Johhn Irwing
“L’incubo è iniziato il 6 agosto 1998, una data che non dimenticherò mai. Mi è arrivato un avviso di querela da parte della Monsanto. Non avevo mai avuto a che fare con loro. Non capivo”. Chi parla è Percy Schmeiser, 73 anni, piccolo agricoltore della provincia canadese di Saskatchewan. Com’è che si trova a combattere contro un gigante multinazionale della biochimica in una lotta che, inevitabilmente, ricorda quella tra Davide è Golia?
Dal 1947, quando subentra al padre nella conduzione della fattoria di famiglia,
Schmeiser coltiva soprattutto colza. Con un passato da politico alle spalle (“Ho sempre cercato di migliorare la vita dei piccoli agricoltori”), è noto nelle praterie del Canada centrale per il suo lavoro di seed saving, la selezione di sementi per coloro che le richiedono e, naturalmente, per sé.
“I furgoni della Monsanto adibiti al trasporto di colza geneticamente modificata, la cosiddetta colza Roundup, passavano davanti alle mie terre. Perdevano semi che, soffiati dal vento, hanno finito per contaminare i miei. Nei miei campi cresceva una pianta generata da un incrocio tra i miei semi e da quelli ogm della Monsanto”.
Prove chimiche eseguite presso l’Università di Manitoba rivelano che due campi non sono affatto contaminati, altri lo sono fino all’8%: nel canale di scolo, però, la contaminazione ha raggiunto il 60%. È difficile immaginare che Percy abbia responsabilità legali, ma talvolta, come diceva un personaggio di Dickens, “The law is a ass” (La legge è un asino).
“La Monsanto — spiega Schmeiser — mi accusava di violare un brevetto per sementi gm, concesso nel 1985, che prevedeva, tra le altre cose, anche la diffusione illimitata nell’ambiente.
Diceva che io avevo acquisito i suoi semi senza licenza e che li stavo piantando e coltivando”.
Il processo davanti alla Corte Federale si conclude nel 2001 con la condanna di
Schmeiser. Motivando la sentenza, il giudice dichiara che “non importa come le sementi gm arrivino nei campi di un agricoltore, non importa se distrugge le sue coltivazioni… queste diventano, di fatto, proprietà della Monsanto”.
“Il giudice mi ha anche diffidato dall’usare le mie sementi e piante — prosegue Schmeiser. Tutto il mio lavoro di ricerca e sviluppo era andato in fumo.
Di fatto, da un giorno all’altro, noi agricoltori avevamo perso i nostri diritti.
Il brevetto della Monsanto era evidentemente ritenuto più importante di questi diritti”.
Nel 2002, Schmeiser si rivolge alla Corte d’Appello, ma la sentenza gli è di nuovo contraria. “Un periodo deprimente quello. Nel novembre 2002, poco convinto, ho richiesto di andare in appello alla Corte Suprema. Nel maggio 2003, la Corte ha accettato di riesaminare il caso. Dopo cinque anni di delusioni,
finalmente, una bella notizia. Era già una piccola vittoria”.
Al centro del dibattito una domanda: è legittimo che gli organismi viventi — le sementi e le piante, i geni e gli organi umani — siano protetti da brevetti societari? Chi è proprietario della vita?
I nove giudici della Corte Suprema emettono la sentenza il 21 maggio 2004. Decidono, cinque contro quattro, a favore della Monsanto. La motivazione della maggioranza è di tipo tecnico-giuridico: “L’unica nostra preoccupazione è di applicare i princìpi stabiliti dal diritto brevettale, che concede al titolare di un brevetto il diritto esclusivo, il privilegio e la libertà di fare, costruire e usare un’invenzione e di venderla ad altri che desiderino farne uso”. “Secondo loro, stavo sfruttando la proprietà di un altro; cioè, stavo coltivando la colza della Monsanto”, dice Schmeiser.
I quattro giudici di minoranza, invece, argomentano che, nella fattispecie, poiché ha lo scopo di proteggere il monopolio di un inventore sulla propria invenzione, il diritto brevettuale è irrilevante, che la coltivazione accidentale di un’invenzione Monsanto non priva affatto la società del monopolio sulla propria invenzione. La multinazionale, cioè, è in grado di continuare a vendere le sementi ogm. Tutt’e nove i giudici, infine, concordano che la Monsanto deve sostenere i costi dell’udienza in quanto Schmeiser non ha tratto alcun utile dalla contaminazione. Schmeiser perde per un pelo, ma questa volta ha qualche motivo di soddisfazione. “D’ora in poi la Monsanto farà fatica a querelare altri agricoltori per la violazione del suo brevetto.
Dovrà dimostrare che hanno tratto profitto dalla presenza di colza Roundup nei propri campi. Forse questa decisione ha ‘tolto i denti’ al loro brevetto. La sentenza della Corte Suprema mi ha lasciato perplesso, ma sono contento di non dover pagare a Monsanto neanche un centesimo. Non ho mai voluto la tecnologia Monsanto nei miei campi, non l’ho mai sfruttata.
Perché dovrei pagarla? Eppoi nessuno dovrebbe avere il diritto di diffondere nell’ambiente qualcosa che distrugge la proprietà degli altri”.
I dubbi di Schmeiser sembrano trovare suffragio in una seconda sentenza dell’11 giugno, in cui la Corte Suprema decreta che una società deve rispondere di ogni danno che, per negligenza o per volontà, reca all’ambiente. Insomma, la proprietà di un brevetto comporta anche responsabilità verso terzi: così stando le cose, diventa difficile che si ripetano casi come quello del povero Percy Schmeiser in futuro.
Ma perché tanto accanimento nei suoi confronti?
“La mia conclusione è che i giganti della biochimica cerchino di avere il controllo totale delle sementi del mondo. Chiunque abbia il controllo delle sementi avrà pure il controllo delle scorte alimentari, e in molti Paesi del Terzo Mondo ciò significa avere il controllo dell’intera nazione. Mi vengono i brividi!”.