Giovanni Valentini
Qualunque ne sia la causa, sembra legittima la questione se in una società forgiata secondo i paradigmi della deregulation, imposti per ogni dove dai media, possano funzionare condizioni minime per lo sviluppo di una cultura del limite etico, dunque della norma anche in ambiti futuristi, come l´ingegneria genetica, la biologia embrionale, l´impatto psichico e politico dei media di massa.
(da “Benedetto XVI – Un successore al crocevia” di Giancarlo Zizola – Sperling & Kupfer Editori, 2005 – pag. 362).
Non c´è bisogno di arruolarsi nelle file dei teo-con, di abbonarsi al Foglio di Giuliano Ferrara e neppure di convertirsi improvvisamente al cristianesimo, per essere contrari all´aborto. Laici o cattolici, credenti o non credenti, siamo tutti contro l´aborto, contro la cosiddetta “cultura della morte”. E siamo, o almeno dovremmo essere, tutti favorevoli alla difesa della vita, al rispetto della persona umana e in particolare della donna: tanto più davanti all´immagine sacra del bambino nella mangiatoia, in attesa dell´Epifania.
Ma proprio perciò siamo contro l´aborto clandestino, una piaga sociale che minaccia tuttora la salute e la condizione femminile. E quindi, contro l´aborto inteso e applicato come mezzo di contraccezione o di controllo delle nascite. Non era questo – nel lontano ‘78 della Prima Repubblica – l´obiettivo della legge 194 sull´interruzione di gravidanza, di quanti l´approvarono in Parlamento e di quanti, laici o cattolici, la sostennero nell´opinione pubblica. Non è e non può essere questo l´intento di chi, a trent´anni di distanza, difende quella legge come una conquista civile.
Si faccia pure, allora, l´indagine parlamentare voluta dal presidente della Camera Casini e dal ministro Storace, per verificare se la 194 ha bisogno di essere corretta, integrata o aggiornata. Per la gran parte dei medici e degli esperti, è una delle poche leggi italiane che ha funzionato bene. Ma l´argomento comunque è troppo delicato e importante per essere sottoposto a strumentalizzazioni elettorali o propagandistiche, da una parte e dall´altra.
Vedremo a tempo debito quale sarà l´esito dell´indagine e giudicheremo di conseguenza. Per il momento, però, su un punto sarebbe opportuno che convergessero tutti, cattolici e laici: e cioè sulla necessità di prevenire l´aborto, proprio per farne a meno, per evitarlo nel maggior numero possibile di casi, per ridurlo a un´eccezione sempre più rara. Se è vero che si ricorre all´aborto in condizioni estreme di necessità, cerchiamo di impedire che si arrivi fino a questo punto. E se anche risultasse che a volte l´aborto è servito o serve a interrompere gravidanze indesiderate, a maggior ragione occorre contrastarlo in anticipo, risalendo all´origine del problema.
“Lo Stato – si legge nell´articolo 1 della legge 194 – garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. La stessa Chiesa cattolica predica opportunamente la “procreazione responsabile”. Come si fa, dunque, a renderla effettivamente tale, a favorire la massima responsabilità nel concepimento, ad aiutare soprattutto i più giovani, i più poveri e i più sprovveduti a procreare in modo responsabile?
Lo strumento privilegiato non può che essere l´informazione: cioè l´educazione sessuale e quindi la contraccezione, attraverso la diffusione di quella “cultura del rispetto” che l´ex ministro della Salute e oncologo di fama internazionale, Umberto Veronesi, auspica in un recente intervento pubblicato su un settimanale familiare come Oggi. Per procreare responsabilmente, dunque, bisogna essere innanzitutto informati ed educati fin dall´età scolastica. Questa è la più grande “campagna etica”, afferma Veronesi con la coscienza di chi ha messo al mondo sei figli, che si può lanciare contro l´aborto, in difesa della vita e della famiglia, “pilastro fondamentale della società” come giustamente l´ha definita ancora ieri il Papa.
La controprova è nelle statistiche sulle interruzioni di gravidanza che hanno registrato un trend continuamente in discesa. Nel 1982 gli aborti volontari furono 240 mila; nel 2004 si sono dimezzati, scendendo a 120 mila. Da allora a oggi, la consapevolezza delle donne è certamente cresciuta, mentre l´uso della pillola anticoncezionale è passato dal 6 al 20 per cento. Una maggiore informazione, insomma, ha favorito quella “procreazione cosciente e responsabile” che la legge del ‘78 contemplava nel suo primo articolo.
Di questi dati, dovrebbe tener conto anche la Chiesa per adeguare una dottrina morale che – secondo alcune inchieste prodotte dall´interno dello stesso mondo cattolico – proprio a causa della sua impraticabilità tende ad allontanare le coppie dei fedeli dalla frequentazione dei sacramenti. E´ noto, del resto, che nella pratica quotidiana molti confessori preferiscono assolvere i loro penitenti quando ammettono di aver usato la pillola o il profilattico nei rapporti matrimoniali, distinguendo l´atto sessuale dall´atto procreativo. E così questi sacerdoti contribuiscono a combattere l´aborto e spesso anche a salvare l´istituzione della famiglia: meglio un figlio non concepito che un “figlio del peccato”, concepito per caso o per sbaglio e quindi non voluto.
“Nell´educazione della gioventù e nella pastorale – ricorda Giancarlo Zizola nel suo libro citato all´inizio – la Chiesa esercitava un ruolo di disciplinamento della sessualità, mediante campagne sulla purezza, l´uso non di rado intrusivo della confessione sacramentale, la direzione spirituale, la separazione fra i sessi nelle associazioni cattoliche e negli istituti scolastici dipendenti dalla Chiesa, la proibizione dei rapporti prematrimoniali, la lotta al ballo e alla masturbazione, la censura cinematografica, accanita contro baci e licenze sessuali, una morale precettistica, persino occhiuta sulle misure delle braccia e gambe scoperte delle donne in chiesa, oggetto talora di lettere pastorali severe”. E lo stesso autore aggiunge: “Il sesso si lasciava facilmente considerare, insomma, come strumento di eterodirezione, di segno generalmente repressivo, da parte del clero celibatario sul gregge; il veicolo di un controllo sociale che assicurava alla Chiesa, quasi senza competitori, il rango di una grande agenzia morale per la stabilità dell´ordine pubblico”.
E´ così ancora oggi? Può essere così nella società della comunicazione di massa, sottoposta nel bene e nel male al bombardamento mediatico? O non sarebbe meglio, piuttosto, affrontare la sfida sul piano dei valori, della libertà individuale, della coscienza, della scelta responsabile?
Combattiamo allora tutti insieme l´aborto, laici e cattolici, senza scatenare guerre di religione che evocherebbero fantasmi del passato. Difendiamo la vita, credenti e non credenti, in nome di quel destino comune che unisce tutto il genere umano. E infine, evitiamo di strumentalizzare a scopi elettorali una grande questione di civiltà.