Maria Cristina Mecenero – Milano
“Non è un paese per giovani” recitava il cartello di una studentessa che in piazza del Duomo, ieri, si avvicinava a tutti, con le braccia ben tese, per farlo leggere; parafrasandolo, e aggiustando un po’ il tiro, dico che questa non è una maggioranza di governo per bambini e bambine. No, non lo è affatto. La sua politica non è a favore dell’infanzia. E chi l’ha votata, alle prossime elezioni non lo dimentichi.
Che tutto il paese non sia per i giovani, non è vero. Noi maestre stiamo dalla parte di chi, poi, giovane lo diventa. E come noi, tanti altri. Ma forse la ragazza voleva dirci altro: il paese, questo nostro paese, non è più nostro. E quel paese, il paese dell’Italia del potere, di Berlusconi e di chi lo sostiene, ecco: quel paese, non è per giovani. E sono sicura che quando ne parla, di questa nostra ex Italia, Berlusconi dice: la mia Italia. Mi sembra di sentirlo: vedrai cosa sarò capace di fare nella mia Italia! Ma in quel possessivo, mia, non c’è proprio più nulla del senso patriottico che può avere una frase del genere. Lui fa del possessivo la ragione della propria esistenza: possedere soldi, possedere merci, possedere terre, possedere potere. Cecil Rhodes diceva: annetterei i pianeti, se potessi. Annettere per lui, per loro, significa assorbire, risucchiare, ampliare la propria sfera di dominio, decidere soprattutto. Sopra tutti.
Quello non è un paese per bambine e bambini. Tantomeno per donne. Le donne sono liquidate, estromesse: migliaia di maestre delle elementari, migliaia di maestre delle scuole dell’infanzia, inascoltate, in primis da una donna, Maria Stella Gelmini. Lei agisce, sì certo, e parla di scuola, ma lo fa come se la cosa non le appartenesse, e in effetti non le appartiene, se non come ex studentessa, ma certamente in nessuna altra forma. E questo è un guaio, perché non se ne intende, come se ne intendono coloro le quali hanno dedicato anima e corpo per anni alla scuola pubblica. E il guaio diventa doppio quando si aggiunge l’altro aspetto, che sono sicura risuonerà alle orecchie come qualcosa di molto vero: lei è attratta dal possessivo, ma nella misura in cui ne parlano gli altri: la sua Riforma sarà un successo, la sua azione darà un nuovo impulso alle scuole private (e di questo, mi immagino che si gongoli con i suoi amici), il suo piano programmatico farà fare una sterzata a questa istruzione in crisi. E questo mi porta a dire che anche lei, come tutte noi in quel paese, è una donna comparsa, soltanto che lei si è estromessa da sè perché ha scelto deliberatamente di essere sottomessa alla politica degli uomini ricchi.
E noi e il nostro paese? Oggi alla manifestazione ho camminato per un po’ a fianco degli studenti, prima della Statale, poi dei licei. Si pensa bene a fianco di queste ragazze e ragazzi che marciano e protestano. Ho fatto delle scoperte: la prima è che io sono una donna d’azione. Una militante. L’ho capito lì vicino a loro: sono 25 anni che milito. Tutti i giorni ascolto, ricompongo conflitti, metto in ordine l’aula, assegno compiti, controllo compiti, preparo avvisi, invento proposte, le sperimento, capisco che qualcosa non va e allora aggiusto il tiro, a volte non lo capisco e faccio dei disastri non gravi, ma gravi per me che mi sento così responsabile. Tutti i giorni mi sento molto responsabile per le bambine e i bambini della mia classe, cerco di capire come stanno, cosa posso fare. Guadagno non molto e sempre quello. Come i veri militanti lavoro oltre l’orario, coinvolgo amiche, amici e parenti nelle mie azioni e convinco chi ho intorno a credere in quello che faccio. E a dare una mano E non voglio premi, non voglio differenze salariali dalle mie colleghe. La responsabilità è la cosa più importante del nostro mestiere e non la puoi misurare.
Non lo avevo inteso così bene finora. Non è un partito quello in cui milito. Non è un’organizzazione. Ma è politica quella che faccio. E la faccio insieme a tante altre. Maestre, come me. E’ questa la politica, non quella. Questa: tutti i giorni seguire le storie di tante bambine di tanti bambini, stare e essere con loro, cercando e inventando forme e modi per imparare e per insegnare, sentendosi convinte di ciò che si fa e a posto con la coscienza. Per crescere.
Il paese ci deve molto. Ci deve ascolto, innanzitutto. Abbiamo molto da dire su come si fa scuola, su come migliorarla. Il resto non è politica, è solo il loro potere, sono solo i loro privilegi, molti soldi, moltissimi soldi e l’illusione di essere sempre più grandi. La sinistra sta in questo paese? Noi maestre non lo sappiamo, forse sì, forse no. Parla di competitività, lo abbiamo sentito per esempio nelle assemblee sindacali: “la nostra società può scegliere di essere competitiva per quello che riguarda la conoscenza”. Ma noi maestre pensiamo che la nostra società, purtroppo, abbia già scelto di competere e che questo sia un gravissimo problema, con ripercussioni devastanti in campo educativo e in quello delle politiche ambientali. La conoscenza per noi è un bene da condividere. E’ proprio la conoscenza competitiva che ci ha portato dove siamo ora, con il Sud del mondo che sprofonda e l’Occidente che sceglie capi di governo come Bush e Berlusconi e ministre come la Gelmini o segretarie di stato come Condoleezza Rice. Maria Pia Garavaglia ha detto che sul maestro unico per i primi due anni si poteva discutere. E questo è un segnale che neanche lei ha capito nulla delle donne che lavorano con l’infanzia, del bisogno che abbiamo di condividere, di stare in una rete relazionale con altre con cui decidere, pensare, aiutarci concretamente. Perché è difficile, perché i saperi sono sempre più complessi, perché i bambini sono impegnativi. E’ come se quella politica faccia dimenticare tutto l’essenziale della vita e di come va la vita, anche la vita della mente delle giovani creature.
Le maestre che militano sono donne che nessuno di quel paese vuole veramente ascoltare. Quel paese è quello del mercato sopra tutto, della competitività e dell’illusione di infinita espansione. Molti ne sono attratti, anche se dicono di essere di sinistra. Noi ora però siamo in guardia. E a questo punto scendiamo in campo e lottiamo, come non vi sareste mai immaginati.