Arturo Di Corinto
Girandola di colpi di scena a Bruxelles attorno all’approvazione della proposta di direttiva sulla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici. Se per tutta la giornata di ieri era data per scontata la sua approvazione, l’opposizione della Polonia ha fatto rinviare la decisione al prossimo anno. L’iter della direttiva è stato comunque accidentato e la proposta di discuterla all’interno di un organismo – il «consiglio dei ministri dell’agricoltura – è stato considerato un colpo di mano tentato dai lobbysti delle grandi multinazionali del software a Bruxelles per far accettare che le idee, gli algoritmi e l’inventiva relativa ai programmi informatici possano essere monopolizzati da una manciata di imprese. D’altronde, attorno a questa direttiva si sta combattendo una battaglia considerata da tutti – associazioni per il «software libero, ma anche dagli stessi supporter della direttiva – epocale e sono in molti che ritengono che il suo esito non può essere delegato alle burocrazie europee, che hanno finora trattato il problema con estrema superficialità, non ultimo la richiesta di inserire la direttiva nell’ordine del giorno del «Consiglio dei ministri dell’Agricoltura», un organismo che con il software ha ben poco a che fare. Una mossa che è risultata vieppiùù provocatoria, visto che la riunione è avvenuta a ridosso della pausa natalizia e nonostante l’opposizione esplicita, le perplessità e le raccomandazioni di molti parlamenti nazionali e ministri dell’Unione europea a non estendere l’istituto dei brevetti alle idee. Ma le critiche più dure hanno riguardato il fatto che la direttiva è stata inserita come una direttiva A-item , cioè come una voce «su cui c’è già accordo fra i paesi membri» – cosa che non è, come dimostra il voto negativo del parlamento europeo su una sua prima versione – per la sua adozione.
La decisione di inserire la direttiva nella riunione del «Consiglio dei ministri dell’agricoltura» è stata presa dal presidente, olandese, di turno con l’obiettivo di considerare il software alla stessa stregua di un’invenzione, in modo tale che qualsiasi programma informatico che svolge quella funzione cadrebbe sotto la mannaia del brevetto depositato. La conseguenza a medio termine sarebbe la costituzione di monopoli sulle idee da parte di poche imprese.
Per capire l’entità del problema si consideri che il negozio di libri online Amazon.com ha richiesto un brevetto in Europa per difendere la sua «tecnologia singolo click» che permette acquisti con un singolo colpo di mouse, appunto, per gli utenti registrati. Oppure il brevetto per la «barra di avanzamento», normalmente usata per visualizzare i tempi delle procedure di installazione di un software o dell’attesa della memorizzazione di un file scaricato da Internet. O ancora la brevettabilità del corpo umano come trasduttore elettrico da parte di Microsoft per garantirsi il mercato dei futuri wearable computer, i computer indossabili per fruire musica e video wireless.
Se la proposta di direttiva dell’Unione europea fosse stata approvata, chiunque volesse impiegare simili «procedure» dovrebbe dunque pagare delle royalties al detentore del brevetto.
Dopo che a settembre il parlamento europeo aveva votato chiaramente contro la brevettabilità degli algoritmi, la presidenza ha proposto una versione della direttiva che annullava tutte le modifiche apportate durante la discussione parlamentare. Anche se alcuni paesi non l’hanno approvata, questa versione ha ottenuto la maggioranza necessaria nel «consiglio dei ministri» determinando la strenua opposizione delle associazioni per il software libero e i diritti digitali. Inoltre, lo scorso maggio il ministro italiano per l’innovazione Lucio Stanca ha ricordato ai suoi colleghi europei il principio di non brevettabilità del software in quanto tale. Per Stanca, l’adozione di un regime brevettuale favorirebbe la creazione di monopoli che impedirebbero lo sviluppo e la diffusione di soluzioni basate su software libero, penalizzando le piccole e medie imprese.
A dispetto degli obiettivi della Commissione europea – accelerare il «Processo di Lisbona» per fare dell’Europa «l’economia dell’informazione più competitiva al mondo entro il 2010» – la direttiva sulla brevettabilità del software potrebbe infatti scoraggiare gli investimenti per l’innovazione tecnologica e organizzativa delle imprese europee, visto che sono già stati concessi 30.000 brevetti (a Ibm e Microsoft fra i primi) da un «Ufficio europeo dei brevetti» di cui si chiede da anni una riforma. Secondo la società di consulenza Pricewaterhouse Coopers «un regime blando […] nel passato ha condotto ad una industria del sofware innovativa e competitiva con basse barriere all’entrata. I brevetti software, che servono a proteggere le invenzioni di natura non tecnica, potrebbero abbattere l’alto tasso di innovazione» e beneficiare solo alcune aziende. Per i sostenitori della direttiva, le imprese europee non sono fra queste.