Introduzione alla Redazione allargata di Via Dogana 3, domenica 9 febbraio 2020, La differenza sessuale alla prova del presente
di Traudel Sattler
Voglio cominciare spiegando la mia motivazione, la mia
urgenza per cui ho proposto di dedicare questo incontro di Via Dogana 3 alla
questione della differenza sessuale alla prova del presente: Recentemente sono
rimasta molto turbata dalla lettura di un libro la cui autrice, con l’intento
di aprire la strada per un nuovo ordine simbolico al posto dell’ordine
patriarcale in declino, partendo dalla differenza riproduttiva non parla più di
donne e uomini, ma di “persone con/senza utero”, di “persone gestanti”, e
dichiara parole come “madre” e “mamma” “parole consumate”. Questo libro mi ha
messo in uno stato di allerta perché l’ha scritto Antje Schrupp, politologa e
giornalista di Francoforte che stimo molto e che da anni è in un rapporto di
scambio con le filosofe di Diotima. È una voce importante nel panorama
mediatico e ha contribuito molto a far conoscere il pensiero della differenza
in Germania. Io vivo in Italia da tanti anni, naturalmente seguo anche ciò che
capita in Germania ma la questione che si pone riguarda noi qui. In un altro
articolo, infatti, Antje si chiede: “Le discriminazioni contro le donne ormai
sono cadute, quindi che senso ha ancora distinguere tra i sessi? Praticamente
nessuno”.
Sì, 50 anni di movimento delle donne hanno prodotto molti cambiamenti.
Viviamo in un presente abitato dalla libertà femminile, io vedo con gioia che
le donne sono ovunque, e i movimenti più significativi si richiamano al
femminismo: «La
battaglia per l’ambiente è il movimento femminista più grande del mondo» (Malena
Ernman Thunberg, madre di Greta). Vedo ragazze che prendono la parola con
disinvoltura, ministre, sindache, presidenti che chiamano altre donne per gestire
insieme il corpo sociale. Non come neutre, cooptate o fedeli esecutrici di un
ordine prestabilito, ma con un atteggiamento in cui vedo felicità e naturalezza
di essere sulla scena pubblica con un corpo di donna.
Ho sperimentato però che nominare questa bravura “eccellenza femminile”
in alcune ha suscitato imbarazzo, come mi è successo ultimamente in un incontro
pubblico: mi è stato obiettato “le donne non sono esseri umani migliori”. E la
differenza sessuale, che io considero un punto di leva, oggi spesso viene letta
come ingombro, mi viene restituita come significato ridotto ai minimi termini:
“binarismo o eteronormatività”, o addirittura negata. Il pensiero della
differenza da alcune viene visto come espressione di un vecchio femminismo
conservatore, come teoria ormai superata.
Insomma, mi sono sentita come se la realtà mi sfuggisse, in una situazione di
incomunicabilità, e mi sono chiesta: ho vissuto in una bolla? mi sono adagiata
in una posizione che credevo sicura e acquisita una volta per tutte? Le nostre
pratiche come il partire da sé, la pratica della disparità e dell’affidamento e
le figure che sono state inventate riescono ancora a parlare al presente?
A me pare di sì, perché senza fiducia non c’è una politica trasformativa per
me. Anche per mettere a fuoco i miei pensieri per questo mio intervento ho
sentito la produttività della relazione. E ho visto che queste idee hanno fatto
breccia anche in posti lontani, ispirando le pratiche anche là. Basta pensare
al collettivo di giovani francesi che hanno scoperto Non credere di avere dei diritti e che nel processo del tradurre
hanno sperimentato la forza trasformativa di queste parole su di sé.
Ma non voglio stare in una posizione difensiva. E così continuo a cercare delle
modalità, parole e pratiche all’altezza di “un presente segnato dal
crollo del patriarcato di cui noi stesse siamo state le prime agenti e dalle
cui conseguenze noi stesse siamo attraversate e investite”, come scrive Ida
Dominijanni nel libro La carta coperta.
Ed è stata proprio la lettura di questo volume collettaneo (La carta
coperta. L’inconscio nelle pratiche femministe, a cura di Chiara Zamboni, Moretti&Vitali
2019) e poi la presentazione-discussione qui in Libreria delle donne lo scorso
30 novembre che mi ha dato strumenti importanti per la lettura del presente e
per capire la situazione di scacco in cui mi sentivo. Lì ho ritrovato le mie
preoccupazioni per la cancellazione della differenza sessuale, per via di un
ritorno del tutto nuovo e imprevisto – post-patriarcale – al neutro, come scrive
Chiara Zamboni.
Non voglio e non posso qui riassumere le analisi profonde e illuminanti
dei contributi, ricchissimi di spunti, che mostrano che è in corso un
cambiamento di economia psichica e sociale rispetto agli anni in cui è nato il
femminismo con il quale siamo cresciute noi, come emerge dai testi soprattutto
di Ida Dominijanni e di Cristina Faccincani. Vorrei invece sottolineare come in
vari contributi e da varie angolature viene fuori la necessità di rinnovare la pratica, rinnovare
l’originaria alleanza fra pratica politica e pratica analitica che, secondo me,
ha reso il femminismo italiano così inventivo e originale. Rilanciare quel connubio non è facile “in un’epoca che non ci aiuta
in questa impresa, perché non è amica né dell’inconscio, né del simbolico, né della
differenza sessuale” – diagnosi azzeccatissima di Ida Dominijanni. Anche
Cristina Faccincani, che analizza come la differenza sessuale viene cancellata
perché testimonia l’incompletezza dell’umano, conclude che è di fondamentale
importanza tenere vive e feconde
tutte le pratiche di relazione che accolgano la dimensione inconscia
dell’essere, che lascino spazio alla meraviglia delle differenze […], pratiche
generatrici di apertura al futuro.
Tenere attive le tracce della pratica dell’inconscio, osserva anche Lia
Cigarini, infatti, preserva la differenza femminile dal diventare una teoria definita una volta per tutte. Certo,
bisogna tener conto dello scenario cambiato: l’idea della trasformabilità del
sé che ha avuto una risonanza politica non piccola negli anni ’70, oggi è stata
scippata dal neoliberismo e dalla biopolitica, tuttavia Lia lancia la scommessa
di risignificare la differenza
sessuale e di “rinegoziare i
rapporti tra i due sessi, per trovare altre figure di scambio, cioè altre
mediazioni con il mondo”.
Rinnovare, rilanciare, risignificare, rinegoziare – in queste parole ho trovato un invito forte a interrogare le nostre pratiche. Con noi abbiamo Chiara Zamboni, filosofa di Diotima, curatrice e coautrice del libro La carta coperta che era già venuta a presentare, insieme ad altre. Ringrazio Chiara di essere tornata, dandoci l’occasione per riprendere anche questo punto cruciale delle pratiche che l’ultima volta non ha potuto essere approfondito a sufficienza.
Ringrazio anche Stefania Ferrando per essere venuta da Parigi dove vive e insegna filosofia politica. Dai primi anni di università è coinvolta con Diotima, ogni tanto partecipa ai ritiri e ai seminari. Nelle sue ricerche, dedicate soprattutto all’Ottocento, ha seguito le tracce di pratiche politiche di donne, le loro invenzioni: luoghi, riviste, associazioni che hanno creato per agire la loro libertà.
(www.libreriadelledonne.it, #VD3, 21 febbraio 2020)