Alessandro Ziniti
Lei si definisce una «classica» e in questa accezione intendeva la parola “deficiente”: mancante di…, nella fattispecie della sensibilità nei confronti di quel compagnetto così pesantemente apostrofato. E ora che, in vacanza all´estero con marito e figli, ha appreso il lieto fine dal suo avvocato Sergio Visconti, la professoressa sul banco degli imputati risponde così alla più classica delle domande.
Rifarebbe tutto quello che ha fatto?
«Bè, visto che questa espressione non è stata compresa come io l´avevo intesa e spiegata a tutta la classe, forse no, non la userei più. Ci starei più attenta. Ma tutto era tranne che un´espressione offensiva nei confronti di quell´alunno».
E a lui, oggi, cosa si sente di dire dopo che il giudice le ha dato ragione?
«Spero che dimentichi presto anche lui, ma mi auguro che quello che è successo lo abbia portato a riflettere. In fondo era solo questo che volevo ottenere con quella paginetta. Io non gli ho mai fatto pesare questa punizione, bastava solo che lui capisse, che chiedesse scusa, che si rendesse conto, perché possiamo sbagliare tutti, anche noi insegnanti, ma bisogna riflettere perché nella vita, prima o poi, si paga tutto».
Il giudice ha sottolineato il suo intervento a tutela dell´altro ragazzino, la vittima.
«E mi fa molto piacere perché alla fine di lui non si è occupato più nessuno. Quando il caso è finito sui giornali la scuola era praticamente finita, ma io l´ho avuto con me e lo avrò l´anno prossimo e vi posso assicurare che dopo il mio intervento quel ragazzino è rimasto sereno e tranquillo a fare gruppo con i suoi compagni. E questa per me è la sentenza che vale di più».
È vero che il sistema scuola non vi fornisce gli strumenti adeguati per far fronte a queste situazioni?
«Assolutamente sì. Che mezzi abbiamo noi? La maggiore parte dei miei colleghi, quando si rivolge ai presidi per chiedere che fare, si vede allargare le braccia. Riempire i registri di note a che serve se restano solo parole? Basta pensare che, nonostante le note messe sul registro a questo ragazzo da altri colleghi, io non avevo mai visto i suoi genitori. Ma noi insegnanti non possiamo far finta di nulla, io mi sento prima di tutto un´educatrice».
Adesso che è tutto finito cosa le resta di questa esperienza?
«Innanzitutto la soddisfazione di essere stata compresa da questo giudice che ha capito realmente quello che ho fatto. La mia preoccupazione era che tutto questo clamore mediatico potesse condizionarlo e invece non è stato così. E poi la tanta solidarietà dei miei colleghi, che sono stati sempre al mio fianco, e del ministro Fioroni. Ammetto che non me lo aspettavo».
Ai suoi studenti che ritroverà a settembre sui banchi di una scuola che il giudice ha definito difficile che messaggio vuole lanciare?
«Loro lo sanno già perché ne abbiamo parlato tante volte. Ho sempre insegnato loro a dire quello che pensano ma con educazione, altrimenti che uomini saranno? In vita mia non sono mai stata contro qualcuno. Se sbaglio sono abituata a chiedere scusa, come sono abituata a mettermi, da madre, nei panni dei genitori».