29 Settembre 2015
il manifesto

Una grammatica del vivere comune

Incontri. L’«Umanità dissestata» secondo la comunità filosofica di Diotima, dal 2 ottobre a Verona e per ogni venerdì fino al 6 novembre

di Alessandra Pigliaru


«Uma­nità dis­se­stata» è il tema che la comu­nità filo­so­fica di Dio­tima ha scelto per il suo Grande Semi­na­rio di quest’anno. Anche il sot­to­ti­tolo risponde a una que­stione impor­tante: «La scom­messa fem­mi­ni­sta oggi». Levar di sesto, squi­li­brare, tur­bare ma anche creare insta­bi­lità; l’etimologia della parola «dis­se­stare» è piut­to­sto chiara e in quel «levare» com­pare qual­cosa che inter­viene a con­fon­dere ciò di cui fino a quel momento si erano potute leg­gere e codi­fi­care — con una gram­ma­tica pre­cisa — con­di­zioni, rap­pre­sen­ta­zioni e senso.

Il semi­na­rio avrà ini­zio all’Università di Verona venerdì 2 otto­bre dalle ore 17,20 fino alle 19,20. Apri­ranno il ciclo di incon­tri Lucia Ber­tell e Chiara Zam­boni. Nei suc­ces­sivi venerdì, fino al 6 di novem­bre, si potranno ascol­tare gli inter­venti di Fede­rica Giar­dini, Anna­rosa But­ta­relli, Ales­san­dra Alle­grini e Luisa Muraro, Maria­li­via Alga e Sara Bigardi, Anto­nietta Potente (il pro­gramma com­pleto su www​.dio​ti​ma​fi​lo​sofe​.it). Molte le parole e le que­stioni che ver­ranno sol­le­vate: ordine sim­bo­lico e ordine sociale, imma­nenza e tra­scen­denza, radi­ca­lità, tec­no­scienze, ecce­denza e con­trad­di­zioni.
Ancora una volta la comu­nità vero­nese, nata nel 1983, offre l’ottima pra­tica semi­na­riale come occa­sione di scam­bio, con­ta­mi­na­zione e inter­ro­ga­zione sul presente.

Scon­quassi dell’esistente
Par­tendo dal titolo scelto, una serie di nodi si fanno avanti ed è pro­prio intorno a essi che Dio­tima lan­cia la sfida di que­sto nuovo incon­tro. L’intenzione, sarà bene pre­ci­sarlo, non è l’urgenza di rista­bi­lire un ordine costi­tuito, né attrez­zarsi di un sesto cioè un com­passo attra­verso cui trac­ciare roton­dità esatte alle quali atte­nersi: «L’armonia sta­tica è una rap­pre­sen­ta­zione mor­ti­fera della realtà e chi la per­se­gue lo ha sem­pre fatto tagliando via ciò che è eccen­trico, vitale, non accetto».
Uma­nità dis­se­stata è invece l’istantanea di ciò che è già acca­duto e che chiun­que ha dinanzi quo­ti­dia­na­mente, una realtà rag­go­mi­to­lata su se stessa, sbrin­del­lata e troppo pesante da soste­nere e deci­frare sovrap­po­nendo un po’ a caso un piano all’altro. Il dis­se­sto ha però più di un’accezione. Intanto è l’esito sociale, eco­no­mico e poli­tico di ciò che da un lato ci viene offerto dalla reto­rica neo­li­be­ri­sta che sug­ge­ri­sce libertà lisce e pro­met­tenti pro­getti, una pac­cot­ti­glia di signi­fi­cati mani­po­lati in cui tutti hanno ragione a patto che niente intorno cambi di una vir­gola.
Per un altro verso è sul dis­se­sto che l’insorgenza del fem­mi­ni­smo ha pun­tato la pro­pria rivo­lu­zione sim­bo­lica. «Il fem­mi­ni­smo non ha mai teso ad una dif­fe­renza ses­suale armo­niz­zante in cui si desi­deri fare Uno. Anzi, ha saputo gio­care nello scarto tra l’uno e il due, nello scarto tra ricerca di sé e aper­tura all’altro, facendo leva sulle asim­me­trie sim­bo­li­che, non paci­fi­canti, sul dis­se­sto, sullo scon­quasso come per­tu­gio per cui può avve­nire altro. È così che ha saputo trac­ciare nuove vie».

Una scom­messa aperta
Nel docu­mento di pre­sen­ta­zione del semi­na­rio si apprende tut­ta­via anche dell’altro: «Spe­ri­men­tiamo un pieno di idee e di ini­zia­tive e di inter­pre­ta­zioni della realtà che più che aiu­tare oggi ci con­fon­dono». Ciò che ci viene sot­tratta è infatti «la pos­si­bi­lità di con­trat­tare le linee gene­rali dei movi­menti di realtà più ampi. Così pos­siamo dire che viviamo troppo di tutto, ma che è il senso della vita a scar­seg­giare».
Vita e uma­nità non devono appa­rire sino­nimi ed è a que­sta altezza che emerge la prima spina. Per­ché richia­mare l’umanità da parte del fem­mi­ni­smo non deter­mina certo avva­lersi di un para­digma antro­po­cen­trico già ampia­mente scro­stato ma stare esat­ta­mente sull’orlo del suo dis­se­sto. Avere la forza, il corag­gio di nomi­nare il bara­tro e la vio­lenza etica che vi si annida e stare in pros­si­mità dei viventi.

Se a creare scom­penso sono anche gli effetti ormai tri­tu­rati della glo­ba­liz­za­zione, così come l’inadeguatezza di finis­sime ana­lisi che, tut­ta­via, lasciano dram­ma­ti­ca­mente inal­te­rate le vite di cia­scuna e cia­scuno signi­fica che la scom­messa deve alzare il tiro, mutare se pos­si­bile la pro­pria gram­ma­tica. Che di que­sto dis­se­sto allora ci si fac­cia carico, con gene­ro­sità verso i viventi e la mate­ria­lità delle vite. Che di que­sta com­ples­sità si par­te­cipi non come sog­get­ti­vità eti­che chia­mate a sal­vare le sorti del mondo ma nel taglio poli­tico della realtà che il fem­mi­ni­smo ha den­tro la sua stessa nascita e in ciò che in que­sti ultimi quarant’anni ha pro­dotto in ter­mini di pen­siero e pra­ti­che poli­ti­che. «Vor­rei vedere se l’umanità viene alla luce nei momenti di emer­genza. So che ne ho biso­gno per me. Vor­rei scan­da­gliare i bassi fondi dell’umanità».

Era il 17 mag­gio del 1974 quando Carla Lonzi, dalle pagine del suo dia­rio, se lo doman­dava. Rico­no­scendo il biso­gno, prima del desi­de­rio, di immer­gersi nell’umanità, «nel suo momento di pre­senza a se stessa, per esem­pio quando sof­fre o ha un destino avverso o comun­que non è ada­giata nel son­nam­bu­li­smo quo­ti­diano». Forse per­ché si deve aver toc­cato il dis­se­sto per poter discu­tere di chi lo abita.
Allora verrà alla luce o no, quello che imma­gi­nava Lonzi come un luogo lon­tano dalla disu­ma­nità? E al con­tempo si potrà tro­vare rin­no­vata forza per signi­fi­care que­sto disa­stro umano del pre­sente? Si potranno tro­vare parole che ribal­tino l’assedio del disa­more dif­fuso? A que­sto riguardo, sarà inte­res­sante andare ad ascol­tare ciò che Dio­tima pensa di met­tere in cir­colo intorno alla scom­messa fem­mi­ni­sta oggi.


(il manifesto, 29/9/2015)

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