di Désirée Urizio
Mi sono procurata il libro di Silvia Dai Pra’, Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria (Laterza 2019) che un’amica mi ha segnalato e che ho letto con interesse personale.
Ne sono stata piacevolmente stupita. La ricerca dell’autrice sulla propria famiglia paterna, che la porterà a interrogarsi sugli eccidi istriani e sulle “foibe”, prende le distanze dalle strumentalizzazioni politiche. Mi ha fatto piacere condividere con l’autrice il fastidio profondo che il termine “foibe” sia usato senza rispetto da una comica famosa e sia diventato uno stupido refrain (quando l’ho sentito la prima volta ho pensato che sarebbe stato meglio che la sinistra non ne avesse parlato, come era stato per anni). Quando ero giovane sull’esodo istriano ne parlava solo la destra più becera e violenta; purtroppo ancor oggi è spesso così. E anche questo mi esaspera: non sono certo i facinorosi di Casa Pound che possono rappresentare gli esuli giuliano dalmati.
La ricerca di Silvia Dai Pra’ si svolge su più piani: parte dal disagio del padre anoressico e dalla riservatezza e dagli attacchi di panico (nostalgici?) di nonna Iole, e prosegue con necessità di documentarsi, di relazionarsi con gli abitanti di Santa Domenica di Albona, di andare sulle tracce di un passato che diventa sempre più faticoso decifrare.
Mi sono documentata e su internet ho trovato un’intervista a Silvia Dai Pra’ che mi ha chiarito ancor di più la sua posizione che condivido, rispetto, per esempio, al “riemergere del tema delle foibe ogni anno con le prepotenze di un partito politico o dell’altro per appropriarsi di quei cadaveri” per conteggiare i morti a seconda della convenienza, per portare come esempio di verità storica episodi di violenza ingiustificabile.
Inoltre, la sua ricerca iniziata per curiosità nei confronti di sua nonna Iole nata in un paesino non più italiano, mi ha fatto rivivere la mia personale ricerca sulla famiglia di mio padre, a Umago e Cittanova.
Dall’infanzia all’adolescenza non avevo fatto che sentire la storia dell’Istria e dell’esodo e non ne avevo preso le distanze, anche perché non ne potevo parlare liberamente con nessuno (all’infuori della famiglia nessuno ne sapeva niente) tanto meno a scuola con i professori: sembrava un tema proibito, ma non ne capivo il perché. Devo però precisare che le scuole le ho fatte nella Romagna “rossa” e ho poi capito perché non se ne voleva parlare: era un tema che mandava troppo in fibrillazione gli animi. L’ignoranza sull’argomento esodo e foibe era incredibile.
Poi, col tempo, ho iniziato anch’io una ricerca che, insieme alla mia amica Sandra De Perini, mi ha portata a ripercorrere le strade dell’Istria, a cominciare dal percorso che a Umago mia nonna paterna faceva tutte le mattine per recarsi al lavoro. Gestiva un’agenzia di spedizioni navali: ho ritrovato la casa di famiglia e la porta del suo ufficio (incredibile, ma ancora riconoscibile!). Sandra mi ha fotografata in varie sequenze e ancora adesso quando rivedo quelle foto, specie l’ultima, quella di fronte al mare, penso a mia nonna che dall’ufficio guardava verso il porto. Chissà come avrà vissuto il momento in cui quel porto lo vide allontanarsi per l’ultima volta, scappando verso Trieste dopo che il marito venne preso di notte (eh sì, con violenza e di notte) e non più ritornato. Saprà poi che era stato infoibato. Inutile dire se era fascista o antifascista: era un italiano d’Istria e basta.
Su alcuni muri di vecchi negozi c’erano ancora, parlo di 8 anni fa, sbiadite, le insegne dei passati proprietari: dei cugini di mio padre di cui conoscevo i discendenti che ora abitano a Trieste e quando io e Sandra ci siamo informate per ricercare le tombe di famiglia, abbiamo trovato, da parte di una signora ben informata, prima, al mattino, una grande disponibilità, ma al pomeriggio, spaventata, sembrava non ricordare più niente e ci ha fatto capire che era meglio che smettessimo di farle domande.
Qualche anno dopo, sempre io e Sandra, senza la quale la mia ricerca non sarebbe neanche iniziata, siamo andate in giro per l’Istria accompagnate dal libro di Anna Maria Mori Nata in Istria (Rizzoli 2006) e ne abbiamo condiviso le riflessioni e il pensiero dell’autrice sul significato profondo di essere nata in Istria.
L’anno scorso, infine, facendo ricerche sempre sulla famiglia di mio padre, a Cittanova ci siamo imbattute in una chiesetta, probabilmente sconsacrata, dove erano accatastate delle vecchie panche in legno nero che ancora riportavano la scritta delle famiglie che le avevano donate alla chiesa (anni ’30/’40?) e c’era ancora impresso il cognome della mia famiglia come in alcune tombe del cimitero ormai abbandonate e dimenticate.
Nel libro Senza salutare nessuno vengono descritte situazioni a me molto vicine. L’autrice si pone domande, si documenta e riflette sull’“esodo” e questa sua ricerca è un inizio di storia vivente perché nata da un nodo personale e cerca di far capire i gravi fatti accaduti in Istria.
Io ho riflettuto sulle donne del ramo paterno della mia famiglia, ho riconosciuto la loro forza che è stata per me di grande esempio e ancora oggi continuo a cercare testimonianze, prevalentemente femminili, dell’esodo istriano: una parte della storia italiana ancora poco conosciuta quasi una calcolata mancanza di memoria collettiva.
Anche per questo sono grata a Silvia Dai Pra’ che ha scritto il libro e all’amica che me lo ha fatto conoscere.
Chiudo con l’ultimo paragrafo del libro Bora di Anna Maria Mori (Marsilio 2018), un’autrice a me cara: …“Lei è jugoslava”. “Veramente no: io sono italiana. Sono nata in Italia.” Un’illuminazione: “Ah già dimenticavo … Allora lei è profuga”.
E chissà perché la cosa “lei è profuga” faceva così ridere il professore, la professoressa, l’impiegata del comune o dell’anagrafe che me lo chiedevano.
A me veniva da piangere. Anche e soprattutto perché gli altri ridevano.
(www.libreriadelledonne.it, 8 febbraio 2020)
Désirée Urizio, appassionata di storia e originaria istriana, ha raccontato la sua ricerca in Raccontare l’esodo con l’aiuto di Simone Weil e un suo primo testo di storia vivente si può leggere in: La práctica de la historia viviente. Con un prólogo de María-Milagros Rivera Garretas (Español)