Carissime amiche e colleghe
scrivo queste poche righe perché mi sono sentita amareggiata dal tentativo di abrogare al legge 194 e dai commenti poco rispettosi delle donne che ho letto in queste settimane sui quotidiani.
Si sostiene che questa legge vada abrogata per “risolvere” il problema dell’aborto. A questo proposito voglio ricordare che fino al 1975 in Italia l’aborto era una pratica illegale. Le donne già svantaggiate da una legislazione punitiva nei confronti della contraccezione, quando incappavano in una gravidanza non desiderata si rivolgevano clandestinamente alle mammane che, con mezzi non idonei e con strumenti probabilmente non sterili risolvevano il problema, talvolta a costo di complicanze settiche anche mortali per la donna.
Il 22 maggio 1978 veniva approvata le legge 194 con la quale si riconosceva alla donna il diritto di interrompere gratuitamente, nelle strutture sanitarie pubbliche, la gravidanza indesiderata.
Non è una legge perfetta ma devo ammettere che:
-la legge 194 è riuscita ad eliminare quasi completamente la piaga degli aborti clandestini, ridottisi del 78.9%
-dall’approvazione della legge in poi si è registrata una riduzione sistematica delle interruzioni di gravidanza nelle strutture pubbliche, diminuite nel 2003 del 45.9%. L’ultimo rapporto del Ministero della Salute a firma Storace dimostra un’ulteriore riduzione del 6.1% relativa alle cittadine italiane.
Aumentano invece le interruzioni volontarie per le cittadine straniere. Sempre la relazione firmata da Storace mette anche l’accento sul tasso di abortività italiano tra i più bassi d’Europa (11.1%), preceduto solo da Olanda, Germania e Finlandia. Dopo di noi vengono Francia, Inghilterra e Svezia.
I dati ci dicono che la legge ha funzionato. Se l’obiettivo era quello di evitare che l’aborto diventasse un metodo anticoncezionale, possiamo dire che è stato raggiunto.
Questa non è una legge abortista, non è opera di legislatori abortisti, non autorizza l’aborto, al contrario ne condiziona la pratica entro i limiti della struttura pubblica.
Non si tratta di essere o meno d’accordo con l’aborto, non sta a noi medici-donne esprimere giudizi morali, si tratta di non negare un problema reale, di fare in modo che quando una donna si trova di fronte a questa scelta dolorosa possa usufruire di strutture pubbliche adeguate.
Abrogare la legge 194 significa ricacciare la pratica dell’aborto nella clandestinità.
Oltre a questo la legge mira a diffondere la cultura preventiva delle gravidanze indesiderate.
Se si deve fare una critica penso sia su quest’ultimo punto: a tutt’oggi solo il 4% dei fondi destinati ai consultori vengono spesi per la politica della prevenzione. In Italia mancano 900 consultori, non solo, la Regione Lombardia sta mettendo in atto un processo di privatizzazione che consegnerà i consultori ai privati, con minori costi ma probabilmente con peggiore qualità.
Dunque non mi sembra sia necessaria una commissione d’inchiesta per sapere come funziona questa legge, basterebbe leggere la relazione annuale del Ministero della Salute. Ma se avere dati non è l’obiettivo, quale è la vera ragione di questa bagarre sulla legge 194?
E’ plausibile pensare che l’imminenza delle elezioni politiche non sia casuale. Ogni qualvolta si presenta una scadenza elettorale le questioni che riguardano le donne diventano strumentalmente centrali e questo non può non insospettirci.
Non credo si possa accettare di fungere da merce di scambio fra destra e sinistra o di essere retrocesse dalla politica a soggetti deboli da tutelare, potenzialmente criminali. Mentre la destra propone un’indagine sull’applicazione della legge 194, la sinistra propone un assegno di sostegno alla gravidanza e entrambi sostengono di voler “aiutare le donne”!
Credo che abbiamo il diritto di essere considerate esseri pensanti in grado di decidere. La vita umana arriva in questo mondo attraverso il corpo femminile, attraverso il desiderio e l’accettazione di una donna che lo accoglie e lo consegna alla collettività. A questa donna va data parola, indipendentemente dalle ideologie e dalle opportunità politiche.
Credo che la nostra realtà di Donne e di Medici ci obblighi doppiamente a prendere la parola, non per difendere l’aborto sul quale ognuna di noi si regola secondo coscienza e credo religioso, ma per proporre un’immagine di donna non soggetto debole, non merce di baratti elettorali, ma persona autonoma in grado di scegliere per sé.
Continuo a credere che in una scelta così drammatica le donne non vadano lasciate sole ma accolte nelle strutture sanitarie pubbliche.
A presto
Mariagrazia Fontana