di Clara Jourdan
Introduzione all’incontro con Ida Dominijanni, autrice del libro Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi (Ediesse, Roma 2014). Libreria delle donne, Milano, sabato 3 ottobre 2015 ore 18.
Buonasera. Siamo qui per parlare con Ida Dominijanni della sfida politica del tempo che stiamo vivendo, a partire dal suo libro Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi, che ricostruisce e analizza le vicende che vanno dall’accusa pubblica di Veronica Lario, nel 2009, che denuncia l’uso delle donne da parte dell’ancora per poco suo marito e allora presidente del consiglio e di chi «tutto gli concede» (p. 76), fino all’esito del processo d’appello all’ex presidente del consiglio per prostituzione minorile (caso Ruby) nel 2014, vicende in cui viene svelata l’esistenza non di «un’anomalia italiana», bensì – leggiamo nel libro – di «un caso estremo delle trasformazioni antropologico-politiche che attraversano e minacciano tutte le democrazie occidentali» (p. 33). Da qui il taglio che abbiamo voluto dare all’incontro di stasera: Capitalismo, giù la maschera!
Il libro, uscito nel novembre scorso presso Ediesse, ha subito suscitato voglia di confrontarsi e alcune lettrici si sono riunite in gruppi di lettura a Lecce e a Milano, stasera sono qui Fiorella Cagnoni, venuta da Lecce, e altre che contribuiranno alla discussione. Fiorella ha scritto una bella recensione pronunciata alla XIII edizione della Scuola Estiva della Differenza (Lecce, 7-10 settembre 2015) e pubblicata nel sito della Libreria (Il Trucco: un’esperienza di scrittura e di lettura, www.libreriadelledonne.it, 12 settembre 2015).
Ida Dominijanni, saggista, giornalista, conduttrice radiofonica (tra cui di Prima pagina, Faccia a faccia), docente di teoria femminista in università italiane e estere, è ben conosciuta nel movimento delle donne. Voglio approfittare dell’occasione per ringraziarla non solo di questa sua ultima fatica ma dell’impegno di tanti anni nel pensiero della differenza sessuale, attraverso i suoi scritti pubblicati sulle riviste Reti (che ha contribuito a fondare nel 1988), democrazia e diritto, DWF, Sofia, Noidonne, Via Dogana, in volumi collettanei e in internet, e le introduzioni a La politica del desiderio di Lia Cigarini (Pratiche, 1995) e a Maglia o uncinetto di Luisa Muraro (2° ed., manifestolibri, 1998). La ringrazio in particolare del suo lavoro al manifesto, dove ha scritto per trent’anni (1982-2012): i suoi editoriali sono stati un riferimento unico nella stampa italiana per pensare l’attualità e la politica con il taglio della differenza sessuale e della libertà femminile. Io quando insegnavo usavo spesso in classe i suoi articoli. Leggendo Il trucco mi è tornato in mente un articolo del 1998 sulla vicenda Clinton-Monica Lewinski, intitolato Cercando la privacy perduta (22 settembre 1998): ricordo quanto aveva colpito le studentesse e gli studenti di diritto costituzionale comparato e anche i loro genitori con cui avevano poi parlato a casa.
Il libro di stasera è frutto di questo costante lavoro di attenzione, ricerca di linguaggio, informazione e riflessione sul mondo. Lo si vede nella ricchezza della documentazione, nella vastità delle letture, nella profondità dell’analisi di fatti e parole, e nel dare un senso complessivo nuovo, originale, vero a una realtà che ha toccato tutte e tutti e ha occupato i mass media ma senza adeguata comprensione, e che sembrava essere stata archiviata quando aveva ancora molto da dirci. Così questo libro fa innanzitutto un’operazione storiografica importante, riraccontando al presente e quindi ripensando cose, vicende, fatti, pensiero, che se no si perdono. L’autrice prende in mano una materia prima che lei stessa ha vissuto e anche contribuito a far esistere con i suoi puntuali interventi ma che rischia di essere portata via dal tempo e dalle cose che succedono e la trasforma in storia. Su questo spero che interverranno le amiche della Comunità di storia vivente (sabato scorso abbiamo discusso qui del libro di Marina Santini e Luciana Tavernini Mia madre femminista. Voci da una rivoluzione che continua, il Poligrafo 2015).
Fiorella Cagnoni nella recensione menzionata dice una cosa che vorrei riprendere, dice che nel libro Il trucco c’è «un pensiero capace contemporaneamente di fare ordine e di essere insurrezionale». Insurrezionale, una parola d’altri tempi che trovo efficace per evocare la potenza politica dirompente che può avere un parlare pubblico femminile conflittuale che domanda di essere ripreso da altre. Come il parlare di Veronica Lario (v. p. 76), che nella primavera del 2009 ha fatto fare una svolta decisiva alla vicenda incarnata da suo marito perché la verità che lei ha detto è stata ascoltata e rilanciata da altre donne (Patrizia D’Addario e le femministe), dando avvio al pensare confluito nella scrittura di questo libro, e questo libro a sua volta ci chiama alla politica necessaria in questo momento storico, che ha bisogno di noi, noi femministe intendo. Ci fa capire che c’è, aperto da noi ma che non sappiamo fino a quando resterà aperto, un conflitto simbolico di enorme portata: «una delle poste in gioco è la “rottamazione” del femminismo stesso e del cambiamento che ha innescato nelle donne e negli uomini, nei rapporti sociali, nella concezione della politica» (p. 228).
Perché nelle note vicende si tratta di un «rovesciamento perverso» delle «domande poste dalla congiuntura Sessantotto-femminismo e lasciate senza risposta dalla politica ufficiale» (pp. 33-34) ma piegate ai propri fini dal capitalismo grazie alla sua capacità di rinnovarsi (ivi). Pensiamo all’importanza della libertà, al protagonismo femminile, alla fine della separazione tra sfera pubblica e sfera privata, alla politicità del personale e alla centralità della sessualità… L’uomo di Arcore è in realtà un’invenzione del capitalismo di cui ha assorbito la natura e l’evoluzione. Se rivediamo il suo percorso, da giovane imprenditore a uomo politico a «Lupo di Wall Street» (p. 239), con l’esibizione dell’etica del consumo e del godimento (p. 34), vediamo la storia del capitalismo. Vediamo la concezione della libertà del neoliberalismo, che ha piegato in senso individualistico e consumistico la libertà soggettiva, e vediamo l’impegno a sfruttare per i suoi scopi i desideri femminili di realizzazione, in particolare nel lavoro, piegandoli alla autoimprenditorialità. «Il permanere oggetto e il diventare soggetto si toccano. Si diventa soggetti solo interiorizzando il dispositivo di soggettivazione neoliberale che comanda di autogestirsi e autovalorizzarsi come oggetti di scambio, nel mercato del lavoro come nel mercato del sesso» (p. 229). E nell’epoca della finanziarizzazione del capitale il sesso stesso si trasforma, è «sesso-valuta, ancor più che sesso-merce: […] il corpo e il sesso diventano moneta, equivalente generale per scambiare altro: favori, tangenti, posti di lavoro, o più semplicemente l’ingresso nei circoli che contano» (p. 239). E proprio «nella “verità” del sesso c’è la trasparente verità dell’epoca – continua Ida -, in cui solo il gioco della differenza sessuale sembra introdurre quel margine di opacità necessario all’apertura di una contraddizione o di un conflitto. Pur in un così intenso e affollato scambio di equivalenti, infatti, il gioco fra i due sessi non va mai in pari» (p. 240).
Allora, è qui che si può far leva, sulla differenza sessuale. Sulla differenza come è venuta fuori nel movimento delle donne, dove si è generata un’altra concezione e un’altra pratica della libertà su cui si può puntare per rilanciare il gioco, perché è da quest’altro punto di osservazione che si vede che la biopolitica capitalista del ventennio che continua ancora nei successori, è in realtà truccata. Da qui il titolo del libro: «l’immagine del trucco allude a una fantasia di potenza mossa da un fantasma di impotenza» presente non solo nel personaggio principale della vicenda ma anche nella fascinazione soprattutto maschile e anche negli oppositori al regime, a cui abbiamo assistito. L’ipotesi dell’autrice è che nel consenso a quel personaggio «abbia agito certamente un’identificazione di superficie con il suo stile di vita, la sua ricchezza, il suo successo, la sua ostentazione di una virilità inattaccabile dall’età, ma che in modo più decisivo abbia agito un’identificazione inconscia con il trucco che c’era sotto» (pp. 241-242). Infatti, la caduta della maschera «non è stata accompagnata da euforia liberatoria». Quel personaggio è finito, ma «la sua eredità è viva e vegeta» (p. 245). «Insistere sulla sua anomalia proietta nel futuro gli stessi errori di valutazione del passato: avalla l’illusione, ad esempio, che tolti di mezzo il conflitto d’interessi, le leggi ad personam e gli scandali sessuali, il grosso sia finito» (p. 249).
Di cosa abbiamo bisogno allora? «Dopo vent’anni di colonizzazione dell’immaginario, serve un’altra immaginazione politica» (p. 250), abbiamo bisogno della «generatività della differenza femminile, e forse finalmente di quella maschile» sono le parole con cui chiude questo libro (p. 251). Parole di speranza, a condizione che si tengano ben presenti i due fili che percorrono tutto il libro:
1– «Non si parte da zero. […] un’altra idea e un’altra pratica della soggettività […] ha continuato a giocare le sue carte» in questi anni (p. 250). «La concezione di una libertà relazionale, in atto e in contesto, garantita non dalle regole e dai diritti ma dalla pratica, diffidente del potere (maschile) ma forte dell’autorità e dell’autorizzazione (materna) è la grande risorsa che resta nelle nostre mani per schivare questa doppia offensiva liberaldemocratica e neoliberale» (p. 232).
2– C’è anche conflitto tra donne e nel femminismo. Perché da un lato «il massiccio ingresso delle donne nelle liste elettorali» mostra un «progetto perseguito per decenni sui media e controfirmato oggi da una generazione femminile neoemancipazionista, teso a superare il femminismo storico spuntandolo della sua carica più critica e […] a pareggiare i conti della distribuzione delle risorse e del potere» (p. 226). E dall’altro c’è «la sua speculare trasgressione: un femminismo che non taglia i ponti con la radicalità delle origini, anzi la rivendica, ma piegandola in senso compiutamente neoliberale. È il libertarismo di chi rivendica la piena padronanza del proprio corpo nel mercato dell’immagine» (p. 226). Che mostra «quanto sia fragile il confine che separa la libertà femminile dall’adesione alla norma neoliberale e l’autodeterminazione dall’onnipotenza individualistica, se entrambe, libertà e autodeterminazione, vengono sganciate dalla pratica della relazione, dal senso della differenza, dall’analitica del potere» (p. 227). C’è dunque da confliggere, e la questione è quella della libertà, a cui ci chiama questo libro.
(www.libreriadelledonne.it, 5 ottobre 2015)