di Alessandra Pigliaru
Librerie indipendenti. Nell’isola pedonale del Pigneto nel 2007 nasce «Tuba». Oggi è formata da un gruppo di lavoro ampio e diffuso e organizza «Inquiete», primo festival di scrittrici
Negli
anni sono nate amicizie, passioni letterarie e collaborazioni tra chi
ha scelto di frequentare la libreria Tuba, fondata a Roma nel 2007 –
prima in un bugigattolo e poi in un locale più ampio, entrambi
sull’isola pedonale del Pigneto. Dalla panchina antistante si
vedono i banchi del mercato a km zero, frontale una biblioteca, nel
circondario la complessità di un quartiere a lungo denigrato quando
non derubricato come spazio da hipster urbani. Una comunità che è
casa delle differenze, ci tengono a sottolinearlo Barbara Piccolo e
Viola Lo Moro, libraie e socie insieme a Sarah Di Nella, Cristina
Petrucci e Barbara Leda Kenny. Lavorano con loro altre donne, fanno
riunioni bisettimanali con tutte e all’interno del gruppo si sono
divise le aree di competenza: libreria, eventi, bandi, bar,
amministrazione, giocattoli contaminandosi a vicenda.
Eppure
Tuba, per chi la conosce e la visita, è il frutto maturo di una
storia d’amore, una di quelle che, come tutti gli innamoramenti,
rappresenta ciò che possono creare dei corpi desideranti quando si
incontrano nella comune intenzione di sollevare il cielo. Coraggioso
imporsi sulla scena di un mercato editoriale come quello
contemporaneo proponendo un catalogo di libri a firma di sole donne;
non tuttavia un caso isolato viste le esperienze – diverse per
storie e generazioni politiche – delle Librerie delle donne in
Italia, a cominciare da quella storica di via Pietro Calvi a Milano –
fondata nel 1975, proseguendo con quella di Bologna, passando per la
più recente di Padova, finendo con Firenze – chiusa lo scorso
giugno e trasformata in biblioteca femminista, destino simile a
quella cagliaritana, diventata negli anni un Centro studi. Sono
luoghi vitali, attivissimi ormai tessuto imprescindibile dei
territori. Presidi femministi e per questo di libertà che riguarda
tutte e tutti, osservatori politici tra i più lungimiranti, hanno
legami con movimenti, associazioni, festival e con una cosiddetta
«utenza» che, come accade in particolare nelle librerie molto
connotate, è accorta ed esigente, grata e assetata di conversazioni
letterarie, di suggerimenti.
Capita di incontrare scrittrici e
scrittori, alcune hanno cominciato lì o hanno eletto Tuba come
centro nevralgico di «relazione», prima parola chiave; una trama
fitta che comincia dalla preferenza di titoli scelti uno per uno. Di
ogni venduto incassano il trenta per cento, combattono contro gli
sconti predatori della Rete o delle grandi librerie di catena che
sembra escludano ogni possibile concorrenza; si muovono nelle maglie
strette di una distribuzione che non lascia margine. Lo dicono senza
alcuna contrizione perché impegnarsi in una forma di militanza che
intreccia dedizione e generosità, sostiene. E crea lavoro, con
intelligenza. C’è ad esempio Elisa Coccia, tra le donne che sono
regolarmente stipendiate, che ha un ruolo centrale nella
responsabilità del bar, aperto fino alle due del mattino dove si
possono consumare cibi biologici. Utilizzandone il ricavato
sostengono le spese, compreso il costo del locale che prima ospitava
una più redditizia gioielleria.
Se ogni libro è un circolo e
un atto di resistenza in sé, scriverlo, editarlo, diffonderlo
dinanzi alla usura di un presente che avrebbe bisogno di tutta la
forza necessaria, il tema della socialità è ormai parte integrante
di molti spazi indipendenti che nel tempo sono diventati bazar, come
nell’accezione di Tuba, o caffè letterari. È però la relazione è
il vero nutrimento simbolico, quella che hanno imparato dalle
pratiche politiche, molto diverse come lo sono le loro formazioni; è
relazione sperimentata nella fedeltà di chi entra da Tuba, di chi si
affida a una libraia invece che a un’altra. Anche quando, nei primi
passaggi della attività, alle presentazioni capitava di essere in
quattro compresa l’autrice e ora invece quasi non ci stanno,
precisa Barbara che ha una predilezione particolare per la
letteratura greca contemporanea.
C’è la possibilità di
acquistare o anche solo di fermarsi a leggere testi di scrittrici
affermate, edite da grandi case editrici insieme alle ultime novità
proposte da minuscole imprese editoriali con cui hanno rapporti
diretti, contatti che sono altrettante filiere ostinate in tutta
Italia. Questo luogo della quotidianità, costruito da un gruppo di
femministe e lesbiche «che credono in una socialità libera, allegra
e consapevole» in effetti si apre a una festa dello sguardo. A
posare gli occhi in ogni dettaglio ci sono infatti scaffali dove
scorrono le varie sezioni della libreria, dalla narrativa alla
poesia, all’arte e alla saggistica con i generi letterari e le
categorie che sono narrazioni viventi, vicinanze non solo estetiche.
Che Chloé Cruchaudet, con la sua graphic novel Poco
raccomandabile sia sotto In Italia sono tutti maschi,
di Sara Colaone e Luca de Santis non è un caso. Come non lo è la
presenza di Zami di Audre Lorde sopra La parola alle
amazzoni di Giorgia Succi e Ladra, di Sara Waters.
Come
tutte le storie d’amore, che sottendono lotte, affetti e
contrattempi del vivere, Tuba ha voluto allargarsi creando il primo
festival di scrittrici a Roma, arrivato alla terza edizione (dall’11
al 13 di ottobre), con decine di appuntamenti. Insieme a Viola Lo
Moro e Barbara (Piccolo e Leda Kenny), ci sono Francesca Mancini e
Maddalena Vianello a organizzare Inquiete e il Pigneto si moltiplica
di parole e migliaia di visitatori che arrivano spesso da lontano a
significare quanto i saperi e le scritture delle donne siano di
orientamento; quanto non ci sia nessun azzardo a volersi collocare in
una traiettoria politica esplicitamente femminista. La gioia di
scrivere, di leggere, di confrontarsi con altre donne, essere
indipendenti significa anche questo.
Alcune esperienze italiane
Nel 2016 le librerie mono negozio (cioè non catene o franchising quindi indipendenti) sono meno di un migliaio, 811 per la precisione. Sono i dati che ci fornisce l’Aie e che sono tratti dal Rapporto sullo stato dell’editoria 2017. Sono molte e diverse, dalle più suggestive come «Acqua Alta» a Venezia, a quelle più antifasciste come «La pecora elettrica» a Roma, di recente vittima di un attentato. Ma nella capitale ce ne sono altre: «Fahrenheit 451» in Campo de’ Fiori oppure «Todomodo» a Centocelle che talvolta organizza milonghe in mezzo ai libri. A Milano c’è «Antigone», libreria lgbt, specializzata in studi di genere, femminismi, arte e teoria queer; poi «Libreria del mondo offeso», «Gogol & Company» insiema a molte altre. A Torino la «Trebisonda» a San Salvario, o anche «Il ponte sulla Dora» ma ci sono anche «Teherese» e «Belgravia». A Napoli, insieme alla storica «Dante & Descartes», c’è «Tamu» aperta da poco più di due anni e specializzata in Medioriente, e «Io ci sto» riaperta al Vomero. Nel cuore del centro storico genovese ci sono «L’amico ritrovato» e «Bookowski», in via Mascarella a Bologna la «Modo Infoshop» mentre a Catanzaro c’è «L’isola del Tesoro». A Palermo dalla recente enoteca letteraria «Prospero» alla Modusvivendi. All’Aquila, la «Polarville» di Luna e Giuliano, accanto all’Auditorium di Renzo Piano. A Bari «Millelibri», specializzata in poesia e «Prinz Zaum», propone iniziative quotidiane. In Sardegna «Mieleamaro» a Cagliari o «Koiné» a Sassari, molte delle indipendenti sarde sono legate attorno alla rete Liberos.
(il manifesto, 7 giugno 2019)
Nota della redazione del sito: Ricordiamo che alle librerie delle donne di Roma, Padova e Milano è dedicato l’articolo di Serena Berardi Donne di carta. Da Milano a Roma, le librerie che riflettono sul mondo a partire dalle parole delle scrittrici. Fondendo cultura, impegno e femminismo, apparso sul mensile di Trenitalia “La freccia”, marzo 2019, un numero ricco di “A woman touch: cinema libri arte food” (peccato che avesse un uomo barbuto in copertina…).