Non c’è niente di convenzionale o di scontato in questa storia: non è convenzionale la luminosa Annie Leclerc, autrice del testo; non l’argomento, assolutamente tabù e relegato, generalmente, alle pagine di cronaca nera. Questo testo, non completamente compiuto (è stata l’amica Nancy Huston a ritrovarlo tra le carte lasciate da Annie Leclerc dopo la sua morte), ma così coinvolgente, profondo e allo stesso tempo poetico, è il tentativo appassionato di dare un nome ad un sentimento in cui si mescolano, fino a confondersi, la bellezza, l’amore e la violenza. Con una scrittura capace di una liricità intensa e di affondi inaspettati in ciò che resta di impensabile della vita psichica, Annie Leclerc, che ha conosciuto nell’infanzia la confusione e lo smarrimento prodotti da un’aggressione sessuale, tenta di restituire la parola alla bambina violata, rimasta afona per il tradimento compiuto dall’adulto.
Annie Leclerc (1940-2006)
filosofa e docente di filosofia, è una figura centrale del femminismo francese dopo il Maggio ’68. Laureata alla Sorbona di Parigi nel 1963, si impone all’attenzione del pubblico con il libro Parole de femme, Ed. Grasset (1974). Ma il libro, che le dà la fama, segna anche la rottura del forte sodalizio con Simone de Beauvoir, con la quale aveva collaborato attivamente in occasione del “Manifeste des 343” per il riconoscimento del diritto all’interruzione di gravidanza. Fortemente influenzata dalle ricerche di Michel Foucault, si batte fino agli anni ’90, per i diritti dei carcerati.