Sara Gandini e Laura Colombo hanno introdotto il terzo incontro al Circolo della Rosa, per il ciclo Donne a confronto con quello che capita: “Sessualità, maternità, procreazione, aborto” è un vecchio titolo di uno dei primi Sottosopra (1975). Vale la pena parlare della 194 senza tirare fuori la sessualità e il conflitto tra i sessi?
Circolo della Rosa
La proposta che e’ uscita dall’incontro alla Camera del lavoro, riguardo alla manifestazione, e’ una proposta valida. Come diceva Irigarai, essere insieme a camminare, a cantare, ad affermare la necessaria liberta’ del proprio corpo e della propria parola puo’ regalare cose inaspettate. L’energia comincia a circolare tra le persone, tra esse e la citta’. Puo’ succedere qualcosa di imprevisto. E se anche fosse solo piu’ gioia non sarebbe poco.
Pero’ qui vorremmo anche continuare a riflettere, e mettere in circolo pensiero, per capire cosa sta capitando.
La prima considerazione importante, da cui non si puo’ prescindere, e’ che la vita umana arriva a questo mondo passando necessariamente attraverso la libera accettazione di una donna che la accoglie e la coltiva. Che deve dire Si’. Quindi prima di tutto bisogna chiederle il permesso e riconoscerle competenza. Il punto della competenza femminile sulla maternita’ e della necessita’ del suo assenso e’ una cosa molto importante e pero’ fa problema, perche’ crea uno squilibrio, una disparita’ che fa paura.
Infatti le reazioni che leggiamo ci dicono che la parte contraria alla 194 non ha accettato la situazione di diritto, come pare invece sia avvenuto per il divorzio. Ma ha continuato ad organizzare la propria opposizione puntando all’erosione del consenso alla legge. Perche’?
Innazitutto la legge mette in discusione sentimenti profondi e stratificati come quelli che derivano dal valore simbolico che attribuiamo alla sessualita’ e alla riproduzione, e che nella civilta’ cristiana si e’ concentrato prevalentemente in una valorizzazione della donna in quanto madre e del bambino.
Le manovre a cui abbiamo assistito dalla 194 alla fecondazione artificiale potrebbero stare in una strategia volta a spostare la cultura politica, la civilta’ del paese, ma potrebbero essere legate anche alla volonta’ di mantenere il controllo sulla famiglia da parte della destra. Mentre la cultura della sinistra e’ debole sulla vita e non ha neanche personalita’ femminili forti e combattive, come ci sono a destra tra Prestigiacomo e Mussolini che hanno avuto il coraggio di parlare al di fuori degli schieramenti.
In piu’ sessualita’ e riproduzione sono il luogo originario in cui la differenza tra i sessi diventa dominio sulle donne; e’ evidente che la legge sull’aborto pone in primo piano l’autodeterminazione della donna rispetto alla sua vita e la sua sessualita’.
A questo proposito ho trovato interessante l’intervento della Soncini sul Foglio che sottolinea la dispartita’ di potere che c’e’ in gioco con la maternita’. Lei afferma che tra le altre cose c’è adddirittura il “sostituirsi a Dio”. Cito: “chi sei tu per scegliere di dare la vita e la morte?”. “Sono una che può dare la vita e anche decidere di non darla.” Lei dice. “Spiacente, è una discussione impari. Magari nella prossima vita sei fortunato, nasci con un utero, ma per ora non puoi praticare nessuna delle due opzioni.”
Amato a suo tempo diceva: non tollero che non nasca un figlio che io voglio. Sofri su Repubblica di settembre, quest’anno, scrive: “Come posso parlare dell´aborto, senza ricordarmi che non posso abortire, ma che in cambio posso spingere apertamente una donna ad abortire, o vietarle furiosamente di farlo, o lavarmene vilmente le mani, o fare una faccia compunta e partecipe e scongiurare dentro di me che abortisca” e va avanti cosi’ e poi finisce dicendo” E sono, nel loro “seno”, nel loro “grembo” – nel loro utero – figli nostri.” Qui e’ evidente che da un punto di vista intellettuale lui accetta lo squilibrio, pero’ è altrettanto chiaro che e’ dura per lui, lo accetta con difficoltà. Infatti alla fine gli scappa la frase dove si riferisce a “I nostri figli”. Quando in realta’ sono solo potenzialmente i suoi figli. C’e’ quindi in gioco il desiderio di paternita’, oltre alla difficolta’ per l’uomo di accettare questo squilibrio. Uno squilibrio riconosciuto dalla legge, la quale rispetta una disparita’ naturale. Per l’uomo e’ dura accettare di essere escluso dalla quella decisione. Ma a questo punto deve chiedere alla sua compagna e quindi abituarsi all’ascolto e al confronto con lei, senza avere in mano il potere decisionale. Deve quindi accettare il limite della paternità.
Molto probabilmente c’e’ in gioco anche la paura rispetto al fantasma di una madre distruttiva e non accogliente. Gli uomini non vogliono essere abortiti, e su questo a destra e a sinistra non c’e’ grande differenza. Piu’ o meno consciamente sono dentro entrambi a questa contraddizione.
In realta’ fermarsi alla 194 e non arrivare alla semplice depenalizzazione ha voluto dire che consentivamo allo stato e agli uomini di mantenere un certo controllo sulla riproduzione. La legge 194 non è abortista. Infatti non autorizza l’aborto, al contrario condiziona la sua pratica a certi limiti, fra cui l’obbligo di rivolgersi ad una struttura sanitaria pubblica.
Tra le altre cose e’ interessante notare che molti uomini attaccano la 194 sostenendo che la vita e’ sacra, senza rendersi conto che esprimono una contraddizione enorme, visto che la civilta’ della guerra, o degli immigrati che regolarmente annegano nel tentativo di emigrare – e’ una civilta’ sostenuta principalmente dagli uomini – e qui la vita non e’ per nulla sacra.
Detto questo pero’ varrebbe la pena riparlare anche di sessualita’, come hanno detto alcune anche alla Camera del lavoro, e tra queste Lea Melandri.
Negli anni ’70, le donne di Rivolta dichiaravano che il concepimento era il frutto di una violenza della cultura sessuale maschile sulla donna. Affermavano che era il piacere imposto dall’uomo alla donna a condurre alla procreazione. Dichiarazioni forti, legate alla scelta della separatezza che ha svolto un ruolo simbolico fondamentale negli anni 70. La rottura relazionale era necessaria per significare la libertà femminile, per valorizzare l’autonomia dal giudizio dell’uomo, proprio per far nascere libertà femminile nelle relazioni tra donne. Questo ci ha messo in condizione di avere un rapporto contrattuale e libero con l’altro. Il gesto della separazione era quindi un gesto di chiamata all’interlocuzione nella libertà e non più nella complementarietà, nella subordinazione.
Grazie al femminismo abbiamo conquistato una liberta’ che ha permesso una consapevolezza e una contrattualita’ all’interno della coppia che rende sempre piu’ esplicita e di valore la disparita’ fra i sessi. La forza acquisita dalle donne ha inoltre portato un guadagno anche per gli uomini grazie alla scoperta di una sessualita’ poliedrica, in cui l’altra e’ divenuta un soggetto autorevole con precise richieste.
Pero’ rispetto agli anni 70 tante cose sono cambiate ma soprattutto e’ cambiata l’interpretazione delle cose, lo sguardo sulla realta’. Una volta si parlava molto della firigidita’, ora dell’impotenza o dei problemi legati alla fecondita’. Noi vorremmo interpretare il presente, partendo dalle conquiste del passato.
L’acquisizione della liberta’ da parte delle donne ha fatto si’ che ora per molte anche la sessualita’ vaginale possa rientrare in una libera scelta basata sulla ricerca del piacere tanto quanto per gli uomini. E il concepimento ora piu’ che mai chiama in causa la responsabilita’ di entrambi. Non possiamo piu’ dire che la contraccezione o il sesso vaginale sono un problema solo degli uomini, che non ci riguardano. Non possiamo piu’ dire che le donne vogliono essere lasciate in pace o che cercano godimento in altro modo. Ora quella parola libera che abbiamo conquistato bisogna scambiarla.
Il punto essenziale è quindi la libertà femminile. Che rende possibile la relazione politica con l’altro. Ma questo non significa che la rende obbligatoria: infatti, da una posizione di libertà, è possibile anche scegliere la NON relazione con l’altro, e questa continua a essere la scelta di molte donne.
Dal mio punto di vista, però, penso che non si possano più lasciare fuori gli uomini da questa lotta. Io vorrei evitare la ripetizione, e vorrei lottare invece per una civiltà in cui la donna non sia colpevolizzata e l’uomo accetti profondamente – e non solo intellettualmente – lo squilibrio in gioco quando c’è in ballo il suo desiderio di paternità, quando si appella al principio morale legato alla vita che deve nascere.