Marina Boscaino
Di cosa vuole convincerci la signora Moratti? Di cosa ha bisogno di convincerci? Come un caparbio amante respinto continua ad inviarci doni. Invece delle tradizionali rose rosse, il suo tentativo di lusingarci, di persuaderci passa attraverso un’interminabile spedizione di materiale patinato: opuscoli, lettere, brochure, tutti partonti dalla stessa impeccabile regia, marketing oriented, profonda conoscitrice dei recessi angusti in cui la mente umana si è rintanata in quest’epoca di crisi e delle necessità di una società sempre più rivolta all’apparenza che alla sostanza.
Di persone che inseguono sogni e miti fragili, l’epopea delle soap, le veline che sculettano in televisione, lo chansonnier di bassa lega che diventa Presidente del Consiglio e padrone dell’Italia. Ma, c’è un ma. Noi siamo insegnanti, noi siamo educatori. Il nostro compito principale è anche quello di guardare al senso profondo delle cose. Insegniamo che la forma può essere significativa solo se supportata da un progetto ideale che le conferisca sostanza. Con chi crede di avere a che fare il Ministro Moratti? Ci dipinge, noi insegnanti, nei suoi spot televisivi come sorridenti e rassicuranti interlocutori di giovani ben vestiti ed entusiasti, dimenticando che tanti di noi lavorano quotidianamente in situazioni al limite della praticabilità, in condizione di degrado ambientale, in classi al limite della capienza; al cospetto anche di bambini o ragazzi portatori di handicap, sempre di più, che – grazie anche ad una spregiudicata gestione delle risorse e ad una politica di taglio selvaggio – non trovano il sostegno di cui avrebbero bisogno e che una logica di civiltà dovrebbe garantirgli di diritto; e la cui cura è completamente affidata alla buona volontà e all’improvvisazione di ciascuno di noi. Dei nostri stipendi è meglio tacere. La realtà – sembra ignorare il Ministro dell’Istruzione non è rappresentata dai suoi sobri tailleur e dalla sua impeccabile acconciatura. La realtà non è quella della propaganda, nella quale continua a sperperare denaro pubblico.
La strenna natalizia quest’anno è verde come la speranza, il colore simbolo di tutta l’invasiva campagna pubblicitaria che da un anno circa imperversa su giornali, radio e Tv. “Una scuola per crescere” (tanto per cambiare) è l’agenda – inviata a personale docente e amministrativo – in cui, in duecento pagine a colori, vengono proposti per l’ennesima volta ai lavoratori della scuola i contenuti della riforma approvata il 28 marzo del 2003 ma ancora impantanata nega mancata approvazione dei decreti attuativi. In assenza dei quali la Moratti spedisce, augura, consiglia, pontifica. Le rose, quelle dell’amante di cui sopra, generalmente fanno una brutta fine, dimenticate in un vaso o addirittura depositate nel secchio dell’immondizia. Per le agende del ministro si prevede un’altra sorte, non meno ingloriosa: “Agenda Moratti. No grazie” è il civilissimo slogan che la Cgil ha individuato per boicottare l’iniziativa.
Mentre gli istituti sono sul lastrico, il ministro si preoccupa di spendere soldi per pubblicizzare la sua “riforma”: sono circa 10 i milioni di euro investiti in questa campagna. Ma niente integralismi o falò in piazza; semplicemente le agende sono state e verranno rispedite al Ministero. Tutti i maggiori sindacati della scuola, compresi i Cobas e la Gilda, si sono impegnati in questo contro-invio. Da quasi tutte le regioni d’Italia nel mese di dicembre si sono susseguite spedizioni al mittente, da parte di singoli lavoratori, dei sindacati che si sono incaricati della restituzione. Ci sono piccoli fatti che a volte sono in grado di scatenare reazioni imprevedibilmente significative. Ebbene sì, quando è troppo è troppo. Sono circa due anni e mezzo che il Ministro Moratti tratta la scuola pubblica italiana come un’azienda (non di famiglia, quella si tratta con più cura e con più accortezza), applicando al sistema dell’istruzione pubblico nazionale strategie inadeguate, soluzioni pseudo-manageriali e soprattutto apportando drastici tagli alla spesa. In questi due anni e mezzo abbiamo dovuto sopportare di tutto: dall’insulto del bonus per chi iscrive i figli alle scuole private (a proposito, i rimborsi stanno arrivando in questi giorni) all’immissione in ruolo degli insegnanti di religione; dall’attacco all’autonomia dell’insegnamento con la penosa querelle sui testi di storia, all’equiparazione tra servizio nella scuola pubblica e nella scuola privata. Finanziaria dopo Finanziaria, taglio dopo taglio abbiamo letto il rapporto dell’Eurispes sull'(in)sicurezza negli edifici scolastici. La legge delega poi è un contenitore che per il momento è vuoto, ma che rappresenta 9 pericoloso presagio di un’idea di scuola contraria ad ogni principio di equità di solidarietà, di pari opportunità per tutti i cittadini di questo Paese; clamoroso il suo attacco al tempo pieno. Ce n’è stato per tutti i gusti, alla scuola non si è risparmiato nulla (tranne i soldi da investire). Ma con l’agenda, con questo gadget di raffinata eleganza, si è toccato il fondo: curato vademecum che ci spiega quanto sia stato bravo questo Governo, in che razza di scuola meravigliosa avremo il privilegio di insegnare, quanto lo zelante ministro abbia a cuore le politiche scolastiche.
Propaganda, chiacchiere raffinate al prezzo di 10 milioni di euro. Garbate menzogne che tentano di coprire una voce sempre e comunque inascoltata, quella del mondo della scuola, che tante volte in questi ultimi mesi si è levata alta a dire che questa riforma non la vogliamo. A chiedere di rivedere le cifre, gli investimenti, i diritti che un paese che voglia realmente crescere e che creda nel suo futuro deve necessariamente impegnarsi a garantire. A decine di migliaia gli insegnanti stanno rispondendo in tutta Italia a questa inutile provocazione, a questa incosciente presa in giro; addirittura gruppi spontanei di boicottaggio hanno organizzato presidi e sit-in: a Torino, a Milano, a Pordenone, in Sardegna, a Treviso, a Bologna, nel Sud. L’augurio che inviamo al Ministro è quello di trascorrere un Buon Natale tra le montagne: non montagne di neve, ma montagne di agende. Simbolo dell’indignazione degli insegnanti; e invito (forse troppo ingenuo) al pentimento, per un’occasione sprecata: quella di affidare semplicemente ad un dignitoso silenzio il commento dello stallo di una riforma che, nonostante i proclami e un costosissimo battage pubblicitario, stenta a decollare.