di Luisa Muraro
Sembrava amore e invece era un calesse. Spesso va così ma qualche volta no e qualche volta perfino va nell’altro senso: sembrava un calesse e invece era amore.
Con il femminismo nato negli anni del Sessantotto, è successo qualcosa di simile. Sembrava un’altra ondata femminista e invece era la fine del patriarcato. Un tale ha così commentato: a dirla sembra una enormità della serie “cose simili non possono capitare” e invece sì, stiamo assistendo alla fine del dominio maschile (Marcel Gauchet).
Molte tra noi, anch’io, anche le più giovani, preferiamo tenere il vecchio nome, femminismo, che non è sbagliato, è un’espressione di tipo metonimico. Così si presenta il linguaggio della parzialità che non ha rinunciato a significare il tutto, un tutto che non sai nella sua interezza e non puoi racchiudere in un nome. La rivista Via Dogana a suo tempo parlò di “cambio di civiltà”, una formula oggi corrente.
In questi giorni alcune femministe stanno discutendo in vista di un grande convegno. L’iniziativa è di Ilaria Baldini e altre; il tema proposto si avvicina a quello di cui abbiamo ragionato nei locali della Libreria delle donne il 15 settembre 2019 (https://youtu.be/_HVwojo_CdI).
La loro discussione fa nascere una domanda: ma che cos’è il femminismo? Non ho una risposta mia o, meglio, la mia risposta è quella che ha dato una femminista di prim’ordine, Françoise Collin. Due parole per chi non la conosce: emigrata da Lovanio (Belgio) a Parigi, pensatrice indipendente dall’università, si è impegnata con il movimento delle donne, ha fondato e diretto la rivista Cahiers du Grif, è stata più volte ospite della Scuola estiva della differenza, promossa a Lecce da Marisa Forcina.
Rispondo dunque alla domanda con le parole di lei, ma senza chiuderle tra virgolette, le condivido una per una e ogni volta che le leggo mi ispirano.
Il femminismo è intraducibile in termini politici tradizionali, benché non possa farne a meno. Articolato punto per punto in obiettivi determinati, il femminismo si traduce e si tradisce al tempo stesso. Non c’è conquista politica che non comporti il rischio di ritorcersi contro le donne, da una parte; non c’è progetto politico, dall’altra, che possa assumere l’esigenza femminista. Per questo, non c’è dubbio, il femminismo si è costituito in movimento e ha sempre molto resistito ad assumere la forma di un partito. Radicale, deve venire a patti con le riforme; postmoderno, deve utilizzare le risorse dell’organizzazione sociale moderna. In questo momento di crisi del moderno, il femminismo corre dei rischi affidandosi alla politica non meno di quelli che corre se resiste ad attraversarla.
Scomoda e magnifica definizione.
(www.libreriadelledonne.it, 3 ottobre 2019)