di Giordana Masotto
Questo testo è nato in occasione della presentazione alla Libreria delle donne di Milano del libro di Loriana Lucciarini Doppio carico – Storie di operaie (Villaggio Maori Edizioni, 2019) in cui l’autrice, una metalmeccanica che scrive storie, ci fa entrare nelle vite, nel lavoro, nei conflitti e nelle contrattazioni di tante protagoniste di quella che è/era la più maschile delle fabbriche.
La diffusione della parola delle donne è in crescita esponenziale. Narrativa e politica si intrecciano e si rafforzano per sgretolare mondi a sesso unico. Il MeToo ha chiuso con la posizione della vittima e il carnefice è rimasto solo.
Prendere la parola ti trasforma in soggetto sulla scena pubblica. Parla, così ti vediamo recita il titolo di un libro di Christa Wolf. Il libro parla d’altro, ma il titolo è magico. Dice Rebecca Solnit: «Avere il diritto di farsi vedere e di parlare è il fondamento della sopravvivenza, della dignità e della libertà».
Sul valore pubblico della parola delle donne Geneviève Fraisse (Il mondo è sessuato) sottolinea che c’è sempre il rischio che sia presa per privata. Invece, «l’essenziale è identificare ciò che è politico in questa parola».
Questo è un libro politico.
E allora, in sintonia con la scelta di Loriana, voglio nominarle una per una queste protagoniste che prendono la scena. Guardatele.
Livia, bionda fiera e forte, 40 anni di cui 20 operaia in Fca, ex Fiat, a Melfi, Basilicata. Ci racconta la fabbrica trasformata, robotizzata, pulita luminosa ed efficiente come una sala operatoria da cui non esci risanato, ma annientato in modo inedito. Si radica qui la protesta delle donne del 2015 contro le tute bianche, su cui Clelia Mori ha creato la mostra Il mistero negato del corpo che non tace, presentata pochi giorni fa a Matera.
All’altro capo d’Italia e di modello di fabbrica, ecco Lara, emiliana di Reggiolo (Reggio Emilia), precaria part time in un capannone unto e trascurato. Ma grata del lavoro che c’è dopo tanta disoccupazione. Realista. Aggrappata al presente. Forte, non sopraffatta.
E adesso guardate Pamela. Lavoratrice e delegata. Abita a Cento e lavora a Ferrara in un’azienda che adesso è diventata Fca. Anche lei è una fabbricatrice. Lavora al tornio per alberi motore industriali. Un ambientino maschile come pochi, ma lei è la scassaballe del reparto ed è diventata un punto di riferimento per tutti. Di più, osserva acutamente: «il mio punto di vista è diventato una risorsa».
Rosy lavora alla Elettrolux di Solaro (Milano) alla catena delle lavastoviglie. Ha 52 anni e alle spalle una maternità impegnativa, ma «lavorare era il luogo dove tornare a essere me stessa, fuori dagli impegni familiari». Lavoratrice e sindacalista a tutto tondo, autorevole e appassionata.
Gloria e Rina sono impiegate informatiche e da Roma ci raccontano con lucidità la vicenda del crac, la bancarotta fraudolenta dell’Eutelia: «non avrei mai immaginato di poter vivere in una precarietà emotiva ed economica così profonda». Ma raccontano anche il guadagno di forza e di solidarietà, oltre che di competenze economiche e giuridiche.
Paola e Monica di Roma ed Elisa di Milano (mamma, impiegata, attivista sindacale e politica, ballerina) sono informatiche Rsu di una multinazionale con sedi sparse. Hanno fatto una ricerca sul gap salariale donna/uomo (che segna non solo stipendi ma anche formazione e carriera). Vite strapiene di lavoro e di senso. Deprimente vedere il gap? Monica: «Devo essere sincera: sono parecchio soddisfatta di me stessa».
Cinzia e Valeria sono di Pesaro Urbino. Cinzia, dirigente sindacale, mobile e impegnatissima – giornata 6,30/22 – ricorda con piacere l’accordo tra donne siglato con l’avvocata di Confindustria e la manager con quattro figli. E ricorda anche la battaglia simbolica che ha sostenuto dentro il sindacato scegliendo di scrivere segretaria sul proprio biglietto da visita. Valeria è operaia Whirpool di grande esperienza. Con lei scopriamo che si può lottare divertendosi davvero e trasformare la vertenza in una performance artistica: sciopero a scacchiera, indetto a sorpresa per numero di scarpe, mese di nascita pari o dispari, segno zodiacale, sesso.
Rosy la siciliana lavora in una azienda leader della microelettronica di precisione, piazzata in una landa desolata alla periferia di Catania. La produzione avviene in ambienti ad atmosfera controllata e quindi immaginatela svestirsi e rivestirsi con sottotuta, tuta sterilizzata, cuffia e mascherina e passare sotto la doccia ad aria compressa. Vestirsi e svestirsi e docciarsi a ogni passaggio, a ogni pausa nei turni di lavoro. Aveva incominciato ingegneria, ma poi è entrata qui e ci sta da quasi 20 anni. Da lei impariamo che cosa vuol dire “servire alla macchina”. Ricordate Chaplin di Tempi moderni che rincorreva i bulloni sulla catena e dentro gli ingranaggi? Oggi è un software altamente sofisticato di cui gli umani sono diventati accessori.
Entrare in queste storie non ti lascia indifferente. Non perché vengano rivelati fatti inediti, ma perché queste donne si fanno protagoniste della propria esistenza, mettendo insieme corpi e politica, tempi di vita e desideri, passioni e concretezza. Entrando nelle loro storie vediamo ancora una volta che non possiamo semplificare, non ci sono regole buone per tutte: per alcune il lavoro è necessità e fatica, la vita vera è fuori. Per altre è vero il contrario: il lavoro è proprio il luogo dove puoi essere te stessa, non in famiglia, non nel tempo libero.
E allora la conseguenza politica è che, per tutte e per ognuna, è ben chiaro che la vita è un intreccio imprescindibile e irrinunciabile tra tutti questi tempi e l’intreccio cambia nel corso del tempo. Cose che sappiamo, certo, ma in queste pagine sono così materiali, palpabili, da lasciarti senza fiato. Le donne lo sanno. Ognuna di loro è soggetto. Si prendono con determinazione il diritto di pensare la propria esistenza dentro il tempo di vita/lavoro: e quando si parla di turni tutto si intreccia in modo inestricabile perché la vita non è fatta a turni! Non si dimenticano mai di essere donne e sentono l’importanza di stare in relazione con altre donne. Qui viene chiaro che c’è un noi più forte e più radicale, che cambia il senso del noi della tradizione operaia. La libertà femminile reinventa/sta reinventando la politica.
Ragionando su questo punto, mi sono imbattuta nelle parole per dirlo: “sessuare l’uguaglianza”. Questo infatti è un ottimo esempio di quello che Geneviève Fraisse (Il mondo è sessuato) chiama “sessuazione dell’uguaglianza”. Sessuare l’uguaglianza è dinamico, processuale, è una scommessa politica che si innesta in maniera eversiva nella logica dell’uguaglianza a storica dominanza maschile. Come per magia, ho trovato il vecchio titolo che Via Dogana aveva dato nel 1994 a una intervista alla Fraisse: “Differenza sessuale operaia di storia”.La scommessa è sessuare la fabbrica. Solo sessuandola l’uguaglianza può diventare giusta.
È il ribaltamento di quella depressa “femminilizzazione del lavoro” usata correntemente per segnalare – e in fondo spiegare – il generale indebolimento del lavoro. C’è miopia politica nell’uso di quella espressione, come nella logica paritaria. Ma, come diceva Marylin Monroe, «le donne che aspirano a essere alla pari degli uomini non hanno ambizione». Siamo quindi, e per fortuna, molto oltre il tema della rappresentanza. Le donne non sono un problema di rappresentanza, ma di cambio di civiltà.
Tutto questo lo si vede in azione nel nostro libro. Francesca Re David al congresso Fiom di Riccione dello scorso anno, disse: «spostare in avanti lo sguardo come solo le donne sanno fare». Noi del Gruppo lavoro della Libreria abbiamo detto: “Immagina che il lavoro”. Io credo che le donne possano pensare con lungi-miranza perché sono più radicate nel presente, hanno radici che vanno più lontano: la famosa interezza che tiene conto dei corpi e dei soggetti.
È a partire da qui che possiamo reinventare la contrattazione. Riattraversarla mettendo in campo nuove forze radicate in questa consapevolezza portata dalle donne. La contrattazione mette insieme due soggetti che hanno bisogno l’uno dell’altro, ma irriducibili l’uno all’altro. C’è contrattazione nei luoghi di lavoro, nelle relazioni personali, politiche. La contrattazione può portare un’altra idea di governo del lavoro e dell’impresa. Sempre più urgente, perché dire che ci vuole una nuova governance dell’apparato produttivo che consideri insieme lavoro/territorio/crisi climatica è dire con altre parole quello che noi abbiamo chiamato vita/lavoro.
Il neoliberismo, lo sappiamo e lo vediamo, supera i valori operai maschili per far diventare tutti automi in tuta bianca, donne e uomini indifferentemente. Il grande neutro universale del neoliberismo è l’individualismo robotizzato e competitivo che non ha sesso.
Dare più forza e visibilità alle donne è quello che ci vuole oggi per cambiare il lavoro di donne e uomini.
(www.libreriadelledonne.it, 5 dicembre 2019)
Per il video della presentazione in Libreria delle donne il 16 novembre 2019 vai a: https://www.youtube.com/watch?v=ApAXWJIt_4c