Ida Dominijanni
«Usciamo dal silenzio», lo slogan che ha accompagnato la preparazione delle manifestazione sull’aborto di sabato prossimo a Milano in concomitanza con quella sui Pacs a Roma, è uno slogan da discutere. In verità sull’aborto, e su una vasta materia connessa che riguarda la procreazione e la sessualità, dal silenzio le donne sono uscite più di trent’anni fa, e non ci sono mai più rientrate. Non va scambiata per silenzio una produzione di parola e di sapere che manca la scena politica e mediatica ufficiale; perché proprio con la battaglia di trent’anni fa sull’aborto, che non fu fatta solo di manifestazioni ma soprattutto di elaborazione, è diventato chiaro una volta per tutte che l’ordine del discorso della politica delle donne eccede quello della politica ufficiale, delle sue parole d’ordine riduttive, dei suoi schieramenti rigidi. Il che non vuol dire che questa distanza vada incoraggiata – al contrario, andrebbe ridotta; vuol dire però prendere bene le misure del conflitto in corso sull’aborto, sulla procreazione, sulla sessualità. Letizia Paolozzi, ad esempio, giustamente si chiede (www.donnealtri.it) se a essere sotto attacco oggi sia l’aborto come tale, o non piuttosto «la parola delle donne, giudicata poco credibile, poco seria, irresponsabile». E chiunque abbia seguito le argomentazioni zelanti dei teocon nostrani in questi mesi, nonché la debole risposta della cultura laica, sa quanto l’una e l’altra si avvalgano di una sistematica adulterazione della parola femminile (la riduzione dell’aborto a diritto, del desiderio a capriccio, del primato femminile nella procreazione a strapotere autarchico e via dicendo).
Un effetto auspicabile della manifestazione di sabato è che questa parola torni più potentemente in circolo e contamini esperienze e generazioni diverse, anche al di là della manifestazione stessa e del suo impatto immediato. Non si tratta di «trasmettere» ad altre l’esperienza degli anni settanta: la genealogia femminile non vive di trasmissione ma di scommesse, non si nutre solo di continuità ma anche e soprattutto di differenze. Ciò che scarta dalla battaglia per l’aborto di trent’anni fa è rilevante quanto ciò che le assomiglia; e dunque è tanto importante ricostruire il discorso sull’aborto di allora, quanto rilanciarlo all’altezza delle domande di oggi.
Ed è infatti su questo crinale fra continuità e discontinuità che molte si interrogano nei siti femministi (un segno non trascurabile del mutamento intervenuto nelle forme della comunicazione e della scrittura). Il rifiuto di ridurre l’aborto a un diritto; la consapevolezza del carattere compromissorio della 194 di quante volevano che l’aborto fosse semplicemente depenalizzato; l’autocoscienza sui legami fra aborto e sessualità maschile: le «scoperte» degli anni settanta (una utilissima ricostruzione in un intervento di Laura Colombo, www.libreriadelledonne.it) possono funzionare da griglia per non affidarsi oggi alla grammatica dei diritti, per non attestarsi su una trincea puramente difensiva (Luisa Muraro, stesso sito), per squarciare il silenzio sulla sessualità, e soprattutto sulla sessualità maschile e sullo stato attuale dei rapporti fra donne e uomini, che il rumore sull’aborto copre.
Giacché se silenzio c’è, è soprattutto nel campo degli uomini che va denunciato. Ancora Letizia Paolozzi si chiede se nell’aggressività politica maschile di oggi contro l’aborto sia più giusto vedere «un desiderio di revanche contro la libertà femminile o la spinta ad assumersi una nuova responsabilità», che pure non trova le parole per dirsi. Lea Melandri (in un articolo su Liberazione riportato nel già citato sito della Libreria delle donne di Milano) mette in guardia dal rischio che la pura riaffermazione del primato femminile nella procreazione presti il fianco «alla misoginia di ogni tipo, e alle «paure profonde» che riattivano negli uomini «il fantasma di una madre distruttiva e poco accogliente» (Sara Gandini). La stessa Gandini, con l’intento di «interpretare il presente partendo dalle conquiste del passato», traccia una discriminate interessante fra ieri e oggi: se ieri la riappropriazione del desiderio femminile richiedeva il taglio della separazione dagli uomini, oggi viceversa la libertà femminile guadagnata consente e domanda una relazione più forte con l’altro sesso. Nella quale gli uomini accettino lo squilibrio del primato femminile nella procreazione, ma mettano in gioco la loro esperienza. La prima parola e l’ultima restano femminili, ma in mezzo non può esserci vuoto di parola maschile.