Rinalda Carati
“C’È UN GRANDE STRISCIONE dietro il tavolo degli oratori, con la scritta NO MOReATTI OSCENI, in una grande aula che sembra luminosa nonostante la giornata grigia, nel polo universitario chiamato della “Veronetta”, sede delle facoltà umanistiche. E sedu-
to al tavolo, c’è un ragazzo che parla di Calvino e di Baricco a una platea non troppo folta ma attentissima e generosa di applausi. Alla Università di Verona c’è stata una occupazione che verrebbe da definire «atipica», se quella parola non avesse già assunto nel senso comune un significato un po’ amarognolo: i ragazzi e le ragazze hanno gestito attività di diverso genere in una aula “contrattata” per non creare troppi problemi agli studenti che volevano continuare a seguire le lezioni, hanno organizzato la partecipazione alla manifestazione del 25 ottobre a Roma, ora stanno organizzando altre iniziative per la metà di novembre. Verona è una Università relativamente “giovane”: l’autonomia la ha avuta nel 1982, e attualmente dispone di sette facoltà, Economia, Giurisprudenza, Lettere e Filosofia, Lingue e Letterature Straniere, Medicina e Chirurgia, Scienze Matematiche Fisiche e Naturali e Scienze della Formazione che comprende il corso di laurea interfacoltà di Scienze delle attività Motorie e Sportive.
La lettura commentata (i testi proposti sono tratti da Oceano Mare e da Le città invisibili) precede l’assemblea, e segue alla iniziativa che il giorno prima ha visto raccolte nei cortili alcune centinaia di persone, studenti e docenti uniti dalla necessità di fermare la legge Moratti sulla riforma Universitaria. Un altro cartello recita: non demoralizziamoci, demorattizziamoci. Studenti e studentesse non sembrano, infatti, demoralizzati; sembrano piuttosto aderire davvero a quell’ultima frase delle “Città invisibili” di Calvino che viene proposta dal palco: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
È la frase di Calvino che torna in mente quando, poco dopo, all’assemblea, una ragazza spiega: le occupazioni hanno una cattiva reputazione, ma noi vogliamo smontare il modello negativo delle occupazioni e lo possiamo fare. «Creiamo noi e facciamo quello che non ci è concesso fare», dice un’altra. E un ragazzo: «Discutiamo il senso che vogliamo dare a quello che stiamo facendo, è la prima volta e ne siamo anche piuttosto orgogliosi». Sì, ma occupare perché? Certo c’è la protesta contro la legge Moratti a muoverli, ma c’è anche l’insoddisfazione per quello che l’Università offre. «Non è ancora tutto definito – spiegano – ma certamente dobbiamo arrivare a una piattaforma di richieste, insieme a tutti gli altri che sono scesi in lotta, per ottenere un altro modello di università».
L’organizzazione tra un ateneo e l’altro pare di capire che passi soprattutto attraverso Internet e, naturalmente, gli onnipresenti cellulari. Che cosa manca? La prima cosa che indicano nell’elenco delle carenze è quella degli spazi. Non è possibile avere un’aula se non si fa parte di una associazione: cioè, gli studenti in quanto tali non hanno diritto a un luogo dove incontrarsi. «L’Università dovrebbe essere un luogo di relazione», spiegano. Su un tavolino piccolo, da una parte, ci sono quelli che sembrano i resti di una spesa al discount: pseudo Coca Cola, e qualche altra bevanda. Tutto piuttosto in ordine. Ragazzi e ragazze parlano anche, come in tutti gli altri atenei, del tre+due che non piace a nessuno, della fatica e dell’aridità di uno studio di cui sembrano percepire soprattutto l’aspetto della frammentazione. Come se chiedessero aiuto nello stabilire legami tra idee, momenti e fatti della storia, immagini e poesia. Eppure, l’associazione tra le parole di Calvino e la musica degli Afterhours poche decine di minuti prima, era venuta fuori così naturale…
Sembrano molto attenti al rispetto delle regole democratiche, l’assemblea inizia con la scelta di chi deve occuparsi di presiederla: non per fare una cosa burocratica ma per fare una cosa antiburocratica.
Invitano a parlare i rappresentanti degli studenti, che descrivono una loro situazione difficile, i limiti entro i quali devono muoversi: poca comunicazione con i loro rappresentati, poca contrattualità. A eleggerli, d’altra parte, va solo il 15% della popolazione studentesca. L’immagine che resta della giornata, è quella di un giovane che dice: sì, ma se poi restiamo in quattro? E una ragazza risponde: ma lo sai in quattro quante cose si fanno…