di Alessia Ripani
«In
questi giorni si manifesta ancora una volta, in maniera flagrante,
l’impotenza dei potenti e l’inadeguatezza della cultura di
origine maschile. Non solo a prevedere le conseguenze catastrofiche
dei propri comportamenti ma anche a interloquire con la complessità
in cui siamo immersi da sempre. Lo stile generale violento e
suicidario delle forme virili di governo oggi è di nuovo nudo».
È così che, in piena tempesta coronavirus, festeggia la
“lungimiranza delle donne” la docente e ricercatrice Annarosa
Buttarelli, filosofa del pensiero della differenza, autrice di
Sovrane
sull’autorità femminile; pensatrice che ha ispirato anche Stefano
Rodotà, con cui stava interloquendo poco prima della morte del
giurista.
Ha appena lanciato il secondo corso di perfezionamento
della Scuola di alta Formazione Donne di Governo che ha fondato
insieme ad altre. Ma stavolta, a dispetto della formula, protagonisti
a Milano, nella Casa museo Boschi di Stefano, sono gli uomini.
Massimo Recalcati e altri tre “docenti”, ad esempio, chiamati ad
approfondire la natura del desiderio maschile e l’inviolabilità
del corpo femminile. Ci saranno cinque top manager del Comune guidato
da Beppe Sala, che oltre a essere partner, come amministrazione
pubblica ha deciso di spedire alcune delle sue dirigenti a scuola di
femminismo da Buttarelli e le altre, magistrate, avvocate,
funzionarie di polizia, ginecologhe, studiose e scrittrici. Il tema
principe è ancora la violenza di genere: dove e perché nasce, come
si riconosce e combatte, e, soprattutto, chi è che la fa.
Professoressa
Buttarelli, 8 marzo, violenza sulle donne, coronavirus. Come si tiene
insieme tutto questo?
«Oggi
esiste una grande massa di donne consapevoli, liberate dal vittimismo
e dalle rivendicazioni di un femminismo ormai superato; forti del
#metoo che ha dato loro una spinta nuova. Sono tante, e possono
festeggiare la lungimiranza che hanno avuto nel condannare un sistema
di governo del mondo impostato su modelli maschili non più
sostenibili. Pensiamo a come è stata gestita l’emergenza
coronavirus dai governi, o a come sono state utilizzate le
informazioni in Cina o in America, oppure ai tagli fatti alla sanità
in Italia, frutto di un modello manageriale di stampo privatistico
applicato al settore pubblico».
Uno
degli insegnamenti si intitola «Crisi globali e risposte maschili:
un passaggio di civiltà per sfidare razzismo, sovranismo e
neoliberismo». Perché, però, partire dalla violenza sulle
donne?
«È
sempre la violenza il grande tema. Quella sulle donne porta con sé
tutte le altre. Intendiamo per inviolabilità del corpo femminile
l’inviolabilità di ogni vivente. Pensiamo a quello che subiscono i
migranti, gli altri, i diversi, e guardiamo allo stupro ambientale
del pianeta. La riflessione su una nuova forma mentis non può
prescindere da una forte istanza ecologista, che combatta
l’atteggiamento predatorio nei confronti dell’ambiente. Oggi è
un 8 marzo di festa per le donne, le uniche capaci di regalare la
visione di un altro futuro possibile».
Da
qui il bisogno di guardarsi in faccia, donne e uomini.
«Diciamo
che, a differenza di quanto avvenuto nella storia del pensiero
femminile e femminista, manca completamente quella che possiamo
chiamare autocoscienza maschile, con il riconoscimento da parte degli
uomini delle loro responsabilità. È per loro un processo appena
cominciato. Ho chiamato con me lo psicanalista Recalcati, ma anche
Marco Deriu dell’università di Parma, Stefano Ciccone, sociologo,
ricercatore a Genova, Lorenzo Bernini, docente a Verona, “uomini
nuovi, trasformati”, li chiamo. Consapevoli di dover fare la loro
parte, appunto».
Lei
tiene regolarmente corsi di formazione per alti funzionari dello
Stato, personale delle prefetture, degli ospedali, dirigenti di
grandi aziende. Quanto bisogno c’è di riflettere sul pensiero
della differenza nelle istituzioni e nel mondo del lavoro?
«La
narrazione sulla violenza ha finito col concentrarsi tutta
sull’oggetto del sopruso, rappresentando sempre le donne come
vittime e trascurando la centralità del carnefice. Qualcosa però
sta cambiando, e c’è una forte consapevolezza della necessità di
ripensare la cultura misogina su cui si basa la nostra società. Vedo
un interesse nuovo da parte delle amministrazioni pubbliche, ad
esempio, chiamate a intervenire con competenza e sensibilità nei
casi di violenza, affinché non si verifichino ulteriori
mortificazioni e delegittimazioni nelle corsie degli ospedali, in
sede di denuncia davanti alle forze dell’ordine, nei processi per
stupro. E c’è un nuovo approccio ai differenti comportamenti
femminili in campo aziendale, che valorizza la sapienza femminile
come risorsa chiave soprattutto nei momenti di crisi. Il Comune di
Milano con cui è nata questa collaborazione ha dimostrato di essere
pronto ad affrontare questa sfida, molto avanzata».
In
un passaggio del suo libro, scrive che «giunti a questo punto della
storia del mondo, pensatori e pensatrici dovrebbero quantomeno
riuscire ad allearsi amorosamente con le istanze avanzate dalle donne
nei secoli». Servirà questo approccio a eliminare violenza,
sopraffazione e gender gap?
«La
Scuola ha l’ambizione di portare la riflessione oltre
l’individuazione degli strumenti utili all’eliminazione delle
disuguaglianze in termini di accesso al lavoro, di posizione nella
vita pubblica o remunerazione, che già esistono. Si tratta di
arrivare però alla radice dei problemi, e chiarire cosa non funziona
nella relazione tra i sessi. E su questo terreno gli uomini hanno sì
tanta strada a fare».
(La Repubblica, 8 marzo 2020)