di Giordana Masotto
“Cominciamo a vedere nei diritti delle donne, in ciò che accade alle donne, qualcosa che riguarda tutti, come sempre è, ma come spesso è difficile percepire.” Silvia Niccolai (docente di diritto costituzionale) entra con tutta la sua autorevolezza nella vicenda della donna licenziata all’Ikea e ci aiuta a dare nuovo spessore teorico a questioni che ci premono.
Nell’articolo – pubblicato su “il manifesto” del 30/11/2017 – sottolinea la radicale ambivalenza delle norme antidiscriminatorie in materia di donne e lavoro.
Quando in Europa e anche in Italia sono state cancellate le norme speciali che riguardavano le donne (lavoro notturno, età della pensione, ecc) molti hanno sostenuto che così si combattevano gli stereotipi di genere. Ma in molte abbiamo notato che era una rincorsa al basso, uno dei tanti casi in cui prendere a modello il maschile non era affatto un guadagno di civiltà. Niccolai lo spiega bene: “Il fatto è che le norme protettive dettate per le donne tra Otto e Novecento racchiudevano un principio che non riguarda solo le donne: la vita umana, e la società, cioè le relazioni che ci tengono uniti gli uni agli altri e ci danno autonomia e libertà, hanno valore e per questo devono essere tutelate davanti alla logica del profitto che tende a espropriarle. Quelle tutele erano il cuore dello stato sociale, che voleva dire difesa della società davanti all’invadenza del mercato.” Insomma, con quegli interventi antidiscriminatori è accaduto il contrario di quello che in “Immagina che il lavoro” abbiamo provocatoriamente chiamato “portare tutto al mercato”, cioè condizionare la logica di mercato con “tutto il lavoro necessario per vivere”, quella complessità e molteplicità di piani che le donne vivono e a cui non vogliono rinunciare.
Il lavoratore neutro a cui tendono le norme antidiscriminatorie è un lavoratore che è costretto a cancellare l’irrinunciabile. Dice Niccolai: “Non si tratta di garantire alle mamme il recinto in cui accudire i bambini. Si tratta di tornare a chiarire che non deve essere la produzione a dominare ogni singola esistenza e dettarne le priorità.”
Ribadire le priorità dell’esistenza umana: bisogna riconoscere che questo è possibile oggi (per nulla facile, ma pensabile) perché le donne sono entrate nel mondo del lavoro con tutto il peso della loro libertà e materialità. Come conclude Niccolai, non si tratta di “incomprensibili privilegi che il mondo d’oggi non può più permettersi”. Le donne, quando prendono la parola, rendono più giusto il mondo. Io non so se molti lavoratori siano disposti a sentire che quelle battaglie sono giuste non perché sono disposti a difendere i diritti delle donne, ma perché un mondo a misura di donne e di uomini è più giusto e più libero per ogni essere umano.