di Alessandra Pigliaru
La notizia è giunta ieri nel pomeriggio: il Comune di Roma revoca la convenzione alla Casa internazionale delle Donne. Il direttivo di via della Lungara è stato convocato appunto ieri nella sede dell’assessorato al patrimonio alla presenza delle assessore Laura Baldassarre, Rosalba Castiglione e Flavia Marzano, che hanno annunciato quanto stabilito alla presidente Francesca Koch, Lia Migale, Giulia Rodano, Maria Brighi e Loretta Bondì. Attendevano da mesi, insieme alle migliaia che si sono mobilitate in sostegno della Casa, la risposta relativa alla memoria presentata a gennaio sulla riduzione del debito (833mila euro) richiesto con insistenza dal Comune che tuttavia non teneva conto dei servizi offerti, delle spese ordinarie e straordinarie sostenute dalla Casa. A niente sono valse le trattative intercorse in questi mesi, poi bruscamente interrotte grazie anche alla mozione firmata da Gemma Guerrini, consigliera e presidente della Commissione delle elette, presente anche lei ieri per notiziare a proposito della revoca della convenzione.
Non sono valse a niente neppure la pazienza, il tentativo di mediazione, la presa in carico di una responsabilità economica di saldare la morosità trovando un punto di incontro sensato. Così come a niente è servita la disponibilità espressa, nei mesi delle (finte) trattative, alla partecipazione a progetti che potessero consolidare il rapporto che dal 1992 la Casa ha con Roma Capitale che l’ha riconosciuta tra le sue opere. Servizi, spese vive sostenute, sia ordinarie che straordinarie, anche supplendo carenze delle istituzioni, sono tutte questioni che alla giunta 5stelle non interessano. Dunque memoria respinta in nome di una strada, che è quella della burocrazia, lasciando da parte, sempre, quella della politica. Ma è davvero così? Non si tratta di un «semplice» sfratto dai locali del Buon Pastore, la vicenda è ancora più grave di così proprio perché il merito è tutto politico. Si tratta dell’azzeramento, e conseguente appropriazione, di una esperienza attraverso cui il progetto della Casa è sorto, trasformandosi negli anni. Mettere a bando i servizi, rilanciare su ipotetici centri di coordinamento antiviolenza, non tiene conto del significato sotteso alla Casa. Sociale, culturale ma anzitutto politico. Ed è in quest’ultimo punto che la giunta 5stelle vuole intervenire, agendo in maniera dissennata e non tenendo conto di quante e quanti dalle piazze alle università, dall’Italia e dal resto del mondo, firmano petizioni, fanno appelli, manifestazioni, chiedono di essere ascoltati e ascoltate, sottoscrivono affinché possano mostrare sostegno pubblico e concreto a un progetto che è uno dei fiori all’occhiello di Roma e non solo. Non si può che rispondere a tutto questa violenta e unilaterale presa di posizione con una secca e ferma mobilitazione che non arretri di una virgola sul guadagno di libertà che risiede in luoghi come la Casa internazionale delle donne.
In un comunicato stampa diffuso ieri, le esponenti del direttivo presenti alla riunione, dicono infatti che faranno «opposizione a tutto campo. Non possiamo proseguono non rilevare che l’annuncio della revoca della Convenzione avviene alla vigilia di agosto, nella peggiore tradizione di ogni vertenza pubblica e privata nel nostro paese. La Casa Internazionale delle donne e tutte le attività e servizi che al Buon Pastore vengono erogati rischiano la chiusura a causa di questo ulteriore incomprensibile attacco della giunta Capitolina al femminismo e alla vita associata a Roma; noi abbiamo proposto una transazione che chiuda definitivamente la questione del debito; grazie al grande sostegno che abbiamo ricevuto con la Chiamata alle arti e con la grande mobilitazione in Campidoglio del 21 maggio, c’è a Roma e nel paese la consapevolezza di quanto negativo e grave sarebbe scrivere la parola fine alla esperienza della Casa Internazionale delle donne. Ci sentiamo per questo di chiedere a tutte e a tutti di sostenerci, di continuare la campagna di solidarietà e anche di sottoscrivere». Sembra incredibile ma una volta di più la giunta Raggi stupisce per totale mancanza di presa sulla realtà. E per sordità, prima di tutto politica.
(il manifesto, 26 luglio 2018)