Orthotes Editrice, 29 aprile 2018
di Riccardo Fanciullacci
Il caso Weinstein è un fatto di cronaca giudiziaria, ma è stato anche l’inizio di un evento di ben più ampie dimensioni. Di questo evento è importante analizzare il significato perché solo così si può capire come ci riguardi tutti e come a tutti, cioè sia agli uomini, sia alle donne, chieda di trovare risposte che siano alla sua altezza. Qui vorrei riflettere sulle reazioni maschili perché mi paiono più spesso incerte e dunque a rischio di essere inadeguate, ma prima devo riprendere brevemente l’analisi di questo evento che ho sviluppato di più altrove.
Sul piano della cronaca i fatti sono noti. Harvey Weinstein, noto produttore cinematografico statunitense, è stato accusato di molestie da molte donne, tra cui alcune attrici famosissime come Salma Hayek o Angelina Jolie: usando il suo potere e la sua influenza, le avrebbe ricattate per ottenere favori sessuali o il silenzio sui suoi abusi. Queste accuse hanno motivato un procedimento legale contro il produttore hollywoodiano, ma hanno anche avuto ulteriori effetti. Innanzitutto, l’evidenza mediatica del caso Weinstein ha incoraggiato altre donne, non solo in America, ma anche in Europa, a prendere la parola e a denunciare altri uomini colpevoli degli stessi crimini. Ma il fenomeno si è ulteriormente amplificato con la nascita del movimento #MeToo che ha invitato le donne a raccontare le loro esperienze di molestie e ricatti sessuali subiti, così da far intravedere le dimensioni reali del fenomeno e non lasciare che sia ridotto a un grappolo di episodi isolati ascrivibili alla depravazione di questo o quell’uomo.
L’evento che ha avuto luogo attraverso questa sequenza di fatti è nientemeno che la dissoluzione di uno dei fondamenti del dispositivo del ricatto sessuale. Per cogliere questo punto occorre innanzitutto saper riconoscere nei vari ricatti sessuali non dei semplici comportamenti individuali devianti, bensì una forma più generale di azione messa diversamente all’opera nelle circostanze particolari. Questa forma definiva una possibilità pratica disponibile per qualunque uomo che si trovasse in una posizione di potere rispetto a una donna e consisteva nel poterle chiedere prestazioni sessuali, sotto la minaccia di un qualche uso di quel potere contro di lei e avendo una ragionevole certezza del fatto che tutta la contrattazione, qualunque fosse il suo esito, sarebbe restata una questione privata o che comunque sarebbe stata gestita in maniera riservata e con la complicità dell’ordine sociale. Quando dico che questa possibilità pratica era aperta per qualunque uomo, non intendo ovviamente dire che era esplicitamente considerata legittima. Quella del ricatto sessuale era una condotta regolata, le cui regole, però, potevano funzionare solo restando fuori scena. Grosso modo, come il nonnismo nelle caserme secondo Slavoj Žižek: formalmente vietato sulla scena, sarebbe di fatto parte integrante della vita militare in quanto luogo di inscrizione nei nuovi arrivati dello spirito di corpo e del senso della gerarchia. Così, la pratica del ricatto sessuale era tacitamente intesa come parte della gavetta ecc.
Non indagheremo in questo contesto quale fosse il ruolo o, per dir così, la “funzione” della pratica del ricatto sessuale, ad esempio, nel complesso di un rapporto di lavoro. Sottolineiamo invece che questa stessa indagine diventa possibile solo riconoscendo in quella pratica una parte integrante, sebbene oscena, cioè fuori scena, della totalità di quel rapporto. Impostando l’analisi in questo modo, inoltre, diventa più semplice capire perché per una donna fosse difficile sottrarsi al ricatto, non solo rifiutando la prestazione, ma soprattutto denunciando l’intero gioco senza venire immediatamente screditata. Inoltre, diventa chiaro in che senso il ricatto sessuale, e ora anche l’evento che lo manda in crisi, non riguardino solo gli uomini che quel ricatto hanno praticato e le donne che lo hanno effettivamente subito, ma riguardino tutti. Come condotta possibile era aperta per tutti gli uomini e dunque minacciava qualunque donna: chi non lo ha praticato avrebbe potuto farlo e poteva immaginare di farlo, ottenendo, a seconda, una soddisfazione o un senso di colpa immaginari. Realizzata o meno nella realtà da un certo uomo, quella possibilità faceva parte del sistema delle sue possibilità pratiche, cioè delle possibilità pratiche socialmente rappresentate e riconoscibili entro cui lui faceva la sua scelta – sebbene quella possibilità fosse rappresentata e riconosciuta come una mossa possibile solo fuori scena. Per questa ragione, il suo attuale venir meno o cominciare a venir meno è un evento che ci riguarda tutti: viene meno una possibilità che poteva coinvolgere chiunque e dunque è necessaria una ristrutturazione generale del sistema delle mosse possibili nelle interazioni tra i sessi.
Ma che cos’è che ha mandato in crisi quella possibilità? Evidentemente, la presa di parola delle donne: il complesso delle denunce e la massa critica che sono venute a costituire con gli effetti immediatamente avuti (dimissioni dai posti di prestigio di molti degli uomini accusati di molestie sessuali), nonché la raccolta delle testimonianze all’insegna del “me too” o del “balance ton porc” o del “quella volta che”: tutto questo ha sottratto alla pratica del ricatto sessuale la quasi certezza di poter essere condotta fuori scena e dunque l’ha resa più rischiosa facendole perdere di attrattiva.
Di fronte a questo evento, dovuto in gran parte al coraggio di molte donne, non tutte le altre hanno reagito in uno stesso modo e qualcuna ha persino voluto porsi in difesa di quei tentativi maschili di seduzione, che sarebbero certamente maldestri, ma non trattabili come dei ricatti sessuali. Come già accennato, comunque, io qui vorrei occuparmi delle reazioni maschili e in particolare riflettere sull’indicazione che al disorientamento maschile ha offerto Frances McDormand nel discorso che ha tenuto quando le hanno consegnato l’oscar 2018 come migliore attrice protagonista.
In questo discorso che, giustamente, è stato immediatamente elogiato e ripreso dai media, l’attrice ha messo in guardia gli uomini da una reazione troppo facile e per questo nient’affatto sufficiente. L’indignazione per lo scandalo Weinstein e per il malcostume dei ricatti sessuali deve tradursi in un’attenzione al lavoro e all’intelligenza femminili che non duri giusto il tempo della serata degli Oscar per poi svanire in un rispetto tanto formale quanto generico: invitateci nel vostro ufficio tra un paio di giorni o venite nel nostro, ha detto, e vi racconteremo i nostri progetti e le nostre idee. Si rivolgeva innanzitutto agli uomini dell’industria cinematografica, ma la prospettiva loro offerta ha una validità più generale: riguarda un altro possibile uso di quell’energia che ora è convogliata in un atteggiamento astrattamente solidale e che invece potrebbe alimentare un ascolto vero e un concreto sostegno della creatività e dell’intrapresa femminili.
Lo spostamento e il reinvestimento dell’energia sollecitati dalla McDormand delineano una ipotetica risposta maschile di altissimo profilo. Questa risposta, però, può diventare duratura e dunque realmente efficace e generativa di un nuovo stile nel rapporto tra i sessi, solo a una condizione. Tutto dipende dallo spirito con cui la si mette in opera. Si pensi, ad esempio, al caso in cui quel reinvestimento di energie sia interpretato come un risarcimento: “la colpa per aver assoggettato le donne al ricatto sessuale, o anche solo alla sua incombente possibilità, va pagata ed è meglio farlo nel modo suggerito dalla McDormand piuttosto che con semplici dichiarazioni di solidarietà”. Se è con questo spirito, se cioè è all’interno di questa cornice, che gli uomini si propongono di sostenere l’intelligenza e l’invenzione femminili, allora è difficile che si vada lontano. Lo spirito non consiste dunque nella condizione psicologica o nelle emozioni che si possono provare quando si realizza quello spostamento di energia, bensì nelle coordinate simboliche entro cui lo si realizza e che definiscono la qualità di quell’energia.
È il momento di riconoscere che l’energia fornita dal senso di colpa può animare giusto una reazione temporanea e comunque non può nutrire un autentico interesse verso l’altro e dunque uno scambio significativo. Per raggiungere un simile scambio, occorre uno spirito ben diverso. Quando si agisce per senso di colpa, non si presta attenzione che a sé. Al contrario, le pratiche generative, quelle che danno luogo a nuove situazioni di vita e a più alte forme di relazione, non sono mosse dal bisogno di espiare una colpa, ma dal desiderio di raggiungere un bene di cui si comprende che solo l’altro ce lo può far sperimentare. Concretamente, vuol dire riconoscere che partecipare ai progetti delle donne è l’unico modo di fruire di quel di più di bene che solo grazie a questi progetti potrebbe divenire disponibile per tutti – dove questo di più di bene si mostra sotto forma di idee nuove, prospettive inaspettate, approcci differenti ecc.
Si potrebbe credere che io stia sviluppando l’indicazione della McDormand in maniera strumentale, come se stessi proponendo agli altri uomini di appoggiare i progetti femminili allo scopo di impadronirci dei loro frutti. In effetti, non sarebbe la prima volta in cui la cultura maschile articolerebbe in questo modo la cura e l’attenzione verso le donne! Qui però sto andando in tutt’altra direzione. Partecipare ai progetti delle donne significa riconoscere la libertà e l’intelligenza femminili e questo è esattamente l’opposto di un atteggiamento strumentale. Ciò che sto aggiungendo è che riconoscere la libertà e l’intelligenza delle donne è un guadagno per tutti. Tale riconoscimento non ha quindi bisogno di essere nutrito da un ideale di negazione di sé (“per il suo bene, a dispetto del mio!”), di cui si può spesso sospettare che in realtà mascheri ben più misere motivazioni (l’espiazione del senso di colpa, la ristrutturazione della propria immagine pubblica ecc.).
Il timore che io stessi offrendo una giustificazione strumentale dell’invito a dar credito alle proposte e dunque alle parole delle donne non è l’unico che può suscitare delle perplessità in chi mi sta leggendo. Qualcuno potrebbe essersi insospettito per il modo in cui ho fatto riferimento alle donne e voler precisare che, certamente, bisogna ascoltare ed eventualmente sostenere, se sono buone, le idee delle donne, ma come quelle di chiunque: “le idee buone, quando arrivano, arrivano agli individui, l’importante è non privare alcuni di loro della possibilità di essere ascoltati solo in quanto sono donne”. Questo discorso è talmente familiare, talmente dominante, da indurci al consenso prima ancora di aver riflettuto. Tuttavia, conviene riflettere. Si può allora vedere quanto poco sia ovvio saper incontrare l’altro prescindendo dalle sue svariate sfere di appartenenza (dal sesso all’età, dalla cultura di provenienza alla condizione sociale, dalla religione alle idee politiche). È così poco ovvio che viene anzi il dubbio che non sia neppure l’ideale. In effetti, non è l’unica opzione cercare di prescindere da tutte le determinazioni dell’altro, rischiando di raggiungere un altro che non è più niente e, soprattutto, rischiando di trovarsi poi a far valere, più o meno involontariamente, ora questa ora quella sua determinazione, come ad esempio accade, quando, terminata la seria dichiarazione sul valore dell’individuo come tale, ci si trova a far battute sulle presunte irrazionalità o fissazioni delle donne. Queste battute servono a scaricare la tensione prodotta da quel neutralismo astratto, ma non è vero che sono innocue, hanno anzi effetti sulle condotte degli uomini, tra cui quelle in cui dovrebbe realizzarsi l’ascolto della parola femminile. E questo è proprio il nodo su cui punta il dito la McDormand.
Per incontrare l’altro nella sua individualità è possibile seguire un’altra strada: non prescindere dalle sue determinazioni, ma confrontarsi con esse e con gli orizzonti di significato e le dimensioni pratiche che possono dischiudere. Nel discorso di Frances McDormand alla notte degli oscar del 4 marzo, ho trovato proprio un invito a incamminarsi in questa direzione, un invito che ho interpretato nel modo seguente. Se noi uomini vogliamo che il nuovo atteggiamento che cerchiamo non duri una sera, allora non dobbiamo orientarci sulla generica solidarietà verso le donne, ma prendere sul serio le loro parole e renderci capaci di sostenere e far fiorire le loro idee, anche e soprattutto quando non confermano quelle che abbiamo già. E non siamo invitati a farlo per risarcirle o per espiare le nostre colpe, reali o immaginarie. Dobbiamo farlo riconoscendo la povertà dell’atteggiamento precedente e dunque tutto il positivo di cui ci privava, cioè quelle dimensioni del bene che si aprono per tutti non appena la libertà e l’intelligenza delle donne possono esprimersi e creare.
Non intendo questo discorso come un invito a prender sul serio una donna in quanto è una donna. Un simile intendimento produce facilmente un’attenzione generica, da quote rosa, ma può anche avere un esito peggiore: invitare a prender sul serio una donna solo e fintanto che corrisponde alla nostra immagine di quel che una donna è. D’altronde, non intendo quel discorso neppure come l’invito a prender sul serio una donna nonostante sia una donna, cioè a prescindere dal suo essere una donna. Certamente l’ascolto è reale solo se non incontra l’altro come un esemplare del genere femminile, ma è dedicato alla donna singolare che si ha innanzi, cioè solo se raggiunge l’individualità della sua parola, delle sue idee, delle sue storie, dei suoi progetti. Tuttavia, nell’ascoltare questa parola singolare non si può cancellare il fatto che essa stessa rinvia al suo essere la parola di una donna. Contro la violenta rimozione di questo fatto, si erge ad esempio il pensiero della differenza sessuale che mostra come, per un’idea offerta a tutti e dunque potenzialmente universale, non sia affatto necessario provenire da un soggetto immaginato come neutro (l’individuo, la persona, il soggetto razionale ecc.).
Sarebbe davvero un errore ricondurre l’invito della McDormand al discorso generico e neutro sull’importanza dell’ascoltare ed eventualmente del sostenere le idee di qualunque individuo. Questa è solo una falsa scorciatoia per raggiungere il suo effettivo valore universale, una scorciatoia con cui si ottiene unicamente di illanguidirlo. Per cogliere la sua verità, non bisogna cancellare dal discorso il riferimento ai sessi. Ma a questo punto si impone a noi uomini una domanda che non può più essere rimandata: come dobbiamo tener fermo quel riferimento senza tornare a modelli di relazione sessuata come quelli che, anche solo sul piano immaginario, ammettevano il ricatto sessuale quale loro possibile sviluppo osceno?
Anche nelle battute sessiste traluce la difficoltà maschile a relazionarsi alle donne in maniera neutrale – che poi, di fatto, è solo una maniera modellata sulle relazioni tra gli uomini. Dobbiamo prendere sul serio questa difficoltà, di cui solo la psicoanalisi freudiana ci dice quanto in profondità è radicata e dunque come condizioni qualunque incontro tra i sessi e non solo quello sessuale, e dobbiamo attraversarla. Se è vero che il riferimento ai sessi non si può saltare, è altrettanto vero che, per non saltarlo, noi uomini dobbiamo affrontare tutte le paure, i desideri, i fantasmi, i blocchi che ci suscita anche il solo pensare all’incontro con le donne. Più precisamente, il problema è che le maniere attraverso cui crediamo di saper neutralizzare tutti gli stereotipi, le abitudini mentali e gli schemi emotivi che sono innescati dal riconoscere che l’altro è una donna e che, in quanto tali, ostacolano il nostro incontro con la singolarità della sua parola, non sono affatto dispositivi capaci di far fronte al groviglio di difficoltà e questioni irrisolte che si associano per noi all’incontro con l’altro sesso. Conviene farsi coraggio e prendere la via lunga che affronta questo groviglio o almeno non si nasconde la sua esistenza.
Nel discorso della McDormand credo che si trovi un’indicazione importante per gli uomini che, come me, desiderano star di fronte alle donne in un modo che sia all’altezza della loro libertà e intelligenza. Ci invita a prenderne sul serio i progetti, anche se in noi può esserci molto che fa ostacolo, che siano fantasie, attrazioni o repulsioni incontrollate, modelli mentali, disposizioni pratiche o emotive e forse qualcosa che si radica ancor più in profondità. Per questo, potremo davvero capire che cosa significhi per un uomo collaborare ai progetti di una donna, solo se non eviteremo di scavare e confrontarci con i nostri fantasmi, positivi e negativi. D’altronde, non è uno scavo alla cieca. Come suggerisce Frances McDormand, disponiamo già di una guida: è il desiderio di partecipare a quei progetti e dunque di fruire dei beni e delle possibilità che essi offrono a tutti noi.
(Orthotes Editrice, 29 aprile 2018)