Vita Cosentino
Da Parigi arriva la notizia che nelle scuole verranno avviati “corsi d’autorità”, rivolti a chi insegna, per stabilire insieme il comportamento da tenere in classe. L’iniziativa parte dall’Università de tous les savoirs, ha il benestare del ministero dell’Educazione, e il metodo è lo scambio di esperienze: dieci incontri di tre ore di discussione libera “per scambiarsi consigli su come evitare le chiacchiere continue in classe, interessare gli studenti, canalizzare la propria collera davanti a un allievo insolente” (City 18-12-09). Sempre la stessa fonte ci informa su come viene declinata l’autorità nelle parole di Sebastien Clerc, un prof di liceo della banlieue parigina che, assieme al filosofo Yves Michaud, ha lanciato l’idea. Dice: “La cosa più importante è il modo di tenere una lezione, perché uno studente rispetterà di più un professore che lo aiuta a comprendere, che stimola la sua curiosità”.
In Italia, al presente, tutt’altra zuppa. A fronte degli stessi problemi di studenti che non studiano e invece fanno baccano, la Riforma Gelmini pensa di far tornare “la serietà” a scuola ripristinando il voto in condotta che incide sul rendimento, la bocciatura, la valutazione numerica anche in prima elementare.
Nel confronto ci appaiono due ben diverse concezioni dell’autorità. Quella italiana è concepita come autorità gerarchica e si esercita attraverso tutto un armamentario di potere teso a incutere paura e soggezione attraverso la punizione. Il modello è l’autorità paterna che subordinava moglie e figli/e nella famiglia di una volta. Quella francese sembra aver preso atto che quella famiglia e quella società sono finite e viviamo in un’epoca postpatriarcale in cui l’autorità gerarchica è sentita più come un abuso che un uso di autorità. Però non butta a mare la parola, ma comincia a riempirla di altri significati.
Se questo emerge dal confronto attuale, bisogna però ricordare che la riflessione attorno a un’idea positiva dell’autorità è cominciata in Italia molto prima che in Francia. Non è opera di un filosofo ma di un gruppo di filosofe, quelle della comunità Diotima dell’Università di Verona, in stretto
contatto con il movimento politico delle donne. Hanno cominciato a distinguere l’autorità dal potere, a recuperarne l’origine femminile da augeo, accrescere, a farne la qualità di una relazione non paritetica, ma fondata sulla fiducia e la libertà. Il dibattito è stato intenso e ha prodotto molte pubblicazioni, cito per tutte “Oltre l’uguaglianza, le radici femminili dell’autorità” (Liguori 1995).
Nelle scuole in particolare queste riflessioni hanno circolato parecchio, con gruppi di autoaggiornamento, a discutere liberamente attorno a un tavolo, proprio come vogliono fare in Francia, per iniziativa di due movimenti nati all’interno delle sue stesse mura: la Pedagogia della differenza e il Movimento di autoriforma della scuola. Io stessa ne ho scritto più volte, mettendo in luce una possibile combinazione – il massimo di autorità con il minimo di potere – che ha aiutato ad abbandonare certi rituali scolastici da microfisica del potere per giocarsi di persona con le proprie passioni e competenze.
Come si vede in Italia non ci mancano le buone idee. Quello che continua a mancare è che il mondo politico e intellettuale nel suo insieme si decida a prendere in considerazione davvero ciò che di meglio ha da offrire l’elaborazione politica e culturale delle donne.