Cara Betti,
Non c’è rosa senza spine! E’ il proverbio della felicità interrotta.
Tu, invece, sposti lo sguardo sull’infelicità che sta dietro il più amato dei fiori.
Le rose, che splendono nelle vetrine dei fiorai o spuntano a mazzi in mano ai “migranti”, provengono quasi tutte dall’Africa. Migliaia di donne lavorano per meno di un dollaro al giorno, per dodici ore, sorvegliate da uomini armati. Il bene da difendere è l’acqua convogliata in quei campi. Sposti, allora, lo sguardo sui campi aperti delle rose selvatiche: le spine ti dicono che sono loro a determinare la specie, il colore, il
profumo, i petali. Le differenze pungono. Si sa.
Giorno dopo giorno, per alcuni mesi, le hai ricamate su fogli di carta A4, creando un’altra mappa per l’atlante delle tue Geografie Personali.
Dalla “Quarta Vetrina” della Libreria delle donne di Milano ci guardano silenziose, enigmatiche. Gocce di sangue? Scie minime di colore? Spine dorsali? Immaginarie equazioni di calcolo? Figure gracili. Mutevoli. Lente. Ci occorre tempo per catalogarle, ricamarle. Da un foglio all’altro, in silenzio, ci avvisano che la vita delle rose e la nostra è sempre un “non finito”. Accade qualcosa, la velocità cambia, niente è fermo,
niente è muto. Così, hai strappato dall’indifferenza la geografia globale delle rose e, anche, l’affezionato venditore che spesso passa davanti alla Libreria.
La visione dall’interno cambia. Le spine diventano lo sfondo “astratto” sul quale si staglia la tua sfida al punto di sutura che libera la forma e apre la porta dell’immaginazione. Una foglia d’edera, intagliata col bisturi lungo le nervature, sta accanto a una pianta della metropolitana di Tokio, infilzata da migliaia di spilli lungo le linee dei treni. La foglia è trasparente, mentre la metropolitana è densa, metallica, aggrovigliata: sembra un microchip di computer.
L’azione di una formica lungo le nervature di una foglia e il movimento anonimo dentro una megalopoli hanno complessità analoghe. Nella scala dell’universo ogni oggetto, ogni soggetto si muove dentro griglie e mappature, dove i gesti ripetuti determinano direzioni e scelte spontanee. Se il gesto e lo sguardo s’incrociano, appare un evento.
E’ questo che avviene quando ricami? Intagli le foglie? Disponi uno spillo dietro l’altro? E’ così che le tue opere s’inseriscono nella “geografia personale” di chi incrocia lo sguardo con loro? Credo di sì.
Francesca Pasini