di Marina Terragni
Covid, crisi economica, emergenza globale, il mondo in standby: niente ferma il lavoro tenace della lobby pro-utero in affitto. Come ha già raccontato sulle pagine di ‘Avvenire’ Antonella Mariani, un gruppo di 22 giuristi sta ragionando per tutti quanti noi sulla decisiva questione del riconoscimento legale della filiazione: l’ultimo incontro si è svolto tra il 16 e il 22 ottobre scorsi. Il tavolo lavora su mandato della Conferenza dell’Aja sul Diritto internazionale privato (85 Paesi membri) e lo sta facendo nel silenzio generale, a porte chiuse e mantenendo il focus sul tema della cosiddetta Gestazione per altri (Gpa), oggi vero core business del commercio di vita umana. I protocolli che si succedono dimostrano un lavorìo incessante di scalpello per logorare fino ad abbatterli i divieti in vigore nella stragrande maggioranza dei Paesi membri (almeno 75 su 85), bypassando le legislazioni nazionali sovrane. E per sbaragliare ogni resistenza politica, in particolare la lotta del fronte per l’abolizione universale che raccoglie associazioni femministe di tutto il mondo.
La tecnica è sempre quella della ‘finestra di Overton’: ciò che ti appare impensabile oggi ti sembrerà digeribile domani e perfettamente lecito e desiderabile dopodomani. La Conferenza dell’Aja, si assicura nel nuovo protocollo uscito dal recente incontro, non prenderà posizione sull’utero in affitto. Né a favore né contro. Ma intanto si dettagliano particolari decisivi per andare a comporre il quadro finale (il lavoro dei giuristi si concluderà nel 2022): come regolare i rapporti tra ‘genitori intenzionali’ e madre surrogata. Meglio, ‘donna surrogata’, si suggerisce. Sparizione della madre: completata. Come far riconoscere il rapporto di filiazione anche in Stati diversi da quello in cui è nato il bambino su commissione. E via dicendo. Manovre preliminari in direzione di un definitivo riconoscimento della liceità della Gpa: poiché esiste, deve essere normata. Meglio: cominciando a regolarla nei dettagli la si rende sempre più normale. La direzione intrapresa dalla Conferenza dell’Aja sembrerebbe purtroppo corroborata dalle parole di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, che nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione ha tra l’altro detto: «La Commissione presenterà presto una strategia per rafforzare i diritti delle persone Lgbtqi. In questo contesto mi impegnerò anche per il riconoscimento reciproco delle relazioni familiari nell’Unione Europea. Chi è genitore in un paese è genitore in tutti i Paesi».
Chi sta rappresentando l’Italia a quel tavolo? Si tratta di un inviato del Ministero degli Esteri: quali posizioni esprime? Come si formano quelle posizioni? E in quale luogo di dibattito istituzionale prendono forma? Ciams (Coalizione internazionale per l’abolizione della maternità surrogata) ha chiesto invano di essere audita al tavolo. Tavolo che in compenso si avvarrebbe abitualmente della consulenza di avvocati familiaristi in gran parte pro-Gpa, in quanto a loro volta piuttosto interessati al business della surrogazione transnazionale (c’è sempre meno lavoro sul fronte adozioni!). Il panel starebbe inoltre lavorando in tandem con ‘The International Social Services’, antica Ong dedicata alla protezione dei minori attiva in 120 Paesi.
Anche quest’organizzazione ha formulato un protocollo di «Princìpi per il superiore interesse dei bambini nati da surrogata», protocollo che è stato disconosciuto e rigettato con forza dall’Associazione dei nati da donatori e da utero in affitto. In un commovente documento, sottoscritto da 1.300 firme e arricchito da testimonianze personali, i nati da donatori o da surrogata espongono i loro contro-princìpi e denunciano di non essere mai stati consultati da chi sta prendendo decisioni sulla pelle dei nascituri: eppure nessuno s’intende di questa condizione più di loro. «Tra i membri di questi tavoli – è scritto nel contro-documento – non ci sono nati da donatori. Non ci sono nati da surrogata. Non c’è nessuno che abbia lavorato o abbia legami con nati da donatori o da surrogata». Oltre che di essere inclusi nella discussione, i nati da donatori e da surrogata richiedono anche l’abolizione universale dell’utero in affitto. Poco meno di un anno fa, nel dicembre 2019, hanno presentato le loro richieste alle Nazioni Unite. Ogni loro appello è stato ignorato.
(Avvenire, 25 ottobre 2020)