centro non sarà permesso a nessuno di uscire e andare in giro per la città. Non ci sarà nessuna “invasione”. E se anche fosse?
Signor sindaco, vada incontro alla città, non con comunicati stampa ma in presenza, con assemblee di quartiere. Coinvolga tutti, perché senza il protagonismo delle cittadine e dei cittadini non è possibile alcuna convivenza civile. Dia ad ognuna e ognuno la possibilità di esternare pubblicamente i propri sentimenti, anche quelli negativi, di parlare dei propri bisogni e trovare insieme soluzioni possibili. Lo faccia, e vedrà che tante donne e uomini, anche nella crisi economica che stiamo attraversando, di cui le immigrazioni di massa sono un effetto e non la causa, contribuiranno a rendere questa città più civile ed ospitale. D’altronde ci sono già buone pratiche di accoglienza e convivenza. Colgo l’occasione per sollecitarla anche a cancellare quella brutta ordinanza sull’accattonaggio, perché non aiuta ad accettare e a saper sostenere, senza sensi di colpa, la vista dei poveri. Vede, nelle nostre città, da lungo tempo si è andata perdendo la sapienza del saper fare l’elemosina con dignità e senza offendere la dignità. Da bambina, io come lei sicuramente, sapevo farlo perché mia madre me l’ha insegnato, come credo abbia fatto la sua. Reimparare il gesto di fare l’elemosina con dignità e senza offendere la dignità, aiuta a non farci sommergere dai sensi di colpa, a renderci tranquilli dentro per quello che possiamo fare per l’altro, il diverso, il povero. È di questo che ha bisogno una comunità, di buone pratiche, anche minime, che contribuiscano a dare a questa città un’anima. Che facciano comprendere che non sono i poveri che dobbiamo combattere ma la povertà, perché è questa che ci fa veramente paura.